lunedì 26 novembre 2012

Torte in corso con Renato su Real Time

Atteso da tutti i super-appassionati di cake design, arriva il nuovo boss delle torte all'italiana. Non un programma come quello famosissimo di Buddy Valastro, ambientato all'interno della sua bakery nel New Jersey, bensì un vero e proprio programma didattico in studio.
Si tenta una dinamica a due con un nipote del cake designer, Renato Ardovino, che in studio fa la parte dell'allievo un po' tontolone. Il ritmo è lentissimo, gli errori di regia non si contano (si possono mettere ingredienti bianchi come zucchero e farina su sfondo bianco?), la capacità di spiegare le tecniche di Renato sufficiente, ma non entusiasmante.
A dir poco drammatico il piccolo intermezzo intitolato "Provaci ancora Angelo", cioè il suddetto nipote che viene messo alla prova sulle basi della pasticceria. Ad esempio, oggi il compito era di montare a neve ben ferma, a mano, le chiare d'uovo in 3 minuti. Impresa fallita miseramente, per il povero Angelo, che si è rotto un braccio a forza di frustate alle uova. Ma massimo rispetto per lui, inutilmente torturato, mentre il buon Renato fa vedere come fare un bellissimo Pan di Spagna nella planetaria. La domanda è: se esiste la tecnologia, perché non utilizzarla?
Al contrario, però, sono molto critica nei confronti dell'uso di un milione e mezzo di strumenti per il cake design. Lo capisco che ad alti livelli un designer ha a sua disposizione una cucina piena di attrezzi (e se ne fa pagari i frutti di conseguenza), ma la povera casalinga che vuol fare la torta a forma di topolino per il figlio non può spendere centinaia di euro in strumenti per il decoro e il modellaggio, basi, cioccolato plastico, ghiaccia, gel e così via. In una sola puntata ho visto Renato usare 3 tipi differenti di mattarelli, 2 attrezzini per il modellaggio che finivano con una punta a forma di pallina, però uno differiva dall'altro perché la pallina era leggermente inclinata, per non parlare di coppapasta, stampini in silicone e timbrini. Vabbè, quelli hanno anche un perché, visto che fare a mano un piccolo fiore è durissima, ma qualche idea per il risparmio???
Caro Renato, non dimenticare che le tue spettatrici (inutile prenderci in giro, al 90% siamo donne!) sono anche donne che arrivano a stento a fine mese e, anche se il cake design è un grande business, questo non lo devi dimenticare. 

venerdì 23 novembre 2012

Made Bakery, cupcake a via dei Coronari a Roma

Qualche giorno fa giravo per le vie del centro e mi sono imbattuta in questo localino piccolo piccolo. Ad attirarci, i colorati cupcakes che occhieggiavano fin dalla vetrina. Appena dentro, un odore misto burro/vaniglia ci assale e non possiamo far altro che concederci un piccolo assaggio. La coscienza ci ha portate verso i mini-cupcake (red velvet e crema al formaggio) e una porzioncina di cheese-cake. Sul bancone, però, molte altre offerte, dal cupcake al tiramisù a quello supercioccolatoso.
Insomma, parliamo di quel che abbiamo assaggiato. La minicupcake aveva il difetto di tutta la pasticceria americana: era burrosa, ma secca, benché compensata dalla crema formaggiosa. Certo, mi si dirà, come fai a confrontare un muffin o un cupcake con una diplomatica per esempio? La seconda è bagnata di liquore e ovviamente è più morbida e umida. Quanto alla cheesecake, servita su un pirottino da muffin, devo sottolineare che il fondo di biscotti (rigorosamente Digestive, si sentiva chiaramente!) era troppo freddo e difficilmente si rompeva con la forchettina di plastica. Ovviamente una problematica  naturalmente legata alla conservazione: per farlo mantenere si deve tener ben freddo. Quanto alla crema al formaggio non era male, ma ne ho assaggiate di più buone.
Conclusione, uscendo dalla Bakery romano-americana, rivolgendomi all'amica filo-anglosassone cui piacciono questi dolci burrosi tutta estetica... "Ma vuoi mettere un'aragosta? Un cannolo? Un babà?".
Questione di italianità!!!

venerdì 16 novembre 2012

Bi Won ristorante coreano a Roma

E' molto tempo che l'austero ingresso di questo ristorante coreano, uno dei più conosciuti e apprezzati a Roma, ci attirava. E finalmente abbiamo avuto il coraggio di varcare la porta, per assaggiare cosa offre la cucina coreana. La prima sala a cui si accede ricorda un ristorante cinese un po' dimesso (vi ricordate Hang Zhou ante litteram?) e soprattutto dà un senso di desolazione perché vuota, a parte i proprietari che guardano la tv satellitare. Il primo pensiero è stato "siamo solo noi?". Poi in fondo abbiamo sentito il vociare e visto le prime facce di avventori: il vero e proprio ristorante, con la sua sala affatto dimessa, ma al contrario molto accogliente, è in fondo a tutto, superata la cucina (che si vede ed è ordinatissima e pulitissima) e la porta dei bagni (con scritte esclusivamente in coreano). Intorno a noi, un 90% di avventori coreani, molti dei quali parlavano anche italiano. In pratica, ci siamo accorti di due cose: questo ristorante è frequentato dalla comunità coreana di Roma, ma anche da turisti coreani di passaggio, che magari dormono nell'hotel coreano di fronte. Italiani, pochi! E questo naturalmente non è affatto un male!
Un'altra cosa che ci ha colpiti subito è stato il tavolo con griglia centrale. Era chiusa, ma ne avevo viste di simili in Giappone. Ovviamente abbiamo cercato sul menù, molto chiaro, cosa ci si potesse grigliare su, anche se in questo senso abbiamo sbagliato, perché abbiamo preso un tipo di carne che si cuoceva su un fornelletto a parte che veniva solo appoggiato sullo spazio della piastra.
Certo, da un punto di vista generale devo dire che, da profana, la cucina coreana non mi ha colpita favorevolmente. Il problema numero uno è la mia idiosincrasia per il peperoncino, che mi faceva escludere il 90% della lista. Secondo problema, non emerso in carta, ma solo successivamente all'arrivo dei piatti, è l'uso massiccio di aglio. Lo mangio, sia chiaro, ma poi rimane quel retrogusto che non mi piace per nulla.
Ma andiamo con ordine. Per prima cosa è arrivato questo fornelletto di cui parlavo, su cui era adagiata un'apposita padella rotonda, con una specie di canale di scolo ai bordi. Su questa, gli straccetti di manzo alla salsa di soia (e tanto aglio), che avevamo ordinato. Ci hanno spiegato di stare attenti alla cottura e girarli, mentre intanto arrivavano 5-6 piattini di condimenti, tutti speziati, fra cui germogli di soia, tofu, verdure, oltre al riso, di quello colloso. Fra questi anche delle foglie di lattuga crude. Avevo sospettato che fosse per arrangiarsi una specie di involtino, ma ci ho provato e i risultati sono stati deludenti: mi si è aperto al primo morso. In generale, però, devo dire che avrei apprezzato qualche spiegazione in più, o almeno il tentativo di darcele. Invece, la tradizionale non-invadenza orientale ha comportato che chi ci ha servito a stento ci abbia rivolto la parola.
Poi è arrivato uno zuppone che aveva tutta l'aria di un vulcano in attività. Una volta calmatosi il bollore e depositatosi il magma, è risultato ugualmente atomico, quindi non adatto a me.
Ancora, avevamo ordinato le pizzette fritte. In questo caso neanche un accenno di peperoncino, ma comunque una frittura molto lontana dalle nostre abitudini: pastella di solo uovo, frittura leggermente oleosa, declinata su rondelle di zucchine, gamberetti, filetto di pesce, delle polpettine e un altro tipo di verdura di cui non so il nome, ma che ho visto di frequente al mercato di piazza Vittorio.
Abbiamo concluso con questo. Poi ci hanno anche sparecchiato, ma nessuno ci ha chiesto se volevamo un dolce, grappa ecc. ecc. Così ci siamo alzati e siamo andati a pagare.
In conclusione. Abbiamo fatto questa esperienza e per la verità io non ho apprezzato molto, ma sono certa che dipende esclusivamente dai miei gusti. Per quanto riguarda la qualità, sono tutti ingredienti freschissimi, il che giustifica anche i prezzi non proprio popolari.
E il locale come dicevo è pulitissimo. Bisogna solo essere disposti a mangiare molto peperoncino e molto aglio... E non è il mio caso!

mercoledì 14 novembre 2012

Spirito Divino a Roma

Approfittiamo della Restaurant Week per riprovare, dopo un po' di anni di assenza, un ristorante che ci è sempre piaciuto come ambiente. A onor del vero mancavamo proprio per i prezzi, un po' altini e fuori budget per noi, ma appunto la restaurant week ci offriva un menù a prezzo scontato e non potevamo non approfittarne.
Fra l'altro ci era piaciuto molto che, rispetto ad altri ristoranti che aderivano all'iniziativa, questo offrisse una scelta multipla sul menù (una specie di minimenù da cui scegliere) e non una degustazione costruita ad hoc.
Rispetto alle nostre passate esperienze, abbiamo trovato poche novità. Pareti dipinte di giallo uovo (forse un po' troppo giallo!), il patron papà che non era in sala perché si stava riposando dopo un sabato massacrante, ma in compenso c'era il figlio, forse ancor più ciarliero del padre. La mitica cantina ricavata nei resti dell'antico porto era sempre lì, con la sua umidità perfetta per la conservazione dei vini, un po' meno per le etichette, motivo per cui tutte le bottiglie vengono impellicolate. A proposito di vino, segnaliamo una netiquette che abbiamo notato: il vino viene servito già stappato. Nessun retropensiero, solo che i più attenti avranno da ridire che ci tengono a vedere il tappo!
Andiamo quindi al cibo. Per cominciare il mitico patè di fegatini. Era uno dei piatti che ricordavo con maggiore affetto e non mi sbagliavo. Un patè delicatissimo, con gelatina di arance in superficie, e servito con crostini di pane caldo. Davvero ottimo!
Sui primi qualche leggera perplessità. Non sui sapori, buoni, quanto sulla fantasia degli accostamenti (anche se ricordo che stiamo parlando di un menù a prezzo scontato). Uno era la tagliatella con la caciotta al tartufo: molto ma molto rischioso. A lungo andare, per stessa ammissione del gestore, tende a incollarsi. Inoltre, essendo stato utilizzato un formaggio non troppo sapido, non è molto saporito. In compenso il tartufo si sentiva e il risultato nel complesso non deludeva. L'altro primo assaggiato erano le farfalle alla zucca e gorgonzola. Ci aspettavamo qualche novità in più, ma la regola del lasciare gli ingredienti in purezza che qui regna sovrana non dava molto spazio all'immaginazione. In pratica era una crema di zucca frullata con gorgonzola, esattamente come quella che faccio io... Non sapevo di aver creato un piatto da chef!!!
Quindi lo stufato di maiale alla Gaio Mazio. La consistenza della carne era eccezionalmente morbida e ci piace molto l'idea di recuperare un'antica ricetta di epoca romana, tuttavia gli accostamenti di spezie non ci hanno convinto del tutto. C'è da dire che i romani riempivano le carni di spezie per ovvi motivi: coprire eventuali retrogusti di carne andata a male (quando il frigorifero non esisteva!), ma noi oggi abbiamo perso la confidenza con questi sapori.
Per concludere, un paio di dolci molto gustosi. Sempre per la serie "lasciare gli ingredienti in purezza" un sorbetto di uva fragola che non era altro che uva centrifugata e ghiacciata. Ma se l'ingrediente di base è fresco il risultato non delude. Più elaborata invece la torta al cioccolato e mandorle, servita con una crema di cioccolato e una di caramello che ci sembravano davvero fatte in casa e questo dà tanti punti in più!!!
Conclusione? E' stata un cena molto gradevole, accompagnata anche da abbondanti chiacchiere con il proprietario e con le vicine di tavola. Unico dubbio è: torneremo in questo ristorante a prezzo pieno?
Ai posteri l'ardua sentenza, però c'è da dire che nel panorama Trasteverino è sicuramente uno degli indirizzi più affidabili.

lunedì 5 novembre 2012

Sora Maria e Arcangelo a Olevano Romano

Da quando la guida Osterie d'Italia è entrata nella mia libreria, la mia nuova missione è assaggiare tutti i chiocciolati (almeno quelli del Lazio!). E così, eccoci a Olevano Romano, per assaggiare uno dei più titolati: Sora Maria e Arcangelo. E devo dire che l'aspettativa non è stata affatto delusa. Il locale è rustico, ma molto curato, con piatti di ceramica artistica alle pareti molto belli. Il nostro tavolo, per tre persone, era molto spazioso, ma altrettanto si può dire anche degli altri, comodi e a una giusta distanza l'uno dall'altro. Unica pecca della sala, che abbiamo avuto modo di riscontrare solo a fine cena, quando il locale si era riempito, è l'effetto eco delle volte, che moltiplica il vociare, specialmente quello dei gruppi numerosi. Come dicevo, per noi non è stato un gran problema, dal momento che siamo andati presto. Oltretutto ci sono diverse salette più riparate per chi desidera un'atmosfera più intima.
Ma passiamo al cibo. Ci sono arrivati due menu: uno è quello classico, in cui si trova una degustazione Slow Food a 35 euro, l'altro era invece la degustazione del giorno (comunque interamente mutuata dal menu) a 27 euro. Prendendo piatti a propria scelta, invece, si va oltre le 40 euro, tanto che abbiamo apprezzato moltissimo la scelta di offrire una degustazione completa con circa 15 euro di sconto, anche se vincolata al fatto che la prendesse tutto il tavolo. Un altro menu, poi, per la carta dei vini, molto ricca e ben suddivisa.
Se non si fosse capito, abbiamo preso la degustazione classica e abbiamo assaggiato per prima cosa il trittico di polpette, tutte fritte e saporitissime. In ordine di sapidità e quindi di assaggio, la polpetta di baccalà con salsa tsatsiki, quella di bollito con una salsa verde magnifica e la polpetta di broccolo con crema di pecorino saporitissima. Sui primi il tavolo si è diviso, fra chi ha preferito i cannelloni (molto buoni e soprattutto apprezzabili per l'assenza di besciamella, solo mozzarella) e chi ha scelto le fettuccine con il ragù bianco di lepre e cinghiale. La fettuccina era da urlo, con un delicatissimo equilibrio fra carni molto sapide e gli aromi che legavano benissimo come l'arancia. Ancora i secondi, per tutti il galletto croccante. Noi l'abbiamo chiesto con una riduzione di olio e limone, mentre l'originale era con una salsa agrodolce. Entrambi serviti con puntarelle per niente amare. Unica pecca, uno dei galletti era leggermente troppo cotto, ai limiti del bruciatino.
Per concludere, i dolci, con una panna cotta accompagnata da una salsa al caki davvero ottima.
Beh, devo dire che tutta la cena è stata davvero interessante e che aver fatto 50 km per andare a mangiare fuori in fondo non ci è dispiaciuto affatto...