domenica 30 dicembre 2012

Covo dei Saraceni a Polignano a Mare

Gita di Natale fuoriporta in una giornata che sembrava benedetta, per quanto sole c'era e quanto il mare era calmo nonostante fosse inverno pieno. Abbiamo scelto Polignano a Mare, piccola perla arroccata sul mare a pochi chilometri da Bari (dopo Bari, venendo da Foggia). Neanche a dirlo, il posto è spettacolare, anche se, devo dirlo, qualche abusivismo di troppo ne deturpa anche gli angoli più belli. Uno di questi cubi arroccati sulla pietra è l'Hotel il Covo dei Saraceni. Visto dall'altro lato è un po' un pugno di cemento nell'occhio, ma una volta che ci entri dentro e godi della vista dalle sue terrazze... beh, è una posizione incredibile, direttamente sulla falesia.
Così, mentre stormi di gabbiani papariavano tranquilli sul mare, noi ci siamo concessi un pranzetto a base di pesce (of course!) con vista. Vi confesso che avevo le mie remore, pensando che fosse il classico posto raffinato ma poco appetibile. E il menù un po' retrò sembrava confermare questa impressione. Invece è stato un pranzo decisamente piacevole e tutto quello che abbiamo assaggiato rispecchiava il giusto connubio fra prodotti freschi e cucina semplice e tradizionale.
Abbiamo cominciato con un antipasto misto, che comprendeva una carrellata di pesci crudi e cotti (siamo pur sempre nel barese!). Niente conchiglie, cozze e ricci di mare, ma un buon carpaccio di tonno servito con una vinaigrette di olio e arancia e una leggera spolverata di un cacioricotta poco salato. E dei freschissimi gamberi appena sgusciati, ma crudi. Sorpresa delle sorprese, l'arrivo di uno scampo servito in una glacette piena di ghiaccio: era stato bollito e messo al freddo per bloccare la cottura e rendere le carni più compatte. Il buon Modugno, originario di Polignano, avrebbe detto "meraviglioso!". Poi ancora un'insalata di polpo molto morbida, un calamaro bollito non male (anche se l'avrei servito freddo e non caldo) e qualche altra cosa che mi sfugge.
Per primo abbiamo preso il classico dei classici baresi: tiella risopatatecozze. Lo scrivo così, perché come insegnano i baresi non ci può essere spazio nel nome, come non ce n'è nella teglia. Tutto va cotto insieme nel forno. Era davvero buona, specialmente nelle parti che si erano giustamente "incruscate" nella teglia. Poi abbiamo dato una mano a mia madre a finire una piacevolissima calamarata con sugo rosso al pesce spada e olive. Nonché i due tranci di coda di rospo, sempre con olive, ma in bianco, che le sono arrivati successivamente.
Per concludere non abbiamo chiesto altri dolci, perché ci hanno servito spontaneamente dei dolci di Natale. Peccato per quei mostaccioli un po' bruschettati, perché per il resto era tutto buono! Oltretutto da dire che i prezzi erano più che ragionevoli. Neanche una trentina di euro a testa, vino incluso (e abbiamo notato che tutti i vini avevano ricarichi più che onesti), con porzioni abbondantissime e pesce davvero buono. Da ripetere!

sabato 29 dicembre 2012

I piatti più buoni mangiati nel 2012 (pizza inclusa)

Alla fine dell'anno è tempo di bilanci. Diciamo che il 2012 è stato un anno particolare, fra novità, probabilità e imprevisti. Ma soprattutto un anno in cui - lo testimonia la mia raccolta di ricevute fiscali pronte per il commercialista - ho mangiato spesso fuori e assaggiato tanti piatti diversi. Molti sono stati recensiti e raccontati ampiamente su questo blog, ma voglio raccogliere i 10 più buoni, sconvolgenti, ricordevoli e soprattutto che consentirei di assaggiare nel 2013!

Ps. non è una classifica, considerate che sono piatti che metterei sullo stesso piano, come un'ideale, lunga degustazione.

1) Rocher di coda alla vaccinara dello chef Riccardo Di Giacinto (ristorante All'Oro, che però si è appena trasferito al The First Luxury Art Hotel);
2) La cornucopia di amatriciana dell'Oste della Bon'Ora a Grottaferrata (starring il mitico Oste Massimo Pulicati e la moglie Maria Luisa, di cui si ricorda anche la crema pasticcera che porta il suo nome);
3) La cacio e pepe di Pistelli Hostaria, ancora a Grottaferrata (anche se sono gli ex della Scuderia di Genzano), con un pepe del Borneo che dava un sapore incredibile;
4) La pizza di Sforno (qualunque sia) che con il suo impasto "puffoso" è la pizza più buona che conosca;
5) Lo spiedino di carne d'agnello e melanzana alla brace mangiato ad Istanbul nel quartieraccio di Horor Caddesi, nel ristorante Urfali Haci Usta;
6) La focaccia calda con la mortadella portata nientemeno che dalle mani di Pierluigi Roscioli nel suo nuovo quartier generale di Romeo a via Silla (insieme alla meravigliosa Cristina Bowerman, vedi sotto);
7) Il panino con il foie gras di Cristina Bowerman, stesso posto (Romeo) due anime della cucina così vicine e così lontane, accomunate dalla ricerca non del buono, ma del più buono;
8) Il tris di tonno di Leonardo Vescera, bravissimo chef del Capriccio di Vieste, a mio parere l'unico ristorante veramente degno di nota del Gargano marittimo;
9) La torta Peccato di gola di Pietro Moffa, pasticceria di Foggia (meno male che c'è lui!), un'iniezione di burro talmente magnifica che vale la pena di sospendere qualsiasi forma di dieta;
10) Le melanzane ripiene alla viestana, beh, fatte da me... Non è per autoincensarmi, ma semplicemente per dire che per quanto mi piaccia andare al ristorante, certe volte si possono realizzare anche in casa piatti degni di una tavola da re.
Vi copincollo di seguito il link della ricetta, che oltretutto era una ricetta della nonna e come tale va rispettata: CLICCA QUI.

Oasis sapori antichi a Vallesaccarda

La prima cosa che viene in mente in questo ristorante è la parola coraggio. Il coraggio di stare in mezzo alle montagne, dove d'inverno capita anche frequentemente che nevichi e che sia impossibile raggiungere il ristorante. Il coraggio di stare in una montagna sconosciuta, non certo sulle Alpi né in località turistiche, ma praticamente in mezzo al niente al confine fra Puglia e Campania, fra provincia di Foggia e provincia di Avellino (in cui si colloca per la precisione Vallesaccarda). Il coraggio di essere in Irpinia, sì, quella famigerata Irpinia che in Italia è conosciuta solo per il terremoto del 1980. E, diciamoci la verità, il coraggio di essere in un paese non esattamente bellissimo, dove l'attrattiva principale sono le pale eoliche che girano sfarfallando nel mezzo di una campagna rigogliosa. E' proprio questa campagna rigogliosa, forse, il vero motivo della "resistenza" della famiglia Fischetti in questi luoghi: dove potrebbero trovare, in Italia, le meraviglie che la terra dà loro per comporre i loro piatti? E' vero che in Italia si trovano piccole meraviglie gastronomiche ovunque, ma qui siamo nella Campania Felix, e non so se mi spiego!
Detto questo, parliamo del ristorante. Troppo grande per essere un intimo ristorantino di campagna/montagna, troppo piccolo per essere una sala ricevimenti. Diciamo che ha quella dimensione giusta per potersi quantomeno garantire un introito fisso annuale grazie ai festeggiamenti di gruppi numerosi ma non troppo: battesimi, comunioni, cresime, anniversari, compleanni. E nello stesso tempo intimo nella distanza fra un tavolo e l'altro, tanto che la concomitanza con una di questi festeggiamenti difficilmente urta i commensali degli altri tavoli.
Il servizio, poi, è raramente attento e accurato. Dico raramente perché in questa parte di mondo, difficilmente si trovano ristoranti eleganti (peraltro a prezzi più che ragionevoli). Pani fatti in casa, piccoli sfizi di forneria che vengono serviti per ingannare l'attesa (una specie di grissini, ma più che altro delle striscioline di pasta), petit fours e dolcetti secchi di Natale per concludere.
Nel mezzo, un pranzo che per noi è stata un susseguirsi di emozioni gastronomiche, con porzioni che sfioravano il pediatrico, ma ampiamente giustificate dal numero di piatti che si sono susseguiti sul tavolo. Una notazione simpatica sul menù: ogni piatto è corredato di anno di creazione e messa in carta, tanto per far capire quanto siano cavalli di battaglia della cucina.
Si comincia con il loro antipasto della casa, una specie di antipasto all'italiana: qui la scarsa fantasia del piatto era ampiamente compensata dalla ricercatezza dei suoi ingredienti. Un prosciutto locale, un guanciale, una ricottina da ricordare probabilmente come la migliore mangiata nella vita, una fettina di arrosto di maiale in insalatina. Per proseguire una zuppa di castagne, fagioli e fave di cacao, dove queste ultime scrocchiavano gioiosamente fra i denti anticipando l'esplosione del loro sapore dolceamaro. Quindi i ravioli (due di numero, ma grandicelli) di burrata ed erbette, con manteca campana e tartufo nero irpino: il tartufo non era molto sapido, eppure non ne abbiamo sentito affatto la mancanza, grazie alla rotondità dell'abbinamento burrata (dentro) e manteca (fuori) che è una specie di burro salato. Come secondo piatto l'agnello alla vecchia maniera, purè affumicato al legno di faggio e riduzione di Taurasi. In questo caso devo denunciare la scarsezza della porzione, ma per un motivo ben preciso: era troppo buono! Da mangiarne a quintali! I bocconcini di agnello erano compatti al taglio, quanto morbidi e delicati alla masticazione: come si dice dalle mie parti "un burro". L'affumicatura del purè mi ha ricordato un po' la melanzana cotta alla brace turca, dove appunto l'affumicatura sovrasta il sapore dell'ortaggio. Nel caso della melanzana poi viene il retrogusto amaro. Nel caso della patata affumicata, rimane solo la morbidezza e il gusto flambè.
Per concludere i dolci, che come dicevo erano accompagnati dai petit fours e dai dolci di Natale. Questi ultimi molto piacevoli nella loro semplicità arabo-contadina. Siamo in una parte d'Italia, infatti, dove i dolci di Natale sono secchi, a volte fritti, quindi ricoperti di zucchero, di miele e di vincotto. E capita facilmente di rivederli sui banchetti dei mercati del Nordafrica. In questo caso i dolci sono stati portati diversi per ogni commensale, quasi a voler fare assaggiare la maestria della cucina in pasticceria. Abbiamo apprezzato la scelta e gradito più di tutti il wafer con cremoso al mascarpone, vincotto e caffè. Per accompagnarlo ci è stato proposto un muffato cileno, molto ma molto particolare, mentre durante il pasto ci eravamo fatti accompagnare da un Lacrima Christi della cantina Mastroberardino.

giovedì 13 dicembre 2012

Crespelle alle castagne con ricotta, porcini e zucca

Il vero mago delle crepes è Giampiero. E ogni tanto viene incastrato con la richiesta di prepararmele... Il risultato è sempre ottimo, sia di consistenza che di sapore. E adatto a decine di preparazioni. La norma è che, appena pronte, le mangiamo un po' salate un po' dolci, condite al momento e arrotolate. Quando avanzano, però, il giorno dopo, la morte loro è diventare una piccola lasagna, crespelle, appunto. Nella foto, c'è la versione che ho inventato io ieri: crespelle alle castagne (questa volta le avevo fatte fare così), con una crema di ricotta, prosciutto cotto e porcini all'interno e una crema di zucca e cipolla all'esterno. Andiamo con ordine: come si fanno le crepes (o crespelle, che dir si voglia)?

La ricetta di Giampiero, proveniente direttamente dalla Francia, prevede:

1 kg di farina;
1 lt di latte;
4 uova;
mezzo bicchiere di olio d'oliva;
mezzo bicchiere di birra;
un pizzico di sale;
acqua quanto basta.

Ovviamente, questi sono dosaggi da squadra di rugby. Per dire, rispettando il programma di cui sopra, noi in due persone le abbiamo fatto con base 1 uovo (quindi un quarto di tutti gli ingredienti). E come dicevo abbiamo messo la farina di castagne, che dà un profumo molto particolare alle crepes. Mi raccomando, siccome questo tipo di farina assorbe molto di più i liquidi di quella normale, miscelatela con la farina classica con un rapporto 1 a 3, quindi su circa 250 g di farina, potete metterne 80/90 g di castagne. Quanto all'acqua necessaria ad "allentare" il composto, mi raccomando la consistenza. Credo che tutti noi almeno nella vita abbiamo visto da vicino una pastella per crepes: beh, aggiungete acqua pian piano fino a raggiungere quella stessa consistenza! La cottura, poi in questo caso non richiede ulteriori grassi, è sufficiente una bella padella antiaderente adatta.

Come dicevo le abbiamo mangiate in prima istanza dolci e salate, calde appena fatte. Dolci, neanche a dirlo, con Nutella. Salate mescolando i seguenti ingredienti che avevamo a disposizione: ricotta, insalata, provola, prosciutto cotto, melanzane grigliate in olio... 

Il giorno dopo, l'illuminazione: faccio le crespelle. Per realizzarle ho fatto i seguenti passaggi. In un pentolino ho messo a soffriggere con poco olio la cipolla tagliata a fettine sottili, quindi quando cominciava a dorarsi ho aggiunto mezzo bicchiere d'acqua. L'ho fatta andare qualche altro minuto e ho aggiunto la zucca tagliata a listarelle e cubettata e un pizzico di sale e di pepe. Insomma, più la tagliate piccola, più la zucca cuoce in fretta. Coprite la pentola e lasciate andare per un quarto d'ora, 20 minuti. Se la cipolla non piacesse, cuocete solo la zucca con un goccino d'olio e mezzo bicchiere d'acqua.
Contemporaneamente, in un'altra pentola ho messo a scaldare dei porcini surgelati con un po' d'acqua per farli rinvenire. Quando sono ammorbiditi tagliateli a pezzetti e scolateli per bene, visto che andranno con la ricotta. Ovviamente, se avete la fortuna di avere porcini freschi tutto questo non è necessario. Se volete potete passarli prima brevemente in padella, ma anche lasciarli crudi, così si cuoceranno nella ricotta. Attenzione: il porcino è più che altro un aroma e, come tale, va considerato sempre in quantità moderate. Io per esempio, in questa preparazione ne ho usati 5 o 6 interi non molto grandi.
A parte, cominciate a mescolare la ricotta in crema (io ce l'avevo di pecora, e la preferisco, ma anche vaccina va bene), aggiungendo se volete il prosciutto cotto (io ne avevo una fetta residua da consumare, ma è opzionale), la noce moscata, un po' di parmigiano e pecorino. Quest'ultimo, in particolare, aiuta a regolare di sale e quindi non è necessario aggiungere altro sale. Quando saranno cotti, mettete anche i porcini ben strizzati. Se il composto risultasse troppo "duro" aggiungete un goccio di latte. Il ripieno è pronto. A parte, quando la zucca sarà ammorbidita a sufficienza, frullatela con un banalissimo minipimer.
A questo punto si può passare alla preparazione vera e propria. Coprite il fondo della teglia con qualche cucchiaiata di crema di zucca, quindi fate dei cannelloni con le crepes mettendo il composto al centro e arrotolando. Sistemate tutti i cannelloni di crespelle nella teglia abbastanza strette e coprite il tutto con la restante crema di zucca. Una spolverata di parmigiano a chiudere e in forno per una quindicina di minuti a 180 gradi.
E come tutti i timballi ripieni... Il giorno dopo è ancora più buona!!!

mercoledì 12 dicembre 2012

Scones salati a cuore con prosciutto


Scones salati a cuore
Dopo avere assistito un paio di volte alla preparazione degli scones, ho deciso che era una ricetta facile e che potevo replicarla senza alcun problema. E fin qui... 
Quello che non mi convinceva, però, è la funzione sociale dello scone: è obiettivamente insipido, da solo non vale niente! Ma spaccandoli al centro e riempiendoli diventano ottimi sia dolci che salati e la ricetta di seguito potrebbe assolvere ad entrambe le funzioni. 
Nel primo caso, ça va sans dire, la morte sua è la nutella. Alternativa marmellata, che fa un po' più British o meglio Scottish, visto che la ricetta viene dalla Scozia. 
Io, si sa, al dolce preferisco il salato, e quindi direi che basta metter dentro un formaggio morbido e un salume o anche una qualsiasi forma di verdura (zucchina alla scapece? melanzana grigliata? pomodoro secco? e così via) che la situazione si ribalta a favore degli scones, che diventano dei piacevolissimi bocconcini ripieni perfetti per i buffet. Ulteriore vantaggio, si possono preparare leggermente prima e non soffrono eccessivamente del classico difetto della tartina che poi si ammolla!

Ma andiamo alla ricetta. Quella fornita dalle mie amiche appassionate di scones viene direttamente dall'Inghilterra e prevede

·         225gr di FARINA
·         ½ bustina di LIEVITO
·         40gr di BURRO a temperatura ambiente
·         1 cucchiaio e ½ di ZUCCHERO
·         1 pizzico di sale
·         150ml di LATTE

Procedimento:
Per prima cosa riscaldare il forno a 220gradi: è fondamentale che sia a temperatura quando si inforna perché gli scones devono subire lo choc termico.
Nella ciotola mettere la farina e il burro (le mie amiche di solito usano la margarina per problemi di intolleranza al lattosio, vengono bene lo stesso, ma io di norma preferisco il burro), amalgamarli picchiettando. Aggiungere lo zucchero, il sale e il lievito. Quanto a quest'ultimo gli inglesi hanno il baking powder e quindi il problema del tipo di lievito non esiste. Per noi la logica vuole di usare quello per torte salate in caso di preparazione salata e dolce nel caso di ripieno dolce (la differenza è solo che il secondo contiene la vanillina). Infine versare a filo il latte mescolando. 
La consistenza dell'impasto deve essere elastica e omogenea, dal momento che successivamente dovranno essere stesi con il matterello. Nel caso risultasse troppo morbido, aggiungete farina che comunque vi servirà per aiutarvi a stendere. Stendere l’impasto con uno spessore di 2cm e ritagliarli con la formina (un coppapasta di circa 5 cm). Non vi preoccupate per gli scarti, dal momento che si può reimpastare più e più volte senza problemi. Le esperte ricordano "don't twist", ovvero attenti a non ruotare la formina quando si coppano. Infornare per 12-15 minuti.

Conclusione. I più attenti noteranno che i miei piccoli scones nella foto non sono altissimi. Sembrano non cresciuti, ma in realtà erano perfettamente cotti, solo un po' più biscottati perché li ho volutamente stesi più sottili anche per farne venire di più (erano 30). Ho inoltre utilizzato la farina di manitoba, perché avevo finito quella classica. Questo ha probabilmente appesantito l'impasto. Sempre i più attenti noteranno che sono a forma di cuore... Beh, basta usare lo stampino apposito. E aggiungerei che si può usare lo stampino che si preferisce!

Quanto al ripieno, in questo caso si trattava di certosa e prosciutto crudo, messo al centro, dopo aver spaccato a metà gli scones, in modo che sbordasse e si vedesse. Come anticipavo si possono fare un po' come si vuole, a seconda del gusto. 

Vi propongo un po' di opzioni:
- ricotta di pecora e prosciutto arrosto;
- philadelphia e speak;
- burro aromatizzato alle erbe e salmone affumicato;
- robiola e mortadella;
- gorgonzola...

Ps. si ringraziano Marinella, Alessia e Valeria per aver fornito la ricetta degli scones e il know how!

martedì 4 dicembre 2012

Oste della Bon'Ora a Grottaferrata

Mancavo da un po' alla corte dell'Oste della Bon'Ora, al secolo Massimo Pulicati, che però avevo incontrato più volte nelle varie peregrinazioni gastronomiche e nei passaggi per Eataly, dove lui è stato per un mese animatore dell'Osteria Romana. "Il mio amichetto" Farinetti l'aveva voluto, ben sapendo che avrebbe dato una marcia in più a Eataly.
Ma l'Oste a casa sua è un'altra cosa. Con la sua sedia di legno viaggia di tavolo in tavolo, mettendosi a cavalcioni e rianimando anche i tavoli più spenti. Certo, non è il posto ideale per una cenetta romantica  a due, perché l'Oste finisce per essere terzo incomodo.
Passiamo al cibo, un po' suggerito da lui, un po' dalla sua carta appetitosa e piena di simboletti che aiutano il lettore (piatto vegetariano, piatto del cuore ecc. ecc.). Qui ci piace che si possa prendere un menù degustazione che non è altro che una promessa di riuscire ad arrivare vivi dall'antipasto al dolce, ma senza costringere tutto il tavolo a prendere gli stessi piatti, anzi. Se degustazione deve essere tale, deve anche dare la possibilità di assaggiare più piatti. E questo l'oste lo sa bene!
Così abbiamo preso, in 4, tre antipasti diversi, di cui un carcotto, una zuppa di cipolle e una di lenticchie. Il carcotto è la sua famosa carne cotta, di vitello, cotta come se fosse una porchetta: un'idea talmente geniale che quel volpone di Farinetti ha consigliato caldamente all'oste di brevettarla, così da poterla offrire tutti i giorni nei panini di Ino, anche se l'Oste è tornato a Grottaferrata. Le zuppe invece dichiarano il grande amore dell'Oste per la cucina francese e in particolare quella di cipolle è frutto di una viaggio in tutta la Francia, in cui l'Oste è andato alla ricerca della ricetta perfetta. Quella di lenticchie incontrava meno i miei gusti, perché piccantina, ed soddisfaceva anche meno l'occhio visto il colore sul marrone scuro.
Passiamo ai primi, fra cui regnava incontrastata la cornucopia di amatriciana, con un formato di pasta (fatta in casa, of course) molto particolare. Strozzapreti, ma non nel senso di pasta lunga, ma di gnocchetti che facevano strozzare i preti golosi! Poi la cialda di pecorino che riequilibrava la sapidità, per niente eccessiva, anzi molto delicata. Sempre gli strozzapreti anche per la gricia, buona ma meno entusiasmante. Mentre gli gnocchi con il sugo di spuntature erano ottimi sia per consistenza che per sapore.
Quindi i secondi, ordinati con una guanciola che però non ho assaggiato, un fegato di vitello saporitissimo, una selezione di formaggi molto ben studiata (l'Oste ci ha detto che la maggior parte vengono da una comune di hippie oramai invecchiati che vivono nel cuneese) e una quaglia ben cotta, che sembrava sciapita, ma invece si andava ad equilibrare perfettamente nella sapidità con il guanciale croccante con cui era servita.
Per concludere la crema della Maria Luisa, con tante belle palline di vaniglia vera che galleggiano e tanta felicità!!!

Ps. se volete leggere la precedente recensione sull'Oste basta cliccare sul link di seguito:
http://ilpolipoaffamato.blogspot.it/2012/05/loste-della-bonora-grottaferrata.html

lunedì 3 dicembre 2012

Osteria del Giuda Ballerino a Roma

Da tempo mancavamo da questo indirizzo, che è la diretta filiazione del più costoso Giuda Ballerino. All'Osteria si paga meno, ma non si può certo dire che ci si senta in un ristorante di serie B. Innanzitutto, da sottolineare che l'ingresso è il medesimo, poi la scelta: in fondo a sinistra chi ha un budget illimitato, a destra chi invece sta più attento al portafogli. Non senza concedersi una cena di tutto rispetto e prezzi non proprio da osteria. Beh, perché è sul delicato equilibrio che questa definizione impone che si trova la nostra unica perplessità su questo posto. Al mio paese osteria vuol dire ambiente non necessariamente dimesso (si pensi all'Oste della Bon'Ora che ha un localino carinissimo), ma comunque non certo superfashion e presuppone la presenza di un oste, appunto. In questo caso, la figura dell'oste è affidata a maitre di lungo corso, che sostituiscono il patron in sala, e che nella fattispecie sarebbero capaci di venderti una Treccani (e anche la madre!). Però osteria presuppone anche qualche euro in meno, mentre qui parliamo di almeno una quarantina di euro a testa (prezzo della degustazione), ma anche 50 se si va alla carta e si considera il vino. Nel prezzo è compreso un servizio molto attento e presente (ricordo la Treccani in vendita di cui sopra!), ma anche tavoli un po' strettini e una mise en place un po' così, con tovaglietta di carta brandizzata e tovagliolo di carta anonimo (a quel prezzo ci saremmo aspettati di meglio). Non sono compresi invece i vini, naturalmente, che provengono da una carta estremamente di valore. Con prezzi che nel caso dei rossi partono dai 30 euro a bottiglia. Ok, sono tutti vini spettacolari, con minimo 5 anni di invecchiamento nel caso dei rossi, ma santo cielo se siamo in un'osteria qualcosa di più popolare dovrebbe essere previsto.
Detto questo, passiamo finalmente al cibo. Abbiamo scelto la degustazione, che essendo composta da molte portate obbliga l'intero tavolo ad affrontare questa fatica gastronomica. E che fatica... 
Si comincia con una caprese/panzanella di pomodoro e mozzarella di bufala con acciuga al centro: buonissima e simpatica anche nella presentazione, che ricorda una tartare. Ma la tartare arriva dopo, di carne, delicatissima. Seguita infine (fine degli antipasti, of course!) dai supplì, di pesto di rucola, bufala e nocciola, ovvero di ricotta e porcini con liquirizia (il primo era più gradevole del secondo).
Passiamo quindi al primo, che devo dire che per quanto ci riguarda è stata l'unica nota un po' dolente: rigatoni cacio e pepe con tartufo. Tartufo missing, pasta un po' troppo al dente e piatto salatissimo (il che ha comportato incursione notturna nel frigo alla ricerca dell'acqua!). 
Per secondo, invece, la delicatissima frittura di calamari, asciutta e friabile al punto giusto, servita curiosamente con una composta di arancia. E tanto per non farci mancare niente, ci siamo concessi anche un piatto di anatra, che si componeva di una coscia, di mezzo petto e del foie gras: specialmente quest'ultimo era una meraviglia!
Per concludere in bellezza e con un numero di calorie ancor più consistente, un tiramisù destrutturato, di cui ho apprezzato soprattutto il savoiardo spezzettato e messo pressocché a crudo, il che significa che non era moscio e spappolato come è di solito il savoiardo del tiramisù.
Da bere ci siamo concessi una malvasia del Friuli, che aveva una decisa nota aromatica di liquirizia che ci ha decisamente entusiasmati. A un prezzo ragionevole, 22 euro. Conclusione, circa 50 euro a testa e soddisfazione generale, tranne che avremmo desiderato un tavolo più largo e un tovagliolo di stoffa!