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giovedì 3 aprile 2014

Trattoria Epiro a Roma: piccolo è meglio

Siamo sempre stati convinti che piccolo sia meglio. Questo locale è una conferma della nostra convinzione, insieme ad altre chicche come Mazzo a Centocelle. Qui siamo proprio davanti al mercato rionale di piazza Epiro, da cui questa trattoria moderna prende il nome. Arredo semplice semplice e servizio curato con garbo dai proprietari. Peccato che ci fosse un po' di vento che si incanalava giusto giusto nel cortiletto, perché essendoci più di 20 gradi ci avrebbe fatto piacere star fuori.
Nella carta un po' di proposte che spaziano dai lievitati home made alle paste e ai secondi. Non abbiamo assaggiato questi ultimi, ma ci siamo concessi un assaggio degli sfiziosi antipasti, come le crocchettine di pollo davvero ben fritte e saporite. Simpatici i lievitati di cui parlavo (fra cui anche il pane servito nel cestino, di cui apprezziamo l'artigianalità), che sono una specie di focaccioni in forma di rombotti e farciti abbondantemente. Noi ne abbiamo assaggiati due tipi, uno di carne e uno di pesce. Nel primo caso, parliamo di maiale, dolcemente glassato e molto azzeccato nell'abbinamento con la focaccia. Nel secondo di un pesce bandiera abbinato a cime di rape. Più buono il primo, se non altro perché la salsa agrodolce rendeva più umido il pane e meno asciutto il tutto.
Quindi abbiamo assaggiato la pasta, pescando dai classici romani. Parliamo di amatriciana, non proprio ortodossa a nostro avviso, anche perché si avvertiva un retrogusto di una qualche spezia o aroma che non abbiamo identificato, ma che lo rendeva diverso dalle amatriciane un po' più grevi a cui siamo abituati. Comunque un buon sugo, con guanciale croccante e saporito, solo avremmo aspettato altri 2 minuti prima scolare la pasta.
A questo punto ci siamo fermati, perché il focaccione è già sufficiente per sfamarsi, se ci aggiungiamo il resto eravamo già pienissimi... I prezzi non sono propriamente popolari, ma come dicevo le porzioni sono più che abbondanti, quindi un buon compromesso può essere ordinare piatti diversi per i commensali e assaggiare dividendoli (noi abbiamo fatto così). 8-10 di euro per antipasti, focacce comprese, e primi piatti, saliamo fino a una ventina per i secondi (ma come dicevo bisogna arrivarci!!!). Acqua a 3 euri, ma trattasi di Fiuggi, che effettivamente costa di più...

domenica 2 marzo 2014

Ferrovecchio: Hamburger a San Lorenzo

Partiti per mangiare un hamburger all'Hamburgeseria, ci siamo fatti dissuadere dalla sala piena con fila all'ingresso e abbiamo deciso di dare una chance a questo nuovo locale di San Lorenzo. Costola dell'attigua Mucca Bischera, Ferrovecchio è il nuovo fast food, con una strizzata d'occhio agli americani (nel menù) e una ai bistrot (nell'arredamento). Come la maggior parte dei locali aperti recentemente anche qui siamo di fronte a un arredamento di recupero vintage anni '40. Io promuoverei la fine di questa moda, iniziata dieci anni fa da Gusto.
Detto questo, siamo convinti che anche se l'occhio vuole la sua parte, non si mangia il design, quindi passiamo al cibo, che ci interessa di più. Tre sostanzialmente i capitoli del menù: i fritti, le pizze e gli hamburger. Noi abbiamo volontariamente saltato il capitolo pizza, anche perché, abbiamo notato dopo vedendolo dalla finestrona affacciata sulla cucina, non è cotta a legna: sinceramente con il forno elettrico la posso fare anche a casa mia!
Il nostro vero obiettivo era l'hamburger, quindi a quello abbiamo puntato, declinato in 12 varianti, anche se alla fine ci siamo mantenuti sul classico con bacon e cheddar. In più qualche sfizio fritto, nonostante il solerte cameriere abbia obiettato che l'hamburger fosse pesante... In pratica, ci ha dato dei mangioni! Comunque, non ci siamo fatti dissuadere e abbiamo ordinato come antipasto delle frittelline con gli asparagi e un supplì. In entrambi i casi un leggero eccesso d'olio, però soprattutto del supplì devo ammettere che la panatura era molto ben croccante, il riso bello al dente e la mozzarella giustamente filante. Insomma, nonostante l'olio mi è piaciuto molto.
Passiamo quindi all'atteso hamburger, servito con delle patatine a sfoglia ottimamente fritte, croccanti e asciutte in questo caso, peccato che fossero inondate di sale e non fosse sufficiente neanche "scotolarle" prima di metterle in bocca. Altra netiquette rilevata è relativa alle salse: sì e no saranno 30 tavoli, e i 4 tipi di salse disponibili (maionese, ketchup, bbq e senape) devono essere in quantità sufficiente per essere servite a tutti indistintamente. Il povero cameriere non deve fare la caccia al tesoro fra i tavoli che hanno finito di mangiare, con il risultato che a noi per esempio ha portato solo maionese e ketchup.
Passiamo finalmente però all'assaggio dell'hamburger: una bestiola alta tipo 10 cm di cui almeno 3 di carne, visti i 200g di Chianina promessi. Ora, non è che ci siamo messi lì con il bilancino, però a giudicare dall'affanno con cui siamo arrivati alla fine si può dire che la "ciccia" non mancasse. Ottimo il rispetto delle cotture richieste per la carne, ben morbido il panino di copertura (anch'esso pare fatto in casa) anche se leggermente strabordante rispetto alla carne. La logica americana pretenderebbe il contrario, cioè un panino di circonferenza pari o più stretta di quella della carne. Però in realtà, data l'altezza dell'hamburger, si spiega bene questo leggero squilibrio. Buone le cipolle caramellate del panino Ferrovecchio, la pancetta pure saporita, lasciata un po' morbida per meglio incontrare il gusto italiano (in America invece si serve croccantissima). L'uso del cheddar è invece filologicamente corretto. Insomma, fra ammiccamenti al gusto italiano e a quello americano, il panino non ci è affatto dispiaciuto. Effettivamente non aveva poi tutti i torti il cameriere a dirci che fosse impegnativo, tuttavia il suo commento ci è sembrato anti-commerciale e leggermente offensivo.
Tanto che non ci siamo fatti mancare un dolce. Per concludere, abbiamo preso un tiramisù alla Nutella, che però non abbiamo capito perché sapesse più che altro di arancia.

venerdì 10 gennaio 2014

Dol Ristorante: una buona cena laziale a Roma Centocelle

Dopo Mazzo, eccoci alla seconda bella scoperta in zona Centocelle, Dol Ristorante, il bistrot dell'omonima gastronomia specializzata in salumi&formaggi, il cui acronimo vuol dire nient'altro che Denominazione di Origine Laziale.
E pensare che un tempo mio marito lì vicino ci abitava... E adesso è diventato un polo di attrazione gastronomica per chi sceglie un posto lontano dal centro (e dove per inciso si possa parcheggiare senza troppi problemi!).
Ma passiamo alla nostra esperienza gastronomica. Per prima cosa il locale. Mega-bancone all'entrata, pieno di mille delizie, quindi una sala con un po' di tavoli di quelli piccoletti a base quadra che si compongono come si vuole, accompagnati da sedie di legno retrò, per un totale di una quarantina di coperti. Qui e là arredi vintage specialmente anni Settanta e su una parete la mega-lavagna su cui è scritto integralmente il menù, non presente in versione cartacea, che però viene pazientemente riproposto anche a voce dai responsabili di sala.
Immancabili i taglieri di salumi e formaggi, che figurano come unici antipasti, mentre la maggiore varietà si esprime sulle pizze alla teglia, buone per due persone. Bianche o rosse, si possono combinare due gusti, purché siano entrambi bianchi o rossi. Altra direttrice, piuttosto ridotta a poche opzioni di stagione e di tradizione, è quella della cucina "cucinata". Un solo primo, una zuppa, una polenta, un paio di secondi fra cui lo stufato e le Dolpette, polpette che ci ripromettiamo di assaggiare alla prossima visita. Un paio di opzioni anche per i dolci, ma di quello parliamo dopo.
Della selezione poco da dire. Il nostro formaggio preferito è stato il conciato di Bufala, una novità proveniente da Sezze (Latina) recentemente entrata in catalogo e da noi prontamente apprezzato (ne abbiamo comprato anche un pezzo da portare a casa!).
Poi abbiamo scelto la teglia bianca, con due opzioni: una selezione di formaggi Dol con una riduzione di vino e la c.d. Capra e cavoli! Nel primo caso una specie di quattro formaggi, addolcita dalla riduzione, mentre nel secondo caso una spadellata di cavolo nero, con olive all'arancia e una bella spolverata di formaggio di capra saporitissimo. Un po' sciapi cavolo e olive, tuttavia venivano opportunamente bilanciati dalla sapidità del caprino.
A questo punto, speravamo di avere un posticino per una Dolpetta, ma così non è stato, anche perché abbiamo scelto di farci tentare dal dolce. Ufficialmente era denominato "millefoglie di panettone con salsa alla zucca", ufficiosamente era un simpatico boccaccetto di quelli con la chiusura ermetica con questo ottimo panettone artigianale messo a strati con la crema che di zucca poco sapeva (per fortuna). L'alternativa sarebbe stata la crostata, sempre di zucca. Unica pecca, in questo senso, è strategica: proporre due dessert a base di zucca taglia fuori chi non ne vuole neanche sentire l'odore...
Al contrario, l'ampia selezione di birre artigianali, tutte in spina e a soli 4 euro a bicchiere, è molto apprezzabile.

giovedì 12 dicembre 2013

Spasso food: un critico gastronomico in cucina

Quello che ha fatto Federico Iavicoli è forse quello che da anni mi suggeriscono gli amici più cari, quantomeno quelli che sono passati per il mio desco: molla la scrittura che non dà pane e mettiti a cucinare! Beh, il buon Iavicoli secondo me il pane lo guadagnava anche prima, ma evidentemente è cucinando che ha avuto l'illuminazione.
Sperando che questa lampadina non si spenga mai, vi raccontiamo la nostra prima esperienza da Spasso food, che peraltro ci si è andato a collocare a 700 mt. da casa... un vero attentato al girovita in costante aumento!
Per prima cosa il format: un take away, grande praticamente quanto una pizzetteria di quartiere, anche se alle spalle si vede una cucina di dimensioni decisamente più importanti. Un po' in questo si mostra l'attitudine di Federico: schivo, più interessato al buon mangiare che al contatto con gli altri. Non ci sono posti a sedere, se si escludono le tante panchine della vicinissima Re di Roma, dove molti vanno a consumare i propri pasti e i propri peccati di gola procurati nei tanti locali che contornano la piazza. Qui siamo a un passo dalla Casa del Supplì, ci sono vari kebabbari, 4-5 gelaterie, senza contare il tiramisù di Pompi.
In questa specie di girone dei golosi, si colloca Spasso food, con la sua offerta a base di polli arrosto che girano, di insalate da passeggio, di zuppe e vellutate in coppetta, di vaschette di pasta espressa, di mini-sfizi come il "gattino" di patate in monoporzione (eletto il nostro preferito) o la polpetta di saltimbocca alla romana.
Da non sottovalutare i prezzi, più che popolari a fronte di una sicura qualità degli ingredienti, oltre che ben esposti e chiari: a eccezione delle patate al forno, qui non si va al peso, ma al pezzo, in cui le unità di misura sono le vaschette modello cinese-newyorkese o le coppette, una versione cresciuta di quelle del gelato. E a proposito del packaging, per rassicurare gli avventori che soprattutto in pausa pranzo confidiamo che daranno ragione alla visione di Iavicoli, possiamo dire che è vero che non ci si sporca: sono fatte apposta!
Il pollo ancora non l'abbiamo assaggiato, ma presto colmeremo questa mancanza, intanto possiamo dire che il goulash era di rara tenerezza nella carne, che la pasta era ottima (tanto che una vaschetta lasciatami in mano per reggerla è stata spazzolata in un batter d'occhio!), che la Caesar's salad ha una salsina segreta fantastica e così via.
Insomma, dalla prima impressione direi che è tutto già più che in ordine, ma conoscendo la vena ipercritica e perfezionista dello Iavicoli (adesso applicata a se stesso), sappiamo che probabilmente quello che ci è sembrato buono oggi con il tempo sarà ancora più buono.
Inoltre segnaliamo la presenza di birre intelligenti in bottiglia, fra cui la Perugia (artigianale recuperata comprando il marchio dalla Peroni), qualche buona belga, la Menabrea ecc. ecc.

mercoledì 4 dicembre 2013

Vienna: mangiare per strada nei mercatini di Natale

Metti un weekend di inizio dicembre a Vienna e condiscilo degli immancabili mercatini di Natale, abbondantemente irrorati di litrate di Punch pieno di cannella. Fra una palla di Natale che sa un po' di cinese e uno stand di prodotti tirolesi (ah lo speck!), non possono mancare tutti gli street food della tradizione nordica. Roba per lo più fritta, sia chiaro, quindi chiudere qui la lettura se si è a dieta ipocalorica o se si hanno problemi di fegato!
Detto questo, passiamo in rassegna le mirabolanti avventure gastronomiche di una 72 ore in terra austriaca. Cominciamo con il capitolo kartoffen, cioè le patate: ce ne sono in tutte le salse: trattasi di elemento principale della dieta mitteleuropea. A noi sono piaciute particolarmente quelle a spirale, tagliate con un apposito strumento che le fa diventare una lunga sfoglia e poi fritte un attimo dopo. Il risultato sono praticamente delle patate a sfoglia che si frantumano perché croccantissime! Meno apprezzate invece le patate arrosto con la paprika che vendono i caldarrostari (le tengono in caldo sulla stessa gratella), che hanno avuto il solo pregio, per così dire, di essersi riproposte a lungo. Gradevole benché ultraunto il rosti di patate, anch'esso fritto, ma trattasi di patate tagliate a listarelle sottilissime e sformate tipo hamburger. Abbiamo visto vendere anche le patate al forno tipo jacked potatoes, ma non abbiamo avuto il coraggio!
Ci voleva ugualmente coraggio, però, a mangiare gli gnocchetti con il formaggio fuso. Si tratta di spatzle conditi con una quantità imbarazzante di formaggio che fa il filo e tenuti in caldo su pentole che ti vengono raschiate nel piattino di carta... Probabilmente era per dare sapore!
Che dire invece del Langon, una sleppazza di pane fritto aromatizzata al burro all'aglio. Una vera gioia per il palato dalla decisa persistenza!
Altro must immancabile è lo zuppone di gulash opportunamente impiattato nella pagnottella di pane tenuta anch'essa in caldo e servita bella croccante. Devo dire che a questo piatto non gli davo due lire e invece è stata una bella rivelazione, anche se come si dice a casa mia la carne era fujuta!
Sorvoliamo sulla quantità imbarazzante di wurstel in circolazione (abbiamo glissato anche noi, troppo banale!) e passiamo alla sezione dolce. Qui possiamo raccontare di aver mangiato una sorta di krapfen con una crema alla nocciola modello Nutella molto esplosiva. Altro simpaticissimo dolcino che abbiamo assaggiato è il rotolone ungherese di cui ho formattato il nome. Stranamente non parliamo di fritto, ma di una specie di pagnottella tipo cannolone che viene adagiata su spiedi che ruotano in modo da cuocere uniformemente. Non senza una spolverata di zucchero prima e dopo. Anzi, dopo si può scegliere anche la versione aromatizzata dello zucchero, dalla cannella al cioccolato, passando per il cocco e la vaniglia.
Da segnalare quindi la cioccolata calda, che qui non è come vi aspettereste, ma molto più liquida. Come tutte le bevande calde compresi i punch e il vin brulè, viene servita nei tazzoni da mercatino, che costano 2 euro, i quali vengono restituiti se si riporta indietro la tazza: un'idea carina, coreografica e zero emission!
Detto questo un piccolo cenno anche a quello che abbiamo mangiato nelle nostre serate viennesi, a parte i mercatini. Come obiettivo numero uno ci siamo prefissati il Salm Brau, birreria viennese attaccata al palazzo del Belvedere. Le cotte sono a vista e il servizio è molto frettoloso, vista la fila che c'è. Nonostante sia un posto abbastanza turistico non è stata una cattiva esperienza, anzi. Piacevole il misto di carne (in foto), così come le ribs (foto con tagliere), che pare siano la specialità del posto, a parte la birra. La seconda sera è stata la più interessante, al pub Purstner, scelto quasi per caso visto che essendo domenica era uno dei pochi aperti. Devo dire che alla fine è quello che ci è piaciuto più di tutti! L'ambiente è tirol-kitch, con ricostruzione di ambientazione nordica e uccelli impagliati qua e là. Eppure la cucina non ha nulla di posticcio o di imbalsamato: qui abbiamo mangiato la migliore cotoletta (wiener schnitzel, quello della foto con vicino le immancabili kartoffen) e un buon Tafelspitz (bollito con tanto di brodo e verdure in quantità). La fettina panata di Purstner non aveva nulla da invidiare, anzi a mio parere era meglio, di quella di Figlmuller (foto di inizio articolo con me inclusa nel prezzo), vera istituzione locale in fatto di cotolette. Anche qui tocca fare la fila, ma vale la pena per uno schnitzel che riempie il piatto e decisamente anche lo stomaco: arrivare alla fine del cimento è stato impossibile perfino per me. Molto buona anche la zuppetta vegetariana viennese con i boletus. Nell'attesa del tavolo fra l'altro abbiamo anche avuto modo di sfogliare il loro libro di ricette, interamente fotografico con istruzioni nelle didascalie e ricette passo per passo, che è esattamente quello che io cerco in un libro di ricette: da prendere a esempio, cari colleghi curatori!
Last but not least, merita citazione l'originale sacher dell'omonimo hotel, che vanta l'essere detentore della ricetta a marchio registrato. La ricetta è sotto chiave, le sacher che vende meriterebbero ugualmente di essere messe in cassaforte, visti i prezzi. Un dolce teutonico, la sacher è un po' così, comunque buono nel suo equilibrio cioccolato/marmellata.

giovedì 28 novembre 2013

Hamburgeria di Eataly a via Veneto

Ecco il nostro amico Farinetti che ne fa una delle sue. Non contento di quella mega-cattedrale del cibo che ha inaugurato alle spalle della stazione Ostiense, eccolo di nuovo nella capitale a dar vita a un nuovo progetto. Dimensioni molto più contenute, certamente, ma non meno furbo il concept e soprattutto la posizione in cui questo si colloca.
Siamo a via Veneto, nel regno del turista straniero e in particolare dell'americano che non smette di fare il sillogismo Italia=Vacanze Romane=Dolce Vita=Via Veneto. Senza però dimenticare che il suddetto americano, da buon caprone alimentare qual è, non rinuncerà almeno per una sera a concedersi un saggio italiano del suo piatto nazionale, l'hamburger. Ed ecco il nostro Farinetti sbarcare appunto a via Veneto per andare a competere proprio con uno dei templi mondiali dell'hamburger: l'Hard Rock Cafè.
Ok, fatta questa lunga premessa di marketing del panino, passiamo al locale in sé, dopo aver dato un primo assaggio alla nuova creatura.
La formula è un incrocio fra quella già collaudata all'Eataly e un fast food vero e proprio. Ovvero, ti siedi, studi il menù, vai alla cassa e paghi. Quindi ti viene dato un giocattolino che vibra non appena il tuo panino è pronto. E te lo vai a prendere in un sacchetto di cartone. No tovagliette, no posate, insomma, no servizio o quasi.
Le opzioni del menù sono alla fine abbastanza ridotte: o l'hamburger coniugato in 4-5 varianti (con la possibilità di aggiungere ulteriori ingredienti), o l'hot dog ugualmente variato, o una specie di kebab arrotolato nella piadina, o l'hamburger di pesce ideato da Moreno Cedroni ma non meglio esplicitato dal menù (non si capisce né di che pesce si tratti, né di quali siano gli eventuali condimenti). Si aggiungano alcuni fritti, fra cui crocchette di pollo, olive ascolane home made e patatine e si condisca il tutto con una bella selezione di salse.
Tutti i panini si possono prendere assoluti (al costo di 7-8 euro cad) o in formato menù con patatine e bibita (compresa l'opzione birra Baladin) per qualche euro in più.
Che dire, per una serie di motivi io ho assaggiato l'hot dog, saporito, ma mi si è riproposto per varie ore. Sul tavolo anche l'hamburger che però aveva un po' lo spessore di una soletta, e il similkebab che a quanto pare è stato il più apprezzato. Le patatine erano abbastanza dimenticabili, le olive ascolane erano buone di sapore, ma ci sarebbero piaciute più croccanti di frittura, i bocconcini di pollo erano altrettanto moscettini (dubbio: problemi con la temperatura dell'olio?). In compenso i fritti erano abbastanza asciutti.
Per concludere i dolci di Montersino, quelli in monoporzione più facilmente trasportabili ovviamente. Siamo quasi sul piano dell'industriale, nel senso che vengono fatti dagli squadroni che lavorano a Eataly formati da Montersino, che però ovviamente è sparito da mesi. Comunque parliamo di 5 euro i "pezzi grossi" e della metà per i piccoli bicchierini.
Complessivamente: un posto da tenere presente se ci si trova in centro e si vuol fare uno spuntino più o meno veloce (è proprio alla fermata della metro, dove prima era Tuna). Onestamente però di hamburger a Roma ce ne sono di gran lunga di migliori a mio parere, a cominciare dall'hamburgeseria di San Lorenzo di cui vi ho già parlato, dove peraltro è rimasta indimenticata la cheesecake.
http://ilpolipoaffamato.blogspot.it/2013/11/hamburgeseria-atmosfera-usa-san-lorenzo.html

venerdì 25 gennaio 2013

Nuova gelateria Vice a Roma a Prati

Neanche a farlo apposta, eravamo stati pochi giorni fa da Vice a Gregorio VII. Ignoravamo, in quei giorni, che mancava pochissimo all'apertura del nuovo punto vendita di Prati, giusto un paio di traverse più giù di Romeo.
Ovviamente si riconosce da lontano per la sua nuvola bianca che incombe dal soffitto. Una sorta di effetto carlinga dell'aereo in alta quota o cucuzzolo della montagna che vuole evocare temperature glaciali. Effetto ghiaccio alle pareti e, novità, macchina per il caffè nuova di pacca! Ebbene sì, questo nuovo Vice non nasce solo per gli appassionati di gelato ma si propone come nuovo luogo per colazioni e aperitivi. Fra l'altro con colazione bio fra i cavalli di battaglia.
Un po' di pasticceria e salati vari, presi in outsourcing, però a me quello che attira davvero è proprio il gelato. I gusti sono gli stessi degli altri punti vendita. Particolarmente buono si conferma il pistacchio di Bronte, ho assaggiato anche lo zabaione al Marsala Florio che mi ha ricordato i bei tempi in terra trapanese.
Forse dalla caffetteria la proposta che mi stuzzica di più sono i caffè corretti, sia con liquori vari che con il gelato. E soprattutto in questo caso sono particolarmente invitanti, peraltro a prezzo più che onesto (1,50 euro). Interessante anche il fatto che ci siano posti a sedere e wi-fi aggratis. Giusta evoluzione, nel posto giusto, a due passi dal Vaticano dove passano tanti bravi americani!

venerdì 4 gennaio 2013

Gelateria Vice a Roma

Quando passi da fuori dici "Che cos'è?". E' una specie di nuvola in un piccolo bar... E poi scopri che è Vice, gelateria abbastanza nota negli ambienti gourmet della capitale. La killer application di questo posto, oltre alla presentazione esteriore, è l'essersi fatto conoscere per le proposte salate, oltre che dolci, sempre a base di gelato. Qui si può venire anche a fare l'aperitivo, che è piuttosto popolare. Noi, pur essendo quasi l'ora dell'aperitivo, ci siamo fatti conquistare dal più classico bancone dei gelati, assaggiando qualcuno dei gusti "cult", a base di ingredienti griffati. Il mio gelato era a base di pistacchio di Bronte, che devo dire era veramente buono, saporito e cremoso al punto giusto; l'altro gusto era il passito di Pantelleria (cobranding con Pellegrino) con uvetta e sbrisolona al cacao, il sapore c'era, ma questa cosa della sbrisolona... beh, a me non piaceva troppo questo effetto granuloso al palato. A concludere il tutto, un doppio spruzzo (la doppia panna è d'obbligo a Roma) di panna aromatizzata al Bayle's, proveniente da un sifone appositamente preparato. Molto gradevole!
L'altro gelato, che ovviamente non mi sono fatta mancare di assaggiare, era sempre con doppia panna, ma senza aromi, e con mandorla di Noto e vaniglia del Madagascar. Nel caso della mandorla, non mi esprimo perché a me non piace, comunque si noti l'effetto mandorla amara molto vicino al vero. Per la vaniglia devo dire che aveva l'inconfondibile aroma avvolgente e con quel lieve sentore di liquirizia della vaniglia del Madagascar. Magnifico! 
Conclusione: questa gelateria forse occhieggia un po' troppo ai gastrofighetti della capitale, ma in compenso i gelati non sono affatto male. Noi abbiamo assaggiato quelli di via Gregorio VII. Altre due sedi sono a Marconi e a corso Vittorio Emanuele (Largo di Torre Argentina). 

sabato 29 dicembre 2012

I piatti più buoni mangiati nel 2012 (pizza inclusa)

Alla fine dell'anno è tempo di bilanci. Diciamo che il 2012 è stato un anno particolare, fra novità, probabilità e imprevisti. Ma soprattutto un anno in cui - lo testimonia la mia raccolta di ricevute fiscali pronte per il commercialista - ho mangiato spesso fuori e assaggiato tanti piatti diversi. Molti sono stati recensiti e raccontati ampiamente su questo blog, ma voglio raccogliere i 10 più buoni, sconvolgenti, ricordevoli e soprattutto che consentirei di assaggiare nel 2013!

Ps. non è una classifica, considerate che sono piatti che metterei sullo stesso piano, come un'ideale, lunga degustazione.

1) Rocher di coda alla vaccinara dello chef Riccardo Di Giacinto (ristorante All'Oro, che però si è appena trasferito al The First Luxury Art Hotel);
2) La cornucopia di amatriciana dell'Oste della Bon'Ora a Grottaferrata (starring il mitico Oste Massimo Pulicati e la moglie Maria Luisa, di cui si ricorda anche la crema pasticcera che porta il suo nome);
3) La cacio e pepe di Pistelli Hostaria, ancora a Grottaferrata (anche se sono gli ex della Scuderia di Genzano), con un pepe del Borneo che dava un sapore incredibile;
4) La pizza di Sforno (qualunque sia) che con il suo impasto "puffoso" è la pizza più buona che conosca;
5) Lo spiedino di carne d'agnello e melanzana alla brace mangiato ad Istanbul nel quartieraccio di Horor Caddesi, nel ristorante Urfali Haci Usta;
6) La focaccia calda con la mortadella portata nientemeno che dalle mani di Pierluigi Roscioli nel suo nuovo quartier generale di Romeo a via Silla (insieme alla meravigliosa Cristina Bowerman, vedi sotto);
7) Il panino con il foie gras di Cristina Bowerman, stesso posto (Romeo) due anime della cucina così vicine e così lontane, accomunate dalla ricerca non del buono, ma del più buono;
8) Il tris di tonno di Leonardo Vescera, bravissimo chef del Capriccio di Vieste, a mio parere l'unico ristorante veramente degno di nota del Gargano marittimo;
9) La torta Peccato di gola di Pietro Moffa, pasticceria di Foggia (meno male che c'è lui!), un'iniezione di burro talmente magnifica che vale la pena di sospendere qualsiasi forma di dieta;
10) Le melanzane ripiene alla viestana, beh, fatte da me... Non è per autoincensarmi, ma semplicemente per dire che per quanto mi piaccia andare al ristorante, certe volte si possono realizzare anche in casa piatti degni di una tavola da re.
Vi copincollo di seguito il link della ricetta, che oltretutto era una ricetta della nonna e come tale va rispettata: CLICCA QUI.

venerdì 23 novembre 2012

Made Bakery, cupcake a via dei Coronari a Roma

Qualche giorno fa giravo per le vie del centro e mi sono imbattuta in questo localino piccolo piccolo. Ad attirarci, i colorati cupcakes che occhieggiavano fin dalla vetrina. Appena dentro, un odore misto burro/vaniglia ci assale e non possiamo far altro che concederci un piccolo assaggio. La coscienza ci ha portate verso i mini-cupcake (red velvet e crema al formaggio) e una porzioncina di cheese-cake. Sul bancone, però, molte altre offerte, dal cupcake al tiramisù a quello supercioccolatoso.
Insomma, parliamo di quel che abbiamo assaggiato. La minicupcake aveva il difetto di tutta la pasticceria americana: era burrosa, ma secca, benché compensata dalla crema formaggiosa. Certo, mi si dirà, come fai a confrontare un muffin o un cupcake con una diplomatica per esempio? La seconda è bagnata di liquore e ovviamente è più morbida e umida. Quanto alla cheesecake, servita su un pirottino da muffin, devo sottolineare che il fondo di biscotti (rigorosamente Digestive, si sentiva chiaramente!) era troppo freddo e difficilmente si rompeva con la forchettina di plastica. Ovviamente una problematica  naturalmente legata alla conservazione: per farlo mantenere si deve tener ben freddo. Quanto alla crema al formaggio non era male, ma ne ho assaggiate di più buone.
Conclusione, uscendo dalla Bakery romano-americana, rivolgendomi all'amica filo-anglosassone cui piacciono questi dolci burrosi tutta estetica... "Ma vuoi mettere un'aragosta? Un cannolo? Un babà?".
Questione di italianità!!!

giovedì 4 ottobre 2012

Osterie d'Italia: la Guida 2013

Nelle sue peregrinazioni, il Polipo ci ha messo anche un salto alla presentazione della Guida Osterie d'Italia 2013, che quest'anno risultava particolarmente interessante, perché si è svolta da Eataly. Niente da dire sulla location, che senza dubbio è il posto più adeguato per eventi di questo genere.
Ne approfitterei, però, per tirare qualche somma sulla guida 2013, che mi è finalmente capitata fra le mani. Si tratta, come molti sanno, della guida di Slow Food, per capirci quella che assegna le Chiocciole.
Beh, quel che ci piace è proprio questa impronta slow, la scelta di promuovere soprattutto Osti e Osterie e ci è piaciuto molto quello che ha detto Marco Bolasco, curatore della guida: "l'accoglienza non è solo un sorriso all'entrata, significa anche saper trasmettere valori e contenuti".
Allora, sì a tutti i ristoratori che fanno buona cucina tradizionale, che rispettano il territorio in cui si trovano e che rispettano anche il portafogli. Un po' come una guida low cost, la guida Osterie d'Italia si ferma lì, sui 30-35 euro, consigliando solo a margine qualche altro indirizzo più costoso. Certo, c'è da dire che molti dei locali che ho scorto supera di almeno 5-10 euro questa stima, ma solo se si prende tutto, dall'antipasto al dolce, cui poi si aggiungono le bevande. Quindi si scusa anche qualche piccola cifra sottostimata, se alla fine il posto in cui si viene mandati comunque offre buona cucina a prezzi popolari.
Ho analizzato le zone che maggiormente conosco. Qualche perplessità sulla chiocciolina all'Enoteca Palatium di Roma serpeggiava anche in sala, per il resto cito volentieri l'Oste della Bon'Ora di Grottaferrata (che alla presentazione ha fatto una caciara unica!!!), gli amici di Taverna Mari sempre a Grottaferrata e mi sono ripromessa di fare un salto da Iotto a Campagnano Romano e Sora Maria e Arcangelo a Olevano Romano.
Per quanto riguarda la mia provincia, quella di Foggia, le uniche - meritatissime - chiocciole sono quelle di Beppe Zullo (Orsara) e Fossa del Grano di San Severo. E anche i ristoranti citati quasi si contano sulla punta delle dita in tutta la provincia. Sicuramente quando ci allontaniamo dalle grandi città diminuiscono i referenti ed è più difficile selezionare. Mi permetto, come ho già fatto in passato con altre guide, di proporre qualche new entry, che per chi abita da quelle parti non è affatto new.
- Quel gran personaggio di Donna Cecilia (sempre a Orsara) macellaio/ristoratore che alleva e cucina solo le sue bestie;
- quell'altro soggettone di Angelo di Trilussa/Salustri, non tanto per la pizzeria, quanto per l'ambasciata orsarese;
- last but not least come dimenticare l'appassionato oste di Chacaito, che si siede al tavolo e facilmente ti fa compagnia.
Insomma, le proposte non mancherebbero per Foggia e provincia e ce ne sarebbero anche... le rimando a Marco Bolasco, se mai vorrà mi leggerà...

venerdì 21 settembre 2012

Taste of Rome: finalmente!

Finalmente una manifestazione che parli di cibo in maniera professionale e non solo in format da carbonari della carbonara. Vabbè, scusate il gioco di parole o calembour, che dir si voglia. E passiamo al sodo: Taste of Rome è una boccata di ossigeno per la ristorazione romana, che vede i migliori o quasi (ci manca solo the king Heinz Beck, ma gli altri ci sono) cimentarsi con piccole monoporzioni dei loro cavalli di battaglia. Certo, versioni semplificate e forse con qualche piccola imperfezione, ma che non perdono in gusto dei grandi piatti a poco prezzo.
Perché qui si paga in sesterzi (che poi è un modo retrò per dire euro), più o meno 5 o 6 euro per piatti, che mangiati a casa loro costerebbero dai 15 in su, ma anche 30 qualche volta... Quindi, gourmet della capitale, cogliete l'occasione, caricate la vostra carta di una cinquantina di euro e preparatevi ad assaggiare i migliori piatti di una decina di chef ultranoti della capitale, molti dei quali stellati. Riccardo Di Giacinto di All'Oro, Roy Caceres di Metamorfosi, Anthony Genovese del Pagliaccio, Agata di Agata&Romeo, Convivio Troiani, Arcangelo Dandini ecc. ecc. La parte enologica è invece curata soprattutto dalla famiglia Trimani.
Al contrario, però, se cercate una fiera dove pretendete di pagare un biglietto, per aprire le fauci e non chiuderle più, il tutto all inclusive... Beh, il Taste non è per voi. Ben lontano da una sagra, diverso anche da fiere tipo il Vinitaly. Di inclusive c'è poco o niente: gli unici che concedano assaggi aggràtis sono crodino (dopo avervi spillato l'indirizzo e-mail) e pochi altri produttori di creme e patè, olio ecc. che offrono dei minicrostini. Un'altra notazione - peraltro contestata da molti chef - il pomeriggio si chiude per qualche ora e quindi chi c'era dalla mattina viene invitato a uscire. E se vuol rientrare, nuovo biglietto!!! Un po' eccessivo, visto che 16 euro sono già tantini e poi bisogna prepararsi a nuove spese per mangiare e bere...
Infine, un cenno sulla location: l'Auditorium mi è piaciuto molto, se non fosse che arrivarci con i mezzi è un po' scomodino. Però, c'è da dire che gli chef stellati hanno anche una stella che li protegge: pare che fino a domenica non piova... Pensare che solo pochi giorni fa si parlava di nubifragi... 

giovedì 19 luglio 2012

Friggitoria Pasquale Torrente a Eataly

Torniamo al cospetto di Eataly dopo una decina di giorni e, purtroppo, nonostante sia una giornata infrasettimanale non vediamo particolarmente scemata la folla delle grandi occasioni. O per fortuna: sicuramente questo nuovo tempio del cibo italiano a Roma si sta dimostrando un grande affare. Complici il caldo e l'ampio parcheggio: i romani non resistono al binomio aria condizionata / posto auto.
In ogni caso: la missione di questa seconda incursione in quel di Eataly era assaggiare i fritti di Pasquale Torrente. Memori dell'eccezionale esperienza del Convento di Cetara, speravamo di ritrovare qualche sentore di Costiera anche a Roma. Più che sentore, però, qui parliamo di puzza di fritto, che pervade l'intero centro commerciale, a partire dall'esterno dell'ingresso.
Per prima cosa la prassi: qui è un po' come l'autogrill. Vi ricordate il Paolantoni pizzaiolo casertano che diceva "prima lo scontraino e poi la paizza". Beh, anche qui è un po' così: prima si punta il proprio tavolo (ma preparatevi il piano B perché se qualcuno in fila prima di voi aveva puntato lo stesso posto poi rimanete a piedi) e si prende il numeretto; quindi si fa la fila e per prima cosa si indica il numeretto del tavolo, quindi si sceglie cosa mangiare e bere. Preparatevi su cosa volete mangiare, cercando anche di capire dalle lavagne quali sono i piatti del giorno: la cassiera che è capitata a noi, ha prima sottolineato questo un po' stizzita, ma poi ci ha decantato tutto il menù. Abbiamo scelto di assaggiare le polpette di melanzane (piatto del giorno) e il misto di fritti: 3 piani di fritti assortiti da far capitolare un lottatore di sumo!
A dir la verità ci siamo un po' pentiti: prendere in due tutto questo fritto non è stato geniale, dal momento che dopo un po' stufa e, inevitabilmente, si fredda. In questo, secondo noi, c'è il limite del format Eataly, che si propone come slow food, ma poi in realtà ti costringe a mangiare con un po' di fiato sul collo solo a vedere la fila che c'è dietro, nonché senza la possibilità di cominciare a ordinare un paio di cosette e poi magari richiamare il cameriere e chiedere altro. Qui bisogna essere veloci, decisi e risoluti. Non è ammesso alcun cambio di idea, salvo poi dover rifare la fila... noi avremmo voluto una birra, ma ci abbiamo rinunciato per questo motivo!
Non parliamo poi di prendere da mangiare un po' qui e un po' lì: significherebbe di far la fila per ogni singolo piatto che si sceglie (ad esclusione di ciò che si trova sullo stesso piano, che può essere ordinato tutto nella stessa cassa, ad esempio i fritti vanno a braccetto con le birre e con salumi e formaggi).
Sapori. Nel nostro misto abbiamo trovato i classici gamberi e calamari, quindi le alici che non erano alici  ma sarde, tranci di spatola e i latterini, cioè i pescetti da mangiare tutti in un boccone, testa inclusa. Poi, al "piano terra" dell'alzatina c'era tutto ciò che non era pesce, cioè gli gnocchetti fritti, i ravioletti e due cubotti di pasta al forno panata e fritta. Quest'ultima soprattutto era davvero magnifica, peccato solo fosse un po' fredda al centro. I ravioli erano buoni di consistenza, ma non ci faceva impazzire il ripieno. Il pesce era fresco e c'è poco altro da dire! Ah, poi avevamo le polpette di melanzane: abbiamo apprezzato che fossero davvero melanzanose!!!
Alla fine eravamo talmente pieni che - haimè - non abbiamo avuto neanche la forza di concederci un gelatino da Lait... Al prossimo assaggio!

N.B. se volete ritrovare davvero i sapori di Cetara, basta dare un'occhiata al racconto della nostra visita al Convento, nel link di seguito...
http://ilpolipoaffamato.blogspot.it/2011/12/tre-gamberi-sono-tre-gamberi.html

domenica 1 luglio 2012

Eataly: cronaca di una visita senza acquisti

Eccoci finalmente alla nostra prima visita da Eataly. Dopo averne scritto variamente, anticipato informazioni e aspettato l'inaugurazione... Finalmente prendiamo la nostra auto e arriviamo baldanzosi al terminal Ostiense. Peccato che fosse un sabato sera, poco prima dell'ora di cena e che avessero avuto un'idea analoga centinaia e centinaia di altri romani. Peraltro molti di loro erano vestiti in tiro come se dovessero andare a una serata di gala... Non vi dico i tacchi dodici!
Dopo aver faticosamente trovato parcheggio - fino a ieri era gratis - ci avviciniamo all'entrata e veniamo subito investiti da una ondata di odoroso fritto di pesce. Sapevo che al primo piano ci fosse la friggitoria del Convento di Cetara, ma non pensavo avessero sparato i bocchettoni per il ricambio dell'aria sulla facciata!
Ma andiamo alla visita: il piano terra è stato il più deludente. Sapevo di trovarci il mercato dell'ortofrutta, ma speravo in una scelta più che altro di primizie e sfizi gastronomici. Invece questo mercato non differiva granché (a parte la tracciabilità, che pure non è poco) dal "reparto banane" di un qualsiasi ipermercato. Al piano terra poi c'è il resto della rivendita dell'oggettistica e della sezione dolce, ma devo dire che qualche prezzo (almeno per quei pochi prodotti che si trovano anche ai vari Auchan, Coop, Conad e Despar) mi è sembrato superiore alla grande distribuzione. Sempre al piano terra le piadine, che avevano un aspetto decisamente invitante, salvo poi dover fare una fila capace di dissuadere anche i più convinti amanti della piada!
Poco distanti, dolci e gelati. Meno fila, ma con l'odore di fritto che si spandeva sinceramente il nostro naso ci chiedeva di metter sotto i denti più qualcosa di salato...
A questo punto abbiamo deciso di seguire l'odore e arrivare al primo piano, dove sapevamo che ci attendeva la friggitoria. Qui con grande sorpresa abbiamo visto Pasquale Torrente in persona friggere pesci vari, ma ancora la fila ci ha dissuasi dall'impresa. Poco distante, la gradevole Osteria Romana: credevamo ci avremmo trovato il nostro amico Oste della Bon'Ora, ma c'era Anna Dente. Sicuramente all'altezza, ma non ci siamo fermati sempre per via della confusione.
Sempre al primo piano c'è il reparto che più ci ha colpiti favorevolmente: salumi e formaggi. Su quest'ultimo capitolo però avrei da ridire sulla prevalenza eccessiva dei prodotti piemontesi (vabbé che Farinetti è di Torino, però l'Italia è grande). Inoltre si segnala una notevole selezione di birre e la possibilità di sedersi alla birreria che fungerà anche da aula didattica.
Passiamo al secondo piano: qui si gioca la partita pesce vs carne. Uno contro l'altro, divisi da una scala mobile. In entrambi i casi si compra o si mangia sul posto. Però, in una situazione di fair play assoluto fra i contendenti, chi si siede dal lato carne può ordinare anche pesce e viceversa. Sempre al secondo piano c'è l'enoteca.
Terzo e ultimo piano. Qui c'è ben poco, se non il ristorante Italia, che è il vero spazio gourmet di Eataly. Peccato solo per i prezzi: per quanto possano aver creato un'eccellenza, sinceramente pagare 100 euro per mangiare in una specie di ipermercato mi sembra un attimo eccessivo. Prezzi come: parmigiana di melanzane, 20 euro. Non stiamo un po' esagerando?
Conclusione: qualche punta di delusione, mista a voglia di tornarci. La delusione è principalmente per l'atmosfera ed è sicuramente inasprita dall'eccessiva "caciara" che abbiamo trovato in questo sabato di fine giugno (tutti a pensare che c'era l'aria condizionata, eh?). La voglia di tornarci - ovviamente in una giornata infrasettimanale - è per fermarsi con calma a studiare meglio ciò che c'è sugli scaffali, scoprire cosa offrono i vari menù, scegliere con che cosa far cena, ordinarlo e mangiarlo seduti ai tavoli, ma senza orde di carrelli e carrozzini che ti investono la sedia... Insomma, l'appello Eataly se lo merita...

martedì 15 maggio 2012

Tenuta Vannulo a Paestum

Weekend in salsa campana, o meglio, a base di latte di bufala... Sono stata in quel di Battipaglia, luogo natìo del mio fidanzato, e non mi sono fatta mancare un paio di soste gourmet! La prima era per una fantastica colazione da campioni, presso la mitica Tenuta Vannulo. Dalla Costiera Amalfitana a quella Cilentana, Vannulo è una specie di leggenda locale che parla di bufale e mozzarella.
Qui si viene per acquistare non solo le mozzarelle, ma anche i formaggi e il voluttuosissimo burro (ah, cos'è il burro di bufala su un crostino di pane con un'alice di Cetara!): ma è meglio prenotare perché bastano un paio di pullman, che nel weekend non mancano mai, per finire tutte le scorte.
Ma soprattutto si viene per fermarsi al bar, dove tutto ciò che prevede il latte è a base di latte di bufala, of course! Cappuccino incluso! A parte questo, assolutamente da assaggiare le brioche, accompagnate dal leggerissimo yogurt di bufala, oppure dal gelato e dalla panna. Personalmente, ho assaggiato la brioche con gelato di pistacchio e panna. Sul tavolo c'era anche lo yogurt bianco con la marmellata di arance fatta in casa. E sul bancone invitava la cheesecake, ovviamente anche questa a base di bufala...
Detto questo, dopo essersi ingollati la brioche è d'uopo una passeggiata nella tenuta. Da un lato, per chi vuol fare una sosta shopping si possono acquistare perfino prodotti di pelletteria (sempre di bufala!).
Dall'altro lato, imperdibile, ci sono le stalle dove, soprattutto, si possono conoscere le bufale!!! Che sono bellissime... Dolci, con gli occhietti neri neri sempre un po' lacrimosi e il ciuffo frisè...
C'è da dire che la visita intorno alla stalla non lascia affatto l'amaro in bocca. Pur essendo destinate a una vita in cattività, le bufale sembrano stare benissimo nelle loro stalle. Hanno tanto spazio e tanto fieno da mangiare. Passano la giornata ruminandosi, dormendo e strofinandosi qui e lì e sono così educate che sanno anche dove andare a farsi mungere quando le mammelle sono piene! La fattoria è infatti completamente meccanizzata e autogestita dalle bufale stesse: sono loro a decidere non solo quando "conferire" il loro latte, ma anche quando lavarsi sotto le gettonatissime spazzole. Somigliano a quelle degli autolavaggi e le bufale se le contendono per una rilassante doccetta con massaggio!!!
P.s. Per chi volesse fare una passeggiata virtuale ecco il link del sito di Vannulo:
http://www.vannulo.it/

lunedì 20 febbraio 2012

Taverna Mari a Marino: il pranzo della domenica

"E' domenica mattina, si è svegliato già il mercato"... Cantava Baglioni in Portaportese, noi invece siamo andati per mercati Slowfood, ovviamente a sfondo cibo (avete già visto i post su Cavolo rapa e Topinambur?). Comunque, dopo le fatiche del mercato abbiamo pensato bene di concludere in bellezza la mattinata con un bel pranzo della domenica ai Castelli. E quale posto più familiare poteva venirci in mente se non la Taverna Mari di Marino?
Innanzitutto da Ciampino distava solo pochi chilometri, poi la famiglia Mari è sicuramente una garanzia per un pranzetto non certo leggerino, ma memorabile!
In sala il figlio Fabrizio, mentre la mamma è l'artefice delle meravigliose paste fatte in casa e di molti dei piatti che arrivano sulla tavola. Si comincia sempre con l'antipasto della casa. Lo so che è un po' demodè, ma se ti portano un bel piatto di salumi locali, una fett'unta condita con buon olio laziale, fagioli, coratella e uova strapazzate con zucchine... Beh, non lo disdegni mica!
Poi arriva Fabrizio per l'ordinazione dei primi: noi abbiamo scelto i maltagliati con i broccoli romani e le tagliatelle con sugo di spuntature di maiale (alternative sugo con le rigaglie, ma l'avevamo già assaggiato). Ieri c'era anche la polenta, ma io non ci vado pazza, quindi niente. Dal momento che avevamo anticipato che avremmo diviso i piatti per assaggiare tutto, gentilmente hanno portato una dopo l'altra le due mezze porzioni: così nessuno ha mangiato niente di freddo!
Si apprezza anche la tecnica di prendere le ordinazioni piatto dopo piatto: una garanzia di non ordinare oltre le proprie capacità di finire i piatti! E devo dire che siccome la sala gira in maniera veloce ed efficiente (con l'ausilio di tutta la famiglia per il fine settimana che il locale è più affollato). 
Sul secondo una leggera flessione: abbiamo assaggiato la tagliata con i carciofi che non ci ha dato le stesse emozioni della pasta. Risultava un piatto meno "di famiglia" degli altri. Tuttavia, è stato ben bilanciato dalle ottime patate al forno (cotte però in padella) e dal ramolaccio con le patate: una pianta infestante, che è stata ben recuperata fino a diventare un gustoso contorno. 
Quindi non potevamo farci mancare il dolce: il meraviglioso tiramisù di mamma Iole. Fatto con i pavesini e mascarpone a gogò! Accompagnato da una delicatissima Malvasia dolce era un ottimo finale.

N.b. ho scoperto che mamma Iole ha anche un blog, dove pubblica le sue ricette, vi copio il link di seguito:

domenica 19 febbraio 2012

Cavolo rapa: ricette per cucinarlo crudo o cotto!

Nuovamente il Polipo in trasferta a Ciampino per il Mercato della terra, questa volta parliamo di Cavolo rapa! Da non confondere con il sedano rapa. Questo è verde e fresco (oppure violaceo fuori e sempre verde dentro), non marroncino e secchetto...
Di che sa? Di cavolo, of course, ma con qualche sentore particolare di piselli, qualche volta di cocco. E come consistenza è un po' come le patate, specialmente cotto. Bollito intero, mi hanno detto che come le patate si pela facile facile con la pellicina che se ne viene da sola. Ma comunque anche da crudo non ci vuol molto a sbucciarlo. Dentro è verde chiaro e fibrosetto. Neanche a dirlo, è una crucifera, quindi ha tutte le buone proprietà anticancro delle crucifere.
Come cucinarlo? Crudo si fa in insalata o a carpaccio (poi vi spiego la mia ricetta), mentre cotto si può bollire come dicevo, ma più semplicemente si taglia a cubetti e si lascia andare con olio e un po' di brodo finché non diventa morbidino (tenete sempre presente la consistenza delle patate per regolarvi con la cottura). Quindi lo potete mangiare sia come contorno, ma anche usarlo in altre preparazioni. Vi dico un'idea di quiche di seguito.

Insalata con cavolo rapa, carote, pere e formaggio (quella che ho fatto assaggiare a Ciampino): mondate il cavolo rapa e conservatelo in acqua acidulata per evitare che ossidi nel tempo che lo lavorate. Per tagliarlo avete ben due opzioni: o a carpaccio con una bella mandolina (in questo caso sarà ancora più scenografico e ne servirà di meno), oppure a cubetti di un centimetro di lato circa, anche qualcosa in meno, dipende dalla pazienza che avete. Quindi fate lo stesso lavoro con qualche pera (se a carpaccio tagliate sottili anche le pere). E ancora pelate una carota e grattugiatela a julienne (con apposito attrezzo!): in questo caso non deve essere moltissima, perché la carota non serve tanto per il sapore quanto per il colore. Infine il formaggio: io ho scelto un bel pecorino aquilano non troppo stagionato ma bello saporito per contrastare. L'ho tagliato a cubetti, ma forse ancor meglio sarebbe stato grattugiare anche questo a julienne per distribuirlo meglio (sicuramente questo è il taglio giusto nel caso di un carpaccio). Infine olio, pepe, sale per condire e il gioco è fatto.

Quiche con cavolo rapa e pancetta affumicata: chi legge il mio blog sa che sono particolarmente appassionata di torte rustiche. Per semplicità, lo dico in anticipo, considerate una pasta sfoglia da comprare, se la sapete fare voi, meglio! Come scrivevo un po' più in alto, avevo del cavolo rapa a cubetti stufato con olio e brodo avanzato. Come cucinarlo? A quiche, of course. Stendete la pasta sfoglia sulla tortiera (io ho utilizzato, per scena, delle cocottine e ho fatto delle monoporzioni) mantenendo la carta da forno sul fondo. Quindi distribuite uniformemente il cavolo rapa stufato (meglio se già freddo, il mio veniva dal frigo...) e cubetti di pancetta affumicata bella saporita (o lo speck sicuramente sta benissimo), infine coprite tutto con il classico battuto da quiche. Avevo un residuo di panna fresca utilizzata per un'altra preparazione, quindi non ho fatto altro che sbattere un uovo (due se la tortiera è grande) e allungare il composto con la panna. Va bene anche il latte, ma per esser sicuri che cuocia e non rimanga molliccio meglio aggiungere del parmigiano o forse in questa preparazione starebbe bene anche una bella julienne di emmenthal (da provare!). Normalmente la pancetta è già salata, quindi non serve aggiungere altro sale. Detto, questo, spandete uniformemente il composto di uova+latticini sul sedano rapa pancettato e mettete in forno a 180° per una ventina di minuti almeno (fa fede il colore della pasta sfoglia!). Si può servire sia caldo che freddo...

Ps. Nella stessa esperienza al Mercato della terra di Ciampino, sono venuta in contatto anche con i topinambur... Ho scoperto come si cucinano, sia crudi che cotti... Una bellissima scoperta!
http://ilpolipoaffamato.blogspot.com/2012/02/topinambur-ricette-per-cucinarlo-crudo.html

Topinambur: ricette per cucinarlo crudo o cotto


Il Polipo Affamato special guest al Mercato della terra di Ciampino... Per cucinare un paio di insalate con due ingredienti speciali: il topinambur e il cavolo rapa. Cominciamo dal topinambur, che ha avuto particolare successo grazie alla mia idea di abbinarlo alla colatura di alici di Cetara (grande prodotto!!!).
Ma andiamo con ordine: cosa sono i topinambur? Tuberi! Somigliano molto allo zenzero, ma appartengono alla famiglia dei girasoli, in pratica sono le "radici" di un tipo di margherita. Detto questo, hanno un sapore simile al carciofo, ma più delicato perché la consistenza è più quella della patata, tanto che si cucinano un po' come le patate.

Problema n. 1: come si puliscono? Semplicemente si lavano bene e si grattano (un po' come i porcini). Però oggi un po' perché si mangiavano crudi, un po' perché non avevamo abbastanza acqua e gli attrezzi per grattarli, li abbiamo pelati come le patate... Attenzione: ossidano velocemente e diventano neri (oltre a far nere le mani) quindi si consiglia limone strofinato sulle mani per evitare che diventino nere (o guanti monouso) e una bacinellina con acqua e limone per conservarli fin quando non si cucinano.

Problema n. 2: crudi o cotti? In entrambi i modi! Tuttavia i sapori oltre che le consistenze sono completamente diversi. Nel primo caso è più da ravanello e si può mettere in insalata, solo o con altre insalate. Nel secondo caso si lessa e si fa il purè (magari "allungandolo" con le patate, se non altro per il prezzo), si trifola in padella solo con un filo d'olio e un po' di prezzemolo (buonissimo!!!), si fa il risotto, si friggono a chips come le patatine e così via...

Ricetta insalata di topinambur con colatura di alici: pulite i topinambur e conservateli come ho spiegato prima in acqua acidulata per mantenere il colore bianco. Quindi affettateli sottili (con una mandolina fate in 3 minuti) oppure a julienne molto spessa (in questo caso al coltello, ma è più lungo). Infine preparate a parte un'emulsione di olio extravergine d'oliva e colatura di alici di Cetara (se non le trovate con alici, ma quelle buone!). Cospargete l'insalata con i capperi (meglio se sottaceto, altrimenti dissalateli mettendoli in anticipo in acqua e poi strizzateli) e infine condite con l'emulsione. Il gioco è fatto. Come si vede dalla foto, per dare giusto un assaggio a tutti ho brevettato l'idea di rubare le coppette al gelataio e metterci l'insalata. Metodo veloce e coreografico!

Ricetta topinambur trifolati: pulite e affettate i topinambur a chips (anche qui con la mandolina 3 minuti), quindi mettere a soffriggere i topinambur con uno/due spicchi d'aglio e una spolverata di prezzemolo tagliato sottile. Regolate di sale e cuocete a fuoco non troppo alto con la padella coperta (se si asciuga troppo un po' di acqua, ma solo per evitare che si attacchi alla pentola). Quando è cotto ve ne accorgete dall'odore, quanto alla consistenza tenete presente che è simile alla patata, quindi vi accorgete quando è cotto quando è morbido ma non si spappola. Ottimo come contorno soprattutto ad un piatto di carne oppure un pesce abbastanza saporito come il salmone.

Ps. nella stessa esperienza sono venuta in contatto anche con il cavolo rapa. Anche in questo caso, ricettine per assaggiarlo sia crudo che cotto. Il link di seguito:
http://ilpolipoaffamato.blogspot.com/2012/02/cavolo-rapa-ricette-per-cucinarlo-crudo.html

domenica 18 dicembre 2011

Al Convento di Cetara


Tre gamberi sono tre gamberi. È quello che abbiamo pensato a fine pasto al Convento di Cetara. Un posto davvero interessante sia dal punto di vista estetico – siamo davvero in un convento – che da quello gastronomico. Un percorso attraverso i sapori della tradizione, pur con qualche innovazione e idea intelligente, che non delude. Per avere una panoramica completa abbiamo scelto di assaggiare il menù degustazione e farci prendere per mano e portare lungo questa strada alla scoperta dei sapori di Costiera. E per non farci mancare nulla, abbiamo chiesto di assaggiare entrambe le varianti (ci sono un paio di opzioni sia per i primi che per i secondi), in modo da poter fare il nostro tradizionale “sharing” delle portate e assaggiare davvero tutto.
Eccoci quindi ai piatti: si comincia con un antipasto misto che altro non è che un elogio dell’alice di Cetara (con qualche piccola deviazione sempre marinara). Marinata, of course, ma anche sott’olio con il pomodoro secco dolcissimo, panata e fritta con una fettina di provola affumicata al centro (l’abbiamo ribattezzato “sofficino di alici” e l’abbiamo trovato geniale!), in polpetta con uvetta e pinoli sempre fritta (la mia preferita), in scapece (già fritta, ma poi ripassata in aceto e conservata). Già qui eravamo in solluchero!
L’apoteosi è arrivata però con i primi, che per quanto erano semplici e buoni ci hanno decisamente conquistati. Sembrerà banale, ma si poteva non assaggiare lo spaghetto con la colatura di alici a Cetara? La tragedia è che, pur avendo acquistato la colatura, dubitiamo che ci possa venire altrettanto buono se ce lo cuciniamo da soli! Molto meno scontata l’altra proposta di primo: ziti spezzati con genovese di tonno. A quanto pare questo è un vero cavallo di battaglia del Convento e devo dire che il perché ci è sembrato più che comprensibile. Avete presente quelle genovesi della nonna dolcissime (mia nonna, napoletana di origine, ne era un’artista), con la cipolla pressoché spappolata che è diventata quasi una crema? Ecco, era una cosa del genere, ma con questo “quid” in più che era l’aggiunta di tocchetti di tonno.
Quindi i secondi. Da qui una lieve discesa, non perché non ci siano piaciuti (anzi), ma perché ci è sembrato che la genialità si fosse esaurita nei piatti precedenti. Fra i secondi, infatti, abbiamo assaggiato una buona frittura di paranza, molto ben rappresentata, e una “bistecchina” di tonno al sangue ma non troppo. Entrambi piatti senza difetti, a parte il fatto che fossero già molto visti e ci sembrassero meno caratteristici dei precedenti.
I dolci non sono della casa, ma sono scelti con cura dal patron. Un tempo se ne occupava Sal De Riso, ma poiché è diventata una mezza industria, oramai i locali diffidano di lui. Per questo adesso il posto è stato lasciato a “Umberto Dessert”, che ci ha proposto un babà bagnato come piace a me (molto umido, ma con una bagna dolce e poco alcolica) e una fettina di una torta che sembrava un tiramisù rielaborato. Questo secondo dolce era un po’ Derisiano, a metà fra semifreddo e torta tradizionale, eppure mi è sembrato più “puro” di quelli che attualmente propone De Riso. Quindi complimenti al Convento anche per l’ottima scelta del fornitore.
Ps. Notizia in anteprima: sembra che la Cuopperia del Convento aprirà il prossimo anno a Roma. Ci hanno detto che mancano solo le firme… E sarà presente – da aprile – nella sede romana di Eataly!!!

Pps. se volete visitare il sito di questo locale cliccate sul seguente link:

sabato 19 novembre 2011

Said: aperitivo alla Fabbrica del Cioccolato

Torniamo in questo locale dopo diversi anni e troviamo l'ambiente immutato dal punto di vista estetico (molto carino il locale con un sano recupero di vecchi elementi), ma molto cambiato come priorità. La sensazione è che adesso Said sia più votato al ristorante e al negozio, meno alla caffetteria e agli aperitivi.
Soprattutto su questo secondo fronte, motivo per cui eravamo andati lì, c'è stato un notevole cambiamento di format, che ci ha lasciati francamente un po' delusi. Ci ricordavamo i bei tempi in cui l'aperitivo era servito con un contorno di buffet in cui campeggiavano rustici, sfizi vari e insalate, ma soprattutto lei: la cofana di "nutella" fatta in casa da Said con relativo cestino di pane di accompagnamento. Tutto questo è stato sostituito da una guantiera di rustici (più o meno una ogni 2 persone) e altri sfizi per lo più molto buoni. Il tutto non ci fa affatto rimpiangere il vecchio buffet, ma ci manca molto la cofana di "nutella", anche perché oltretutto con la sua assenza viene a mancare una tipicità di Said, in quanto fabbrica di cioccolato. Suggerimento agli amici di Said: bene il vassoio di sfizi vari, ma magari perché non ripristinare la vecchia buona abitudine del cioccolato? Non dico una cofana, ma una coppettina con uno spalmino e un cestino di pane sarebbe cosa gradita. Senza dimenticare che così Said tornerebbe ad essere ricordato come una cioccolateria che fa gli aperitivi.

Ps. di seguito il link di un aperitivo che continua ad essere il nostro preferito: