lunedì 25 giugno 2012

Ristorante Hotel Giò a Perugia

In questo posto si mangia sempre bene. Tanto bene che è questo il ristorante che ho scelto, a suo tempo, per festeggiare la mia laurea. E' passato qualche annetto da allora, ma lo standard rimane sempre ottimo e i prezzi più che ragionevoli. Peraltro, c'è da apprezzare il fatto che si tratti del ristorante di un hotel, ma non sia - come purtroppo accade spesso - il classico ristorante da "pensione". Tutt'altro.
Qui due in particolare sono i leit motiv che accompagnano tutta l'accoglienza, dalle camere alla ristorazione: vino e cioccolato. D'altra parte Perugia è la città dell'Eurochocolate, nato dalla volontà di imprenditori un po' più svegli come i padroni di questo hotel (e dell'Etruscan Chocohotel). E in Umbria si vanno vini che hanno poco da invidiare a quelli Toscani (l'Umbria e la Toscana condividono una rivalità turistica ad alto livello).
Ma torniamo alla nostra cena. Questa volta non abbiamo voluto prendere il menù degustazione, ma abbiamo scelto dalla carta, cominciando con un paio di antipasti: i prosciuttini nostrani in carpaccio con la torta al formaggio perugina; il flan di pecorino e porcini. Soprattutto il secondo era davvero buono.
Vecchia conoscenza della carta, abbiamo preso gli gnocchi con il tartufo e gli strascinati ai funghi porcini. Quindi i secondi, con un magnifico petto d'anatra, servito con cipollotti di Cannara e una riduzione di Sagrantino Passito.
Infine i dolci, che qui sono una vera passione: il tiramisù alla gianduia e la torta al triplo cioccolato. Ok, questo secondo dolce ha una punta di stucchevolezza notevole, ma vi assicuro che se vi piace il cioccolato impazzirete!

Roy Caceres e Metamorfosi

H. 9.30, appuntamento davanti al Metamorfosi con Roy Caceres per un'intervista. Prima che lui arrivi, la sfilata di tutta la brigata: un giapponese, uno svedese, un italiano, un colombiano come Roy, che peraltro è suo fratello e si occupa dei dolci.
E' così che comincia la giornata di un ristorante di alto livello dei Parioli, che lavora a pranzo con menù gourmet, ma fissi, e a cena con una carta fatta di nomi quasi imperscrutabili e un menù degustazione di cavalli di battaglia e un altro che è tutto estro del momento.
Il bello, per qualche ora, è sentirsi parte di questa brigata e discutere con Roy di tutto, dalla sua formazione ("Ho iniziato come lavapiatti"), all'avventura pariolina, alla sua bella famiglia: una moglie sarda e tre figli, tutti maschi.
Come è nata l'idea di provarci proprio con Roma? Beh, Roy da "extracomunitario" ha cominciato proprio dalla capitale. L'idea iniziale, 15 anni fa, era di raggiungere la mamma, che già era qui per lavoro, e di provare a sfondare con il basket. Era anche a un buon livello sportivo (doveva chiudere con una squadra di C1, mi sembra che mi abbia detto), poi qualche problema burocratico e il casuale avvicinamento alle cucine. Appunto, da lavapiatti. Ma stiamo parlando di un lavapiatti che prima di lavarli i piatti, vedeva come venivano preparati dagli chef, si è messo a studiare, ha imparato molto bene e sicuramente madre natura gli aveva dato tanto estro e creatività. Così le esperienze nel tempo si sono accumulate, portando Roy a dirigere anche cucine stellate.
Il tutto gli è tornato utile, appunto, quando ha deciso di tornare a Roma e aprire finalmente un ristorante tutto suo. Ed eccoci a due passi da Piazza Euclide (piazza Eu, come dicono i pariolini) a tirar fuori dalla cucina piatti che non capisci come possano essere stati fatti. E quella è la vera bravura...
Il viaggio nella sua cucina, però, spiega molte cose. Fra cui che quella creatività di cui dicevo non è solo nel cucinare (e tanto basterebbe), ma anche nel creare gli strumenti per giungere ai risultati gastronomici che si era prefissato: è così che nasce una specie di pistolotto di sua invenzione per inserire non so quale crema in abbinamento a un piatto, oppure il "forno a legna" senza legna che si è creato e che mi ha colpito particolarmente.
"Volevo fare il pane cotto a legna, ma non ho un forno a legna - racconta - così ho studiato la lavorazione per capire come arrivarci". E lì ha scoperto che gli serviva una superficie arroventata che desse al pane l'impatto iniziale che lo fa gonfiare e ha messo in un normale forno elettrico due placche di pietra lavica. Ma ancora non era soddisfatto, perché mancava qualcosa. Cosa? L'odore della legna. Così ha inventato un marchingegno che su un fornelletto fa scaldare il pane con dei trucioli, che appunto bruciano sotto al pane e danno quel sapore di legna cotta...
Vabbè, l'avete capito: sono rimasta affascinata da questo ragazzone di quasi due metri, con gli occhi che si illuminano allo stesso modo, quando parla della cucina e quando parla dei figli... Ora non ci resta che l'assaggio!!!

martedì 12 giugno 2012

Letizia Grella: la veterana del cake design

Per lavoro capita di fare conoscenze interessanti e avere l'occasione di scambiare un paio d'ore di chiacchiere con una vera maestra del cake design.
Lei si chiama Letizia Grella e a buon titolo si può definire un precursore (non saprei volgere questo termine al femminile!) dell'arte del cake design in Italia.
Questione di fortuna, in parte: essere appassionati di torte e trovarsi vent'anni fa negli Usa equivaleva ad essere dei Cristoforo Colombo della bakery all'americana. E avere l'occasione di essere fra i primi, se non la prima in assoluto, a riportare queste conoscenze in Italia ben prima che "Il Boss delle torte" diventasse un fenomeno di costume.
E pensare che Letizia Grella allo stesso tempo odia e ama Buddy Valastro: "è un genio - dice - e ci ha fatto una pubblicità indiretta incredibile, ma è anche il motivo per cui arrivano clienti con richieste assurde tipo vulcani che eruttano o shuttle che decollano".
Oggi anche i gatti di strada sanno cos'è il fondant (sempre tornando a Buddy, basta accendere la tv e mettere il canale 31, cioè Realtime!), ma fino a 4 anni fa, senza andare troppo indietro nel tempo, parliamo di pionierismo vero. Ed è proprio 4 anni fa che la Grella ha aperto il suo negozio a Roma: una Fetta di Torta.
Peraltro facendo una scelta abbastanza coraggiosa: Casalpalocco come location. In pratica chi vuole una torta da lei deve pure andarsela a cercare in questo angolo un po' sperduto della Colombo...
A questo si aggiunge un'altra scelta se non coraggiosa, certamente peculiare: zero o pochissima manodopera. In pratica lavora da sola, a parte qualche eccezione. In parte per un motivo pratico: nella sede attuale non ci sarebbe abbastanza spazio per una brigata. Ma probabilmente c'è anche un motivo caratteriale: Letizia Grella è una perfezionista e non tollererebbe di far uscire una torta dal suo negozio senza averla come minimo supervisionata da capo a piedi... Quindi ha fatto suo l'antico adagio del "chi fa da sè fa per tre".
In pratica si può dire che "Una fetta di torta" è decisamente una pasticceria esclusiva, dove non è neanche così facile trovare posto nell'agenda, già fitta di corsi, wedding cake e torte per eventi aziendali e presentazioni di libri (la Grella ne ha già scritti due). Non a caso è consigliabile prenotare un bel po' di tempo prima, tanto per assicurarsi il proprio "posto in prima fila".
Ho apprezzato molto la descrizione del modo in cui nasce una torta particolarmente importante, come una wedding cake: "io non ho catalogo. Chiedo agli sposi di descrivermi il loro matrimonio, il vestito di lei e i colori base che hanno scelto per il ricevimento. Quindi cerco di capire i loro gusti ed elaboro il mio progetto".
Beh, perché il cake design è proprio questo: partire dalla pagina bianca, studiare la torta, fare il proprio progetto e realizzarlo decorazione per decorazione. Fiore per fiore, se si tratta di una torta nuziale. Pupazzetto per pupazzetto nel caso delle torte per bambini.
E non dimentichiamo che, insieme alle spose esigenti, sono proprio questi ultimi i migliori amici delle cake designer. Come dice la Grella: "i bambini sono i miei migliori clienti". E in fondo nel creare torte per loro il bello è che si torna un po' bambini...

lunedì 11 giugno 2012

Istanbul, kebab e consigli: dove mangiare

Esser tornata da poco più di 10 ore e avere già l'astinenza da kebap! Succede quando torni da Istanbul, magnifico crocevia fra Europa e Asia, dove meglio di ogni posto del mondo si concretizza l'Eurasia. Neanche a dirlo, una meraviglia di città! Peraltro, io l'avevo già visitata alcuni anni fa e ho potuto notare, con piacevole sorpresa, come fosse cresciuta. Non solo in termini demografici - viaggiamo sui 12 milioni di abitanti - ma anche come testa. Cambiano i turchi e capiscono che il turista non è solo una vacca da mungere, ma una risorsa da coccolare. E' un processo lungo, naturalmente, ma ci stanno arrivando. Loro.
Certamente c'è da dire che Sultanahmet è sempre quella specie di Disneyland all'ottomana, nel cui circolo sono rinchiusi migliaia di turisti, che fotografano, mangiano, dormono e qualche volta si fanno fregare. Eppure gli stessi turchi amano Sultanahmet e in particolare la Moschea Blu, dove sono soliti andare a pregare, specialmente nei giorni di festa. Non è difficile, infatti, intravedere bambini (solo i maschi) vestiti da piccoli sultani.
E gli stessi turchi ci mangiano a Sultanahmet, come abbiamo avuto piacere di notare nella Tahiri Selim Usta Koftecisi, proprio a due passi dalla fermata del tram. La bellezza di questo posto è l'assenza totale di fronzoli: solo due piatti, shish kebap (polpettine) e kebap di agnello. Punto. Poi qualche insalata e qualche dolcino, ma niente di che. Comunque la carne era buonissima.
Sempre a Sultanahmet, nonostante l'ispirazione molto turistica, abbiamo assaggiato il Khorasani. In una traversina dove non mancavano i "buttadentro", abbiamo scelto questo locale seguendo le indicazioni della Lonely Planet e devo dire che valeva la pena fidarsi! A parte qualche trascurabile strizzata d'occhio ai turisti, quel che conta è che questo locale ha una megagriglia in bella vista al centro del locale. Si apprezza, peraltro, la cappa così aspirante da non sentire neanche lontanamente l'odore di carne... e ci stavamo seduti accanto! Prima della carne, però, arriva il vassoione pieno di meze, da scegliere "a vista". Noi abbiamo assaggiato lo yogurt menta e cetrioli (io lo adoro!), delle polpettine di lenticchie che pensavamo fossero fritte e invece erano morbide e fresche, i dolmades (i rotolini di foglie di vite ripieni di riso) e l'hummus ovvero la crema di ceci. Quest'ultima era un po' troppo cementizia per i nostri gusti, ma con il resto ci stava bene, anche perché spontaneamente in questo locale portano sempre una pide, la pizza turca, un po' di burro e di formaggio.
Quindi la carne, che noi abbiamo scelto mista. La più buona? Quella ripiena di pistacchi: assolutamente meravigliosa (infatti ci siamo tornati per bissare!). In altra occasione abbiamo assaggiato in questo locale anche il misto di meze calde, fra cui i borek con formaggio.
I dolci qui non li abbiamo assaggiati, ma purtroppo in generale non amiamo i dolci turchi per l'eccesso di dolcezza (lo so che è tautologico, ma è così, colpa soprattutto del miele).
Sempre seguendo la Lonely abbiamo voluto provare una superterrazza con vista e con cucina, sull'attico di un albergo famoso, l'Armada. Il ristorante si chiama appunto Teras e per chi non l'avesse capito, qui è il panorama che conta: da un lato le moschee, con la Moschea Blu in primo piano e Aya Sofia poco distante; dall'altro la Torre di Galata e l'altra sponda dell'omonimo ponte.
Beh, qui onestamente si mangia meno bene e si spende molto di più, ma è ovvio che si paga la vista, centimetro per centimetro. Da segnalare il servizio d'eccellenza, una discreta carta dei vini locali e una simpatica ragazza turca che fa temporaneamente la cameriera, ma si è laureata al Dams a Bologna, quindi parla l'italiano meglio di molti italiani. Qui abbiamo scelto il menù degustazione, tanto per avere una panoramica completa. Abbiamo mangiato ancora meze, fra cui la crema di melanzane, che con il suo gusto affumicato era la più buona; poi il misto di carne, accompagnato da un'insalata condita fra l'altro con la menta che era buonissima. La carne non era male, soprattutto l'agnello era morbidissimo, ma ci ha colpiti negativamente che al centro ci fosse una specie di spezzatino con la besciamella francamente poco turco. Abbiamo assaggiato anche il dolce, visto che era incluso nel menù, tuttavia come dicevo non ci faceva impazzire.
Per una sera, poi, abbiamo scelto di abbandonare la carne, per concentrarci sul pesce. D'altra parte Istanbul non è sul mare? Ah, vabbè, da dire che sul Bosforo eravamo caduti nella trappola del panino con lo sgombro, che in fondo per quanto turistico non era male (attenzione però alle spine!). Comunque, sempre dalle parti di Sultanahmet, sono tornata sul luogo di un vecchio delitto, visto che di questo ristorante mi ricordavo dai tempi di un viaggio precedente. E non era una memoria sbagliata. Balikci Sabahattin è famoso in tutta Istanbul per la sua qualità. Certo, non sconfinerei in acque non territoriali con gamberoni o aragoste (li abbiamo visti scongelare quando siamo passati nel pomeriggio per prenotare), però su tutto il resto si può contare. Noi abbiamo assaggiato il pesce San Pietro, che era fuori carta, ma campeggiava nel frigo all'entrata e ci ha colpiti. Causa problemi di comunicazione, il modo in cui era cucinato era per noi una completa sorpresa: ed era fritto! In pratica era stato sfilettato, avevano fatto a la polpa a pezzettini e fritto anche testa e lisca. Il risultato era eccezionale... Ah, prima avevamo assaggiato anche le meze, fra cui l'insalata di polpo, poca ma buona; ancora lo yogurt, ma in questo caso con l'aglio; e le alghe (la salicornia detta anche asparagi di mare). Infine, qui il dolce ce l'hanno portato loro: un semolino dolce con una pallina di gelato alla vaniglia, che riequilibrava il gusto. In questo caso ci è piaciuto!
Last but not least, siamo andati nei quartieri più tradizionali alla ricerca di qualcosa di più vero. Zona Fatih, che è in pratica quella più ad alto tasso di arabi (infatti c'erano scritte in arabo ovunque), a due passi dalla fermata di tram Aksaray. Qui grazie alla segnalazione di un altro blogger (di seguito il link per leggere i suoi consigli utilissimi) abbiamo scoperto questo ristorante di Horhor: l'Urfali Haci Usta. Un'autentica chicca, dove purtroppo io ho avuto qualche problema solo con il fatto che non riesco a mangiare il peperoncino. In pratica qui si arriva e si ordina la carne, poi loro spontaneamente riempiono il tavolo di altro. Fra queste una kofte ripiena e fritta (peccato fosse fredda!); un semolino impastato con qualcosa di troppo piccante per i miei gusti, che i locali mangiavano avvolto in una foglia di insalata; una zuppetta viola di cui non ho capito il contenuto; una serie di condimenti che poi possono esser messi nel kebab, che ci si compone da soli in base alle preferenze (insalata, menta, prezzemolo, cipolle...).
Quindi vengono portati gli spiedini. Io qui ho assaggiato lo shish con le melanzane, che era davvero fenomenale. Ho assaggiato anche quello con il fegato, che però ha un gusto molto più deciso. In accompagnamento viene portato del pane arabo fatto in casa, che poi può essere arrotolato con la carne e i condimenti vari di cui dicevo. In pratica ho creato il mio kebab carne e melanzane, con insalata, menta e cipolla: uno dei ricordi migliori di Istanbul!!! Aggiungerei inoltre che qui come stranieri in pratica c'eravamo solo noi e che abbiamo speso una stupidaggine: meno di 20 euro in due!
Beh, con questo finiscono i consigli, anche perché purtroppo è finito il nostro viaggio. Sicuramente la mia descrizione non è esaustiva (come potrebbe in una città di 12 milioni di abitanti!), tuttavia almeno ci sono un po' di indirizzi su cui si può far riferimento, tenendo conto che, a parte quest'ultimo, in media in centro si spendono una trentina di euro a testa. Poco più o poco meno in base alla fama del locale, alla posizione e alla vista...
Come dicevo, è stato molto utile il sito di un collega blogger. Ecco il link di seguito:

martedì 5 giugno 2012

Primo al Pigneto aperitivo e cena...

Sono sempre più convinta che questo locale sia davvero una bella realtà nel panorama romano. Perché è uno dei pochi che si possa definire bistrot e perché si mangia sempre bene, sia che si assaggi un aperitivo sia che ci si sieda a cena. 
Nel primo caso parliamo della formula bevanda+tapas a 10 euro. Un prezzo sicuramente proporzionato al servizio e alla qualità di ciò che viene offerto: una selezione di birre, cocktail e vini al bicchiere ben studiata, accompagnati da un piatto di assaggini davvero gustosi. Nella nostra esperienza il piatto consisteva in un assortimento di un'insalatina di pollo, verdure al vapore con mentuccia, un supplì, un pezzetto di sartù e, dulcis in fundo, una caponata da urlo! Vi devo dire che sono rimasta piacevolmente colpita, dal momento che si trattava di un aperitivo sfizioso, sostanzioso e non eccessivamente costoso.
Un po' più costoso mangiare alla carta, a pranzo o a cena. In questo caso si devono preventivare almeno una cinquantina di euro a cranio. Ma devo dire che li ho sempre considerati ben spesi.
Nella nostra ultima esperienza, un paio di mesi fa, abbiamo assaggiato un fantastico antipasto di melanzana, tipo parmigiana, con la provola affumicata. Il nostro commento era: "buonissimo, è già finito?".
Beh, qui le porzioni non sono proprio enormi, ma se si mangiano tutte le portate dall'antipasto al dolce non si può dire che non si esca sazi.
Per rimanere nella tradizione, l'amatriciana non è niente male, ma meritano un assaggio anche i piatti un po' più estrosi. Fra i secondi, abbiamo assaggiato la faraona: davvero ottima!
Anche i dolci sono buonissimi, sempre ben presentati e con abbinamenti intelligenti.
Ah, dimenticavo, viene servito sempre pane fatto in casa, anche con l'aperitivo. Spettacolare!

domenica 3 giugno 2012

La gatta mangiona pizzeria a Roma

Qualità/prezzo: è questo strano equilibrio che ci balena in testa da ieri, quando abbiamo assaggiato la pizza della Gatta Mangiona. Chiariamo subito un punto: una pizza buonissima, come se ne trovano poche a Roma. Napoletana, ma ad alta digeribilità, considerato che è scesa giù che è una bellezza...
Però quello che non ci è sceso propriamente giù è stato il conto. Uscire da una pizzeria con un conto di 40 euro in due per una pizza a cranio, un fritto (minuscolo) e una birra ci è sembrato francamente tanto.
Andiamo ai piatti. Abbiamo cominciato con i fritti, croccanti e asciutti, ma pochi! Un fiore di zucca (uno!) e un calzoncello ripieno di broccoli e acciughe (uno!). Entrambi a 3 euro cad. La domanda che ci siamo posti è stata: quindi un misto di fritti per una tavolata quanto può costare? 100 euro?
Quindi le pizze. Abbiamo preso una gallurese, con salame piccante, e un calzone. In entrambi i casi si trattava di pizze davvero buone, come dicevo la lievitazione è perfetta. Però ci ha lasciati perplessi anche in questo caso il costo: a fronte di un food cost di qualche decina di centesimi, si può far pagare una margherita 9 euro?
E premetto che sono anche disposta a farlo, ma come minimo mi si deve spiegare quali sono gli ingredienti che facciano lievitare (è il caso di dirlo) i costi. Che farina è? Che pomodoro usano? Voglio conoscere di persona anche la foglia di basilico che viene utilizzata!
In proporzione, risultano meno "sconvenienti" le pizze molto farcite, che arrivano al massimo a 13 euro, ma che mostrano liste di ingredienti con un costo base più evidente.
Una parolina la merita anche il locale. E' assolutamente in ordine e accogliente, però ha un arredamento molto poco fantasioso, dove i gatti sono declinati in foto alle pareti e in ninnoli sparsi qua e là. Insomma, da una pizzeria così "di grido" a Roma ci saremmo aspettati qualcosa di più (e chi mi legge sa bene che sacrifico volentieri l'aspetto esteriore di un locale per un buon piatto casereccio, ma anche in questo commento il costo dei piatti ha la sua influenza...).
Però, c'è da dire che abbiamo apprezzato la consegna della ricevuta fiscale spontaneamente!
Detto questo, ci torneremo, ma sinceramente è una pizzeria da fruire a piccole dosi!