mercoledì 27 gennaio 2010

Per chi ama la formula Bir&Fud...


Il guru della birra di Piozzo, Teo Musso, sbarca a Roma e si allea con quelli di "Bir&Fud" e "Ma che siete venuti a fà", ma si posiziona dall'altra parte del Tevere, a via degli Specchi. L'Open Baladin, aperto di nome e di fatto dallo scorso settembre, è il paradiso degli amanti della birra, specialmente nazionale. Basta un colpo d'occhio all'entrata per capirlo!

Lo ha scovato una mia amica che lavora lì vicino e che ci ha portato in massa per una reunion di giornalisti, disoccupati e non. Peccato che eravamo tanti e il tavolo era una coperta troppo stretta, oltretutto l'acustica non è il massimo per chi si rivede dopo tanto tempo e vuole riassumere le puntate precedenti...

Acustica a parte, effettivamente la birra è la padrona di questo locale, con i suoi "spillatori" professionisti a cui basta dire qualche parola chiave per avere un bicchiere della bionda che più è adatta alle nostre richieste. Io ho detto solo "chiara" e "dolce" e ho avuto un'ottima Isaac. Ho assaggiato anche la Blanche, che rispecchia anche molto le mie preferenze, benché sia più dolce e aromatica.

Birra a parte, andiamo al menù. Dallo stampo di "Bir&Fud" vengono le ottime "fatatine", le patatine fritte in sfoglia, con il loro ketchup artigianale. Poi ci sono diversi tipi di fritti, fra cui le buonissime crocchette di patate (che sembrano dei supplì perché sono rotonde) e le listarelle di pollo.

Un po' meno fritto è il carciofo che viene servito in quattro varianti nello stesso piatto: crema, alla romana, a sfoglia e in petali fritti. Il risultato è invitante, peccato che a me il carciofo proprio non mi piaccia! Ah, è servito con il pane di Bonci che è sempre ottimo e croccante come piace a me!

Poi diversi piatti di mozzarella di bufala, su cui non mi esprimo perché non li ho assaggiati e oltretutto diffido di natura dei latticini lontani dalla loro patria...

Infine, i diversi tipi di hamburger. Io ho preso quello col bacon, che in realtà era con lardo. Buona la scelta di chiedere la cottura: in questo modo chi ama come me la carne al sangue potrà evitarsi la classica "suoletta". Ovviamente, essendo un hamburger non "mc donald'siano" il difetto è che si scompone alla prima addentata, ma sono i rischi che si corrono a mangiare qualcosa di non precotto!
Infine, ci sono diversi tipi di dolci, ma non li abbiamo presi e rimando alla prossima visita...

sabato 23 gennaio 2010

Cinema&Pajata



Tipico sabato sera alla romana... Mentre il resto della città vedeva Juve-Roma su qualsiasi schermo a disposizione, io e Giampiero abbiamo pensato bene di rilassarci al cinema con un bel film (al Tibur), ovviamente a sfondo cuciniero! Soul Kitchen... La storia di un ristorante di periferia che vive alterne fortune, insieme al suo proprietario... Davvero piacevole!

Poi un enorme spiedino che avevamo visto dalla finestra mentre lo infornavano ci ha condotti da "Pommidoro". Aperto il menù abbiamo capito che era il paradiso del quinto quarto. E quindi di Giampiero. Trippa, Coda alla vaccinara e soprattutto Pajata! Scoperta delle scoperte: quel mega-spiedino che avevamo visto mettere nel forno a legna era proprio di pajata. Ovviamente aggiudicato, oltre a un rigatone sempre con pajata per non smentirci.
Unica deviazione, per un antipastino a base di porchetta di Selci in Sabina: davvero delicata. Peccato solo fosse fredda, ma la porchetta non si riscalda: tocca quindi andare a Selci per assaggiarla appena fatta!

Arrivano quindi i rigatoni. Decisamente al dente, con un sughetto che secondo me tradiva una generosa punta di cannella e con lei, la Pajata, al centro del piatto. Fatto a pezzi il cilindro di sapore e amalgamato con pasta e sugo il risultato era eccezionale.

Quindi l'atteso spiedone. A me ricordava vagamente i "cazz'marr" foggiani, ovvero i torcinelli grandi fatti alla griglia. Questo era un rotolone di pajata ripieno di qualsiasi altro pezzo di interiora e generosamente aromatizzato all'esterno. Il risultato era un esterno speziato e croccantino e un interno saporito e molto "animale". Giampiero in brodo di giuggiole, io pure molto soddisfatta.

Torneremo sicuramente in questa tana della romanità da San Lorenzo pre-universitaria/bohemienne.

mercoledì 20 gennaio 2010

Lasagna ai broccoli di mia invenzione


Regalo di Natale come solo io posso chiedere: la macchina per la pasta!

Appena arrivata, decido di ingegnare subito il nuovo giocattolo e mi cimento con lasagne e tagliatelle.

Ingredienti: 3 uova,
300 g di farina,
olio e sale q.b.
broccoli lessati
2-3 salsicce fresche
caciocavallo o auricchio in pezzi e grattugiato circa 100 g.
besciamella (vedi ricetta, link in fondo)

Nella foto vedete le lasagne: per gli esperti di macchina Imperia, lo spessore è 2. L'impasto è quello classico: 100 g di farina per ogni uovo, un goccio d'olio e un pizzico di sale.

Preparata e asciugata la pasta, il giorno dopo decido di utilizzarla subito, cimentandomi in una lasagna di mia invenzione: broccoli e salsiccia. L'accostamento non l'ho certo inventato io, ma per il procedimento sono andata a senso e il risultato ha superato le aspettative.

Avevo dei broccoli siciliani e ne avevo utilizzato le cime (le avevo stufate e mangiate da parte) e messo da parte gambi e foglie. Ho quindi bollito questi ultimi e frullato con un po' d'acqua di cottura in seguito (saranno stati un 3 etti, comunque una volta frullati riempivano abbondantemente una tazza). Messo da parte questo pappone di broccolo, ho quindi preparato la besciamella con il microonde.

Quindi ho amalgamato la besciamella con la pappa di broccolo e ho così creato la crema verde.

Nel frattempo ho messo a bollire in acqua salata e con un goccio d'olio le lasagne. Intanto ho preparato un canovaccio su cui ho appoggiato le lasagne una volta scolate (al dente).

A questo punto comincia l'assemblaggio: fondo di crema verde, lasagne, crema verde, spolverata di caciocavallo grattugiato, lasagne, crema verde, caciocavallo dolce a pezzi e salsiccia cruda a pezzi (tolto il budello)... e ancora finché non finiscono tutti gli ingredienti con abbondante crema verde e una generosa spolverata di cacio.

Forno per una ventina di minuti (il tempo dipende soprattutto da quanto si vuole croccante) a 180°. Ovviamente servire calda e si può preparare anche qualche ora prima.

Per la ricetta della besciamella clicca qui: http://ilpolipoaffamato.blogspot.com/2011/10/besciamella-al-microonde-piccoli.html

domenica 17 gennaio 2010

Pizza di design, no grazie!



Sabato sera. Ci facciamo convincere ad andare a mangiare una pizza in un posto dalle parti di Porta Pinciana, alla fine di via Veneto: Pizzeria San Marco. Proprio la posizione ci convince poco, però. Un locale in via Veneto sa di turistico e sicuramente per turisti sono i prezzi.

La mia amica che l'ha proposto lo descriveva come un bel locale, tutto di design... Mah, per la pizza non è che ci voglia il design, ma l'impasto buono. Però la regola è provare prima di criticare.

Proprio perché è sabato sera si palesano le solite difficoltà a trovare posto (prenotato). Dopo una decina abbondante di minuti veniamo accompagnati in un gazebo di fortuna, che però rifiutiamo perché fa freddo ed è praticamente in mezzo alla strada (non c'era alcun design lì!). Non solo, le pietanze venivano portate in questo gazebo dai camerieri (poverini, a maniche corte) via marciapiede. Non credo che questa prassi sia molto igienica e tollerata da un qualsiasi controllo sanitario. Oltretutto il passaggio di una pizza o di un piatto di pasta a 5 gradi, benché per pochi secondi, sicuramente abbassa la temperatura della pietanza.

Così, aspettiamo ben tre quarti d'ora per accedere alla sala principale. Quindi arrivano i menu: decine di pizze, antipasti, primi e secondi... La domanda viene spontanea: come fanno a preparare ogni giorno tutte queste pietanze?

Comunque ci limitiamo alla pizza, in due versioni, bassa o alta. Io prendo la pizza Vesuvio: provola e scarola. In teoria la scarola doveva essere ripassata con capperi e acciughe, ma questi due ingredienti non si palesano affatto, mentre la scarola era comunque latitante. In compenso c'era un letto di mozzarella che creava uno strato alto oltre un centimetro. Il sapore complessivo non era malissimo, ma l'impasto non era ben cresciuto e certamente di napoletano doc non aveva un cavolo!

Non parliamo della margherita Doc, che ci dicono fosse con pomodorini invece che con la salsa di pomodori. Mah!

Ordiniamo anche vino, dolci e passiti/amari. Risultato: conto di 23 euro a cranio. A pesare sul conto prezzi delle pizze intorno ai 10 euro, ma soprattutto dei tocchi di classe come il "flute di passito" a 7,50 euro. Quindici euro due! Ma con quindici euro mi compro 3 bottiglie di Passito Pellegrino, che non è affatto male! Oltretutto i "flute" (che non erano flute) ci sono stati serviti senza vedere la bottiglia, quindi non c'era certo il modo di apprezzare il prestigio del vino.

Infine, il conto. Come spesso accade ci viene portato il pre-conto, quello non fiscale. Paghiamo e nessuno si perita di portare la ricevuta. Chiediamo al cameriere e ci dice: "dovete chiedere in cassa". Lì ovviamente ci viene fatta senza problemi, ma mi chiedo: quanti si accorgono che quello che hanno avuto al tavolo non è una ricevuta fiscale?

giovedì 14 gennaio 2010

Le cofane der Guercio...


Ci sono giorni che uno vuole il cinque stelle, le tre forchette e i tre gamberi e giorni che invece vuole solo andare a mangiare dal principe degli sprucidi... DOMENICO AL PIGNETO è il posto giusto!

Pare che lo chiamino Er Guercio, ma più che Guercio io lo chiamerei "inzivoso". Dicesi "inzivoso" quel gestore di locale mangereccio che sa di zozzo, di sudicio, di 'nzogna come dicono a Napoli. Però anche quella 'nzogna fa sapore e gli "inzivosi" hanno sempre i loro avventori affezionati.

Noi a Roma, non ricordo più come, ci siamo affezionati a Domenico, prima ancora che il Pigneto diventasse zona trendy. Tanto più che Domenico sta quasi a Piazza Malatesta, lontano dall'area pedonale tutta cani e bohemienne.

All'ingresso del locale di Domenico si trova una "zona fumatori" fatta di un tendone bianco da fiera di paese, funghi per riscaldarsi, sedie e tavoli di plastica, la televisione incatenata e lucchettata, una fontana di gesso al centro e vari nanetti sparsi qua e là. Dentro, un arredo da girarci un film anno Ottanta: pareti rivestite di plastica, rifiniture di marmo e pavimenti in gres, tutto in tinte dal bianco al nero, passando per il grigio (anche quello della polvere).

Tv rigorosamente accesa su Canale 5 (unica deroga solo e soltanto se ci sono partite), forno a legna e "servizio" a conduzione familiare. E che famiglia!

Naturalmente l'unica lingua conosciuta è il romano e anche le tradizioni vanno rispettate. Quindi GIOVEDì GNOCCHI. E gnocchi ci siamo mangiati. Sì, sono quelli della foto, in porzione da cofana di pasta: badate bene che il piatto era quello della pizza ed era completamente pieno. Gli gnocchi sono rigorosamente fatti in casa e il sugo è quello di spuntature di maiale. Ci ha domandato se volessimo il pecorino e noi naturalmente abbiamo detto sì a questa copiosa nevicata di formaggio, che ci volevano le catene alla forchetta per mangiare... Paradiso dei voluttuosi!
Stesse dimensioni di porzione anche per l'abbacchio, ovviamente allo scottadito. E se uno non se lo scotta il dito che gusto c'è? La cottura è a dir poco perfetta, croccante, con il grasso che si scioglie sulle dita... Ci saremo mangiati un abbacchio a testa!
Tutto questo per venti euro a testa, comprese patatine e birra... E pare che più si frequenti Domenico, più i prezzi scendano...
Insomma, per un'esperienza così, val la pena di indossare i paraocchi dei cavalli (per i più schizzinosi) ed entrare da Domenico, per godere di una vera serata romana!

Peperoni gratinati col tonno come suocera docet...


Avevo un paio di peperoni e qualche oliva nel frigo e il pensiero è andato verso i lidi di Battipaglia, dove la mamma di Giampiero confeziona saporite pietanze (non sempre leggerissime) che spesso arrivano a casa mia in borse piene di cibo che sembrano quelle della Caritas.


Uno dei miei ricordi preferiti direttamente da queste borse sono i peperoni "quasi" ripieni come li fa lei. In realtà non riempie i peperoni in maniera canonica, ma li cuoce in forno con il loro ripieno saporito.

Ho provato quindi a rifarli come i suoi. Il risultato non era del tutto fedele, tuttavia sono usciti buoni e si possono consigliare!

Ingredienti per 2-3 persone: 2 peperoni (meglio se di colori diversi), olio, sale, aglio, aglio secco, 1 scatoletta di tonno, capperi, olive, pangrattato.
I passaggi sono due: prima in padella e poi in forno. I peperoni, infatti, vanno prima fatti appassire per una quindicina di minuti in una padella coperta, con olio, sale e aglio.
Nel frattempo, si possono tagliare le olive (io purtroppo avevo in casa quelle confezionate, la mamma di Giampiero usa quelle di Gaeta che sono anche più salate).
Una volta pronti i peperoni (devono essere morbidi, ma ancora un po' crudi), con tutta la loro acqua di cottura (purché non sia troppa, se no levatela), vanno messi in un recipiente che vada in forno. Oliare leggermente anche questo recipiente, mettere una prima manciata di pangrattato e adagiare i peperoni. A questo punto aggiungere il resto del condimento ad occhio: olive, capperi, pochissimo aglio secco, tonno sgocciolato e pangrattato. I peperoni devono risultare conditi ma non affogati dal ripieno.
Infine mettere in forno per una decina di minuti, un quarto d'ora a 160-180 gradi.

Io ero sola e me li sono pappati tutti: due peperoni, una scatoletta di tonno e abbondante pangrattato fanno un piatto unico e completo. Di base, sarebbero un contorno, magari a qualche altra pietanza di pesce (nel pacco della Caritas della suocera c'è sempre il polipo a insalata: connubio perfetto).
Buon appetito!

mercoledì 13 gennaio 2010

L'eleganza delle parole della Burbery...


"Per quanto indietro possa spingermi con la memoria, mi è sempre piaciuto mangiare. Non saprei dire con esattezza cosa mi abbia provocato le prime estasi culinarie, anche se l'identità della mia prima cuoca prediletta - mia nonna - non lascia molti dubbi al riguardo".
La Burbery procede con una serie di esempi di cucina di una nonna francese. Ma la mia è napoletana, sposata a un viestano e per questo contaminata da una cucina pugliese e di mare.
Tuttavia, sono le sue reminiscenze napoletane quelle che, sono sicura, mi hanno provocato le prime estasi culinarie.
Ancora oggi, a 83 anni suonati, la nonna Vittoria stupisce con le sue lasagne. Non condite con la besciamella, bensì con un delicato ripieno di carne e ricotta.
Gli stufati stracotti e sugosi, le patatine cotte in padelle d'altri tempi e per questo incredibilmente saporite, i peperoni insaporiti con le acciughe e i capperi...
Più lontana la memoria di piatti più complessi che la nonna ha smesso di cucinare. In particolare i fritti: mia nonna è sempre stata una eccezionale friggitrice.
A Natale si fanno tuttora le pizze fritte, anche se adesso tocca a me fare la massa e friggere le palline di impasto, per poi condirle con l'oleoso sugo della nonna.
Mi ricordo, però, quando ero piccola che anche nei giorni d'estate più torridi richiedevo i suoi arancini, le mozzarelle in carrozza, le crocchè che si rompevano per quanto erano morbide. Mia nonna non si tirava mai indietro. Gli arancini erano ben diversi dalla tradizione siciliana e pure da quella dei supplì romani: non sono mai riuscita ad assaggiarne di uguali. Anche le mozzarelle in carrozza come le faceva la nonna non le ho mai ritrovate.
Una promessa: devo chiederle come li faceva. Devo provare a riscoprire questi antichi ricordi.