martedì 22 giugno 2010

Meditazione sul vino Marsala


Chi l'ha detto che il Marsala è buono solo per dare sapore allo zabaione? O al massimo per le scaloppine? Nell'immaginario moderno il Marsala è quel vino che la nonna ha sempre in dispensa, più per cucinare che per altro. Fino a qualche giorno fa devo ammettere che anche io associavo al Marsala quella bottiglia impolverata che sta nella vetrina del salone: dicono che la portò da Palermo il mio bisnonno Andrea qualche anno dopo la guerra. Ma mi sono dovuta ricredere e prometto solennemente che d'ora in poi una bottiglia di Marsala la terrò anche io e non in dispensa, ma insieme agli altri distillati e vini da dessert che sono solita offrire ai miei ospiti a fine pasto. Come mai questo cambiamento di rotta?
Galeotto fu il weekend a Marsala. Organizzato non a caso proprio dal Consorzio del Marsala che intendeva rispolverare l'immagine del suo protetto. Visite alle cantine, assaggi e abbinamenti a cibi siciliani. Un vero paradiso. Oltre che un weekend decisamente istruttivo: ho imparato che il Marsala si divide in Vergine, Fine e Superiore. La differenza la fanno gli anni (minimi) di invecchiamento, che raddoppiano se sull'etichetta c'è scritto Riserva. Il più pregiato, il Vergine, va per i 5 anni minimo, 10 se è Riserva. Ma anche molti di più. Alla Florio abbiamo visto botti che contenevano vino del '43. A proposito della Florio, in questo caso la pubblicità è d'obbligo: ne ho assaggiati diversi di Marsala in questi giorni e anche più costosi in enoteca, ma devo dire che i migliori erano quelli della Florio.
Ci sono rimasta male solo per la scoperta che ho fatto. Io mi aspettavo un signor Florio, accompagnato da una classica signora ingioiellata siciliana. E invece no. I Florio si sono estinti decine di anni fa. Erano rimaste solo delle donne, che però hanno presto rinunciato a occuparsi di vino. Così, dopo alterne vicende, oggi la storica Cantina Florio, fa parte di un'altra storica Cantina: Duca di Salaparuta. E insieme a Corvo fanno un vero e proprio impero del vino siciliano. Però la mancanza del capostipite ha fatto perdere un bel po' di fascino ai miei occhi.
Tornando al vino, proprio alla Florio ci hanno fatto assaggiare un bel po' di abbinamenti appropriati: per prima cosa le mandorle, la cui nota è presente anche nel vino quindi il matrimonio è a dir poco perfetto; poi il gorgonzola o i formaggi erborinati in genere, che con il loro gusto forte contrastano degnamente il gusto del Marsala; ancora il pesce affumicato e la bottarga, salati al punto giusto da rispondere bene all'unione con il Vergine. Fine e Superiore sono un po' più dolci e leggeri, quindi sono più adatti ai dolci. La "morte loro" è con i dolci di ricotta, quindi la pasticceria siciliana si abbina perfettamente a questi vini. Buon cannolo a tutti!

mercoledì 16 giugno 2010

AUGURI ANCHE ALLA MAMMA'

Dopo gli auguri al papà, giunge l'ora degli auguri alla mammà! In realtà sono in ritardo di un giorno: il compleanno era ieri. Ma in questo caso si trattava di un compleanno tondo tondo e gli auguri e i festeggiamenti sono stati fatti di persona. Dopo i bagordi di ieri, quindi, è l'ora del resoconto completo.


Lo schema del programma sociale è stato:
- ritrovo e aperitivo a casa nostra;
- cena all'Hostaria di Ordona.


Fase 1: aperitivo a casa.
Sapendo di dover andare a mangiare - copiosamente - a Ordona ci siamo limitati a un cocktail (modello Bellini, preparato da mio padre con spumante brut e succo di pesca) con qualche salatino (quelli buonissimi che avevamo riportato dall'aeroporto del Cairo, che poi erano kuwaitiani) e un piccolo finger food di mia preparazione (vedi foto).
Dopo attento studio su internet, mi sono cimentata in questi piccoli bicchierini (anzi cerottini e poi vi spiego perché) di spuma al prosciutto cotto. La ricetta è estremamente semplice: 1 cubetto di robiola da 100 g, mezza ricotta confezionata (che lo so che fa schifo, ma è perfetta per gli impasti perché non è mai troppo acquosa come invece è la ricotta fresca), 200 g di prosciutto cotto e un goccino di brandy per dare brio. Il rametto verde sopra è di timo fresco (serve per decorazione, ma dà anche sapore). La preparazione è estremamente semplice: ho frullato per primo il prosciutto fino a farlo diventare della consistenza "omogeneizzato", mi sono aiutata con il goccino di brandy per far girare meglio il mixer, poi ho amalgamato il tutto con la robiola e la ricotta. La consistenza, per capirci, dovrà essere quella di uno spuntì!!! Per farlo rapprendere meglio, prima di porzionarlo con la sac a poche l'ho lasciato riposare un'oretta in frigo. Quindi ho sistemato i bicchierini, che come dicevo sono cerottini: questa è stata una geniale idea di mia madre che ha comprato decine di questi porta candelina dell'Ikea per utilizzarli non per le candeline bensì per i finger food. Geniale, eh?
Quindi, passata l'ora di riposo, è arrivata l'ora della sac a poche. Ho fatto prima una prova e ho visto che usciva bene, quindi mi sono data a fare ciuffetti ciuffetti. La quantità doveva essere praticamente simbolica, essendo un aperitivo "di cortesia" e non di sostanza. Però nessuno vieta di riutilizzare l'idea per bicchierini più profondi, adatti a quantitativi più importanti. Considerate che mi sono venuti fuori circa 20-25 cerottini.

Fase 2: Hostaria
Siamo quindi arrivati al locale, che ha colpito tutti per l'ambientino, curato e tranquillo. Dopo poco è arrivato il fuoco di fila degli antipasti, che mia madre aveva concordato con la signora del locale. Vado a memoria, ma sicuramente dimenticherò qualcosa: pizzette fritte e capocollo, lardo e minipanini, verdure grigliate, torta rustica di zucchine, pan brioche, pomodori gratinati, involtino di melenzane al sugo, tortino di patate, tortino di patate e carciofi... Poi un paio di grossi taglieri di pizza (ai formaggi, margherita e mozzarella-pomodorini-rucola). Ancora i primi piatti: degli schiaffoni (pasta tipo paccheri) con pesto e pomodorini e delle orecchiette di grano arso alle melenzane. Entrambi buoni, però abbiamo fatto l'errore di mangiare prima gli schiaffoni, quindi le orecchiette sembravano sciapite al confronto. Infine, dei bellissimi taglieri di formaggio e frutta, davvero ben presentati e molto originali. Per concludere, naturalmente, la torta, che era la millefoglie di Moffa (la migliore pasticceria di Foggia). Vino, spumante, limoncello... Un po' di alcool per movimentare la serata e per sudare un po' visto che il 15 giugno non poteva che far caldo!!!
Neanche a dirlo che si è mangiato tanto e bene... Non potevamo che scegliere una buona cuoca per festeggiare i X anni di mia madre.

martedì 8 giugno 2010

Belgio, paradiso della birra... un po' meno del cibo!


Di ritorno da un breve weekend fra Bruxelles e Fiandre, i miei ricordi da gourmet provetta si fermano a pochi elementi: la birra, le gauffres, le patatine fritte. Scordate rapidamente le moules (cioè le cozze) così come le escargots (cioè le lumache) e qualsiasi altra cosa più "tipica" della cucina belga (chiedo venia per la mancanza di accenti sulle parole francesi, ma non conosco la lingua e non mi va di ricercare le parole una per una).

BIRRA: ovunque siamo andati ci siamo concessi una bella birretta, anche perché statisticamente costa meno dell'acqua. Oltretutto siamo grandi estimatori delle birre chiare trappiste, blanche per gli amici. Molto diffusa e da me apprezzata la Hoegaarden, ma il mio cuore ha battuto pià forte per la Tripel Karmeliet servita in un simpatico locale di Gand (o Gent, che dir si voglia) ricavato in quello che credo fosse un vecchio magazzino, a ridosso del canale. Il posto si presentava particolarmente local, con i suoi bei prosciutti appesi alle travi del soffitto! Segue documentazione fotografica... Ancora un'emozione con la Trappistes Rochefort, presa in bottiglia da un bangla che la vendeva, fredda, a due euro, contro i 7 a cui l'avevamo comprata, calda, in un locale di Roma.


PATATINE FRITTE: fra i tanti odori che si sentono per le strade della città, uno dei più caratteristici è quello di fritto!!! Seguono quello di caramello sciolto delle gauffre (di cui parlerò in seguito) e quello di kebab sprucido tendenzialmente greco che circonda la Grand Place. Tornando alle patatine fritte, che in Belgio si chiamano semplicemente Frites, le abbiamo provate in due occasioni: il primo giorno, vicino a Chapelle; il secondo giorno nei pressi del Parlamento Europeo, in Place Jourdan, dal mitico Maison Antoine. Ne avevamo letto su diversi forum su cui avevo cercato informazioni prima di partire: tutti dicevano che erano talmente buone che la fila è lunghissima. Noi ci siamo passati di domenica, pensando che fosse anche chiuso e invece... non una ma due file di autoctoni che aspettavano per il loro cartoccio caldo caldo di patatine, con un vasto assortimento di salse, spatasciate sulle patatine, oppure servite a parte in una vaschetta. E in effetti erano buonissime! Con un cartoccio a testa, ci abbiamo fatto cena!

GAUFFRES: ne abbiamo mangiate tante, sia plein che con panna e cioccolato. La più buona l'abbiamo trovata a Gent, ma devo dire che le differenze erano minime. Sono l'equivalente dei waffles americani e vengono servite sempre calde. Quando ci metti la panna sopra, pian piano si scioglie e ci si sporca rigorosamente tutti!

ALTRO: la prima sera abbiamo cenato in un ristorantino un po' più elegante, ma anche se non si è mangiato malissimo, complessivamente non siamo usciti molto soddisfatti, a fronte di una trentina di euro a testa. Abbiamo provato le cozze con la cremona di birra e panna, ma francamente erano pesantissime. Più piacevole una specie di toast con le escargot, le lumache. Mentre un petto di faraona alla salsa al ribes era davvero troppo dolciastro. Nel locale con i prosciutti appesi, oltre alla birra, abbiamo mangiato anche un piatto di salumi e formaggi non proprio esaltante e un wurstelone di carne di cavallo che invece non era male. Poi avevamo visto che in un pub servivano le lumachine di mare, di cui non ricordo il nome in francese e ci siamo seduti a mangiarle con una bella birra, ma non erano questa cosa così esaltante: più che altro era divertente estrarre il corpo della lumachina con un simpatico aghetto a forma di pesciolino...
ACQUISTI: non potevamo tornare senza riportare qualcosa di tipico. Purtroppo le restrizioni aeroportuali ci hanno impedito di riempire la valigia di birra, quindi ci siamo accontentati di cioccolato e formaggio. Il cioccolato lo abbiamo comprato dal mitico Leonidas, che riempie tutta la città con i suoi invitanti negozi. A dir la verità non lo abbiamo ancora assaggiato. I formaggi, invece, sopravvissuti ai controlli all'aeroporto, sono la cosa più puzzolente che abbia mai sentito: puro piede gorgonzolato! E dire che a me piacciono i formaggi puzzoni... ma questa volta abbiamo forse esagerato (non è dello stesso avviso Giampiero)! La scelta, effettuata proprio a naso, è ricaduta su un tipico formaggio molle d'abbazia bagnato alla birra: vi dico solo che la mia valigia se lo ricorda ancora, nonostante le buste di plastica con cui avevo cercato di isolare l'elemento radioattivo! Per non parlare del frigo, che da ieri che sono tornata non è conveniente aprire...





venerdì 4 giugno 2010

AUGURI AL MIO PAPA'



Oggi è il compleanno di mio padre e purtroppo sono lontana, altrimenti avrei nuovamente provato a fargli il suo dolce preferito: la cassata. La foto è di qualche anno fa. Non ricordo le dosi precise (utilizzai quelle di un libro di ricette siciliane), ma ricordo come realizzai questa cassata fatta in casa e soprattutto semplificata.

Per prima cosa ho fatto un piccolo Pan di Spagna. Non è importante che sia alto, basta adattare le dosi a un paio di uova, perché serve solo per il fondo, ed è buon uso di scegliere uno stampo rotondo in modo da non aver difficoltà ad adattare la base alla torta. Poi il grosso delle attenzioni vanno dedicate alla ricotta per il ripieno. Per prima cosa va fatta scolare per bene, anche diverse ore. E' importante che si tratti di ricotta di pecora o ancor meglio di capra, perché deve essere molto saporita per contrastare ed esaltare la dolcezza dello zucchero. Una volta sgocciolata, la ricotta va setacciata cucchiaio dopo cucchiaio (anche più di una volta), quindi amalgamata allo zucchero e a un pizzico di cannella. Infine, bisogna aggiungere i "condimenti" che si preferiscono. La regola vorrebbe i canditi e le gocce di cioccolata, ma io non amo i primi e ho usato solo il cioccolato per l'interno.

Il marzapane per la copertura, per facilitarmi la vita, l'ho comprato e ho deciso di non colorarlo. Tradizione vorrebbe che fosse verde, ma io mi sono accontentata del bianco naturale, con l'intenzione di decorarlo dopo con abbondante frutta candita, che a mio padre piace tanto e che io dalla superficie riesco a scartare più facilmente.

Quindi arriva il momento di assemblare il tutto. E qui viene il difficile. Una volta steso il marzapane, aiutandosi con zucchero a velo, va adagiato su una ciotola semisferica. Per aiutarsi a sformarla in seguito, è importante mettere un fondo di pellicola trasparente, così basta capovolgere, senza rovinare la torta. Quindi va messo il marzapane per foderare il fondo, poi la ricotta, infine il Pan di Spagna bagnato con un po' di sciroppo (meglio se liquoroso). A questo punto, la torta deve riposare almeno 2 ore in frigo per far assestare e compattare la ricotta.

Infine, la fantasia per decorare.

I siciliani contesteranno che mancano diversi passaggi, ma garantisco che il risultato non è male (benché ovviamente non fedele).

Betto e Mary, senza figli


Di solito andiamo dal Meglio di Betto e Mary, ma questa volta abbiamo scelto di andare dai capostipiti, cioè i genitori, a via di Savorgnan. Per chi non c'è mai stato, sembra di non stare a Roma, con palazzotti bassi antichi: sembra più che altro un paesino dell'entroterra.

Il locale tradisce un po' gli anni, rispetto al Meglio, che invece, nel suo arredamento da baita burina dà un'impressione di nuovo. Ci sono anche diversi tavoli fuori, per chi proprio non può rinunciare a fumare.

Quanto alla cucina, mi aspettavo qualche differenza in più, ma in verità la formula e i piatti sono mediamente gli stessi.

Si comincia rigorosamente dagli antipasti assortiti: coppiette e sfilacci di cavallo, cavolfiori fritti, peperoni con i pinoli, melanzane, verdurine in pastella...

Poi si passa ai primi, confezionati per lo più con pasta fatta in casa, come la mitica gramiccia, che è una versione più sottile degli spaghetti alla chitarra. La più saporita, alla fine, risultava l'amatriciana, ma per noi la tradizione vuole che prendiamo un piatto di gramiccia condito con le due specialità della casa: sugo di coda alla vaccinara e sugo bianco di animelle, carciofi e noci. L'ultima volta, dai figli, questo primo romano ci era parso un po' sciapito, qui invece era davvero saporito. Da segnalare solo che le porzioni sono leggermente più piccole: noi avevamo preso questo primo in due, pensando di rinunciare ai secondi, ma ci rimaneva un po' di fame...

Occasione per assaggiare anche un po' di "misto romano": coda alla vaccinara in bianco e in rosso, pajata (buonissima), animelle. I più schifiltosi potrebbero reagire male alla vista di questo tripudio di interiora, ma chi assaggia senza preconcetti non rimarrà deluso.

Vino della casa, dalla qualità discutibile e romanella con i biscottini per finire. Complessivamente preferisco il meglio, ma per quanto mi riguarda questo locale è meno lontano.

Per di più, il conto è ancor più leggero dei figli: 11 euro a testa.