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mercoledì 4 dicembre 2013

Vienna: mangiare per strada nei mercatini di Natale

Metti un weekend di inizio dicembre a Vienna e condiscilo degli immancabili mercatini di Natale, abbondantemente irrorati di litrate di Punch pieno di cannella. Fra una palla di Natale che sa un po' di cinese e uno stand di prodotti tirolesi (ah lo speck!), non possono mancare tutti gli street food della tradizione nordica. Roba per lo più fritta, sia chiaro, quindi chiudere qui la lettura se si è a dieta ipocalorica o se si hanno problemi di fegato!
Detto questo, passiamo in rassegna le mirabolanti avventure gastronomiche di una 72 ore in terra austriaca. Cominciamo con il capitolo kartoffen, cioè le patate: ce ne sono in tutte le salse: trattasi di elemento principale della dieta mitteleuropea. A noi sono piaciute particolarmente quelle a spirale, tagliate con un apposito strumento che le fa diventare una lunga sfoglia e poi fritte un attimo dopo. Il risultato sono praticamente delle patate a sfoglia che si frantumano perché croccantissime! Meno apprezzate invece le patate arrosto con la paprika che vendono i caldarrostari (le tengono in caldo sulla stessa gratella), che hanno avuto il solo pregio, per così dire, di essersi riproposte a lungo. Gradevole benché ultraunto il rosti di patate, anch'esso fritto, ma trattasi di patate tagliate a listarelle sottilissime e sformate tipo hamburger. Abbiamo visto vendere anche le patate al forno tipo jacked potatoes, ma non abbiamo avuto il coraggio!
Ci voleva ugualmente coraggio, però, a mangiare gli gnocchetti con il formaggio fuso. Si tratta di spatzle conditi con una quantità imbarazzante di formaggio che fa il filo e tenuti in caldo su pentole che ti vengono raschiate nel piattino di carta... Probabilmente era per dare sapore!
Che dire invece del Langon, una sleppazza di pane fritto aromatizzata al burro all'aglio. Una vera gioia per il palato dalla decisa persistenza!
Altro must immancabile è lo zuppone di gulash opportunamente impiattato nella pagnottella di pane tenuta anch'essa in caldo e servita bella croccante. Devo dire che a questo piatto non gli davo due lire e invece è stata una bella rivelazione, anche se come si dice a casa mia la carne era fujuta!
Sorvoliamo sulla quantità imbarazzante di wurstel in circolazione (abbiamo glissato anche noi, troppo banale!) e passiamo alla sezione dolce. Qui possiamo raccontare di aver mangiato una sorta di krapfen con una crema alla nocciola modello Nutella molto esplosiva. Altro simpaticissimo dolcino che abbiamo assaggiato è il rotolone ungherese di cui ho formattato il nome. Stranamente non parliamo di fritto, ma di una specie di pagnottella tipo cannolone che viene adagiata su spiedi che ruotano in modo da cuocere uniformemente. Non senza una spolverata di zucchero prima e dopo. Anzi, dopo si può scegliere anche la versione aromatizzata dello zucchero, dalla cannella al cioccolato, passando per il cocco e la vaniglia.
Da segnalare quindi la cioccolata calda, che qui non è come vi aspettereste, ma molto più liquida. Come tutte le bevande calde compresi i punch e il vin brulè, viene servita nei tazzoni da mercatino, che costano 2 euro, i quali vengono restituiti se si riporta indietro la tazza: un'idea carina, coreografica e zero emission!
Detto questo un piccolo cenno anche a quello che abbiamo mangiato nelle nostre serate viennesi, a parte i mercatini. Come obiettivo numero uno ci siamo prefissati il Salm Brau, birreria viennese attaccata al palazzo del Belvedere. Le cotte sono a vista e il servizio è molto frettoloso, vista la fila che c'è. Nonostante sia un posto abbastanza turistico non è stata una cattiva esperienza, anzi. Piacevole il misto di carne (in foto), così come le ribs (foto con tagliere), che pare siano la specialità del posto, a parte la birra. La seconda sera è stata la più interessante, al pub Purstner, scelto quasi per caso visto che essendo domenica era uno dei pochi aperti. Devo dire che alla fine è quello che ci è piaciuto più di tutti! L'ambiente è tirol-kitch, con ricostruzione di ambientazione nordica e uccelli impagliati qua e là. Eppure la cucina non ha nulla di posticcio o di imbalsamato: qui abbiamo mangiato la migliore cotoletta (wiener schnitzel, quello della foto con vicino le immancabili kartoffen) e un buon Tafelspitz (bollito con tanto di brodo e verdure in quantità). La fettina panata di Purstner non aveva nulla da invidiare, anzi a mio parere era meglio, di quella di Figlmuller (foto di inizio articolo con me inclusa nel prezzo), vera istituzione locale in fatto di cotolette. Anche qui tocca fare la fila, ma vale la pena per uno schnitzel che riempie il piatto e decisamente anche lo stomaco: arrivare alla fine del cimento è stato impossibile perfino per me. Molto buona anche la zuppetta vegetariana viennese con i boletus. Nell'attesa del tavolo fra l'altro abbiamo anche avuto modo di sfogliare il loro libro di ricette, interamente fotografico con istruzioni nelle didascalie e ricette passo per passo, che è esattamente quello che io cerco in un libro di ricette: da prendere a esempio, cari colleghi curatori!
Last but not least, merita citazione l'originale sacher dell'omonimo hotel, che vanta l'essere detentore della ricetta a marchio registrato. La ricetta è sotto chiave, le sacher che vende meriterebbero ugualmente di essere messe in cassaforte, visti i prezzi. Un dolce teutonico, la sacher è un po' così, comunque buono nel suo equilibrio cioccolato/marmellata.

venerdì 30 agosto 2013

New York: guida per turisti italiani (che non vogliono mangiare italiano)

Dopo una settimana nella Grande Mela abbiamo stilato la nostra personale lista dei posti da non perdere a NY. Naturalmente trattasi di elenco limitato al fatto di aver avuto poco tempo per ambientarci e scoprire maggiori informazioni sulla cucina locale, tuttavia abbiamo fatto riferimento a varie fonti, dai preziosi consigli di altri amici affidabili, alla Lonely Planet, a Tripadvisor e a un po' di fattore C che non guasta mai!Di seguito quelle che riteniamo le tappe immancabili per un gastrointeressato... 1) Capitolo Cupcake e soprattutto cheesecake: ne ho assaggiati vari negli States, ma gli unici degni di nota a mio parere sono quelli di Magnolia bakery. C'è una sede proprio a 2 passi dal Moma, così fai finta come noi di essere lì per motivi culturali!2) Capitolo Hamburger: premetto per prima cosa che non è vero quello che dicono coloro che tornano con gli occhi a cuoricino dall'America e dicono che lì è tutto più buono. L'Hamburger da McDonald's è lo stesso livello di cartonato di quello che spacciano in Italia, quindi rinunciate a prescindere, anche perché a prezzi analoghi si trova decisamente di meglio. Infatti, uno dei più buoni hamburger assaggiati è quello di Shake Shack, che ha lo stesso format a fast food e i prezzi poco più alti. Ce ne sono vari a Ny, di cui uno vicino Times Square. Il più buono era l'hamburger che ho preso io che in pratica era un doppio burger metà cheeseburger e metà vegetariano con una polpettazza di funghi frittissima! Carine anche le patatine, che dicono siano home made.Un po' più costoso ma ancor più godurioso è l'hamburger di Pj Clarke's, che è quello della foto con la montagna di cipolle fritte, che appunto sono fenomenali! Qui i locali andavano fra l'altro a sfondarsi di ostriche e champagne dopo lavoro, ma noi temevamo lo stop tecnico del viaggio causa vibrione e abbiamo rinunciato ai crudi (aggiungo che per chi fosse interessato all'argomento ostriche c'è un famosissimo Oyster bar di lato alla Grand central, le cui coordinate si trovano su tutte le guide).
3) Capitolo Etnico in NY: in 3 settimane negli Usa abbiamo mangiato spesso fra cinesi e giapponesi qui e là per spezzare le fatiche da grassi idrogenati. Quanto a NY suggerirei solo il cinese della Lonely planet a Chinatown che si chiama Joe's e davanti ha sempre una fila spaventosa. Infatti non ci siamo andati perché ci siamo lasciati spaventare. Un amico fidatissimo è riuscito a entrare (e mangiare abbondantemente) e ancora si sta leccando i baffi!4) Capitolo Italians: per chi avesse nostalgia dell'Italia a Little Italy ci sono diversi ristoranti dignitosi. Abbiamo guardato in molti piatti che sembravano invitanti, ma l'unica tentazione a cui abbiamo ceduto è stata una "square" di pizza c.d. siciliana da Prince Street pizza. Ah, no, ce n'è stata un'altra di tent azione italiana a cui abbiamo ceduto. Era il cannolo di Buddy, il boss delle torte. Abbiamo scoperto il suo nuovo localea due passi da Times square e non potevamo non fermarci. Si chiama Carlo's bakery come tutti gli altri. Sapendo che è il suo cavallo di battaglia abbiamo scelto proprio il cannolo, che viene farcito al momento. Era molto buono nonostante la ricotta Usa. In alternativa in vetrina vari cupcake e altri dolci... oltre alle famose torte decorate!
5) Capitolo Pastrami: altra citazione la merita Katz's, il locale famoso per il pastrami e per la scena dell'orgasmo di Harry ti presento Sally. Costosissimo, nessun servizio, viene gestito tipo mensa e costa come una steak house. Posso pure concordare che il pastrami che fa sia il migliore, ma il nostro problema è che non ci è piaciuto il pastrami! Lo cito solo per dovere di completezza, ma a dir la verità non lo consiglio.6) Capitolo Brooklyn riverside: una serata a NY non si può non dedicare a una cena in questo bellissimo quartiere. Se dovessi trasferirmi nella Grande Mela probabilmente sarebbe la mia (quasi) prima scelta (dico quasi perché la prima sarebbe Greenwich, ma costa una follia e quindi si ripiega su Brooklyn, possibilmente con vista skyline). Tornando alla questione serata a Brooklyn, consigliatissimo andare perché ci si trova dal lato opposto di Manhattan e da lì la posizione è magnifica per vedere lo skyline dal lato opposto. Se mi capitasse di tornarci cercherei di meglio, comunque noi siamo capitati da Fette Sau Bbq. Carne a gogo, tipo arrostoni stracotti. Buonissime le salsicce e i fagioli. Però anche qui il servizio è tipo mensa e i prezzi sono altini.Detto questo... buon viaggio, se vi capita di andare a NY e salutatemi la Grande Mela...

lunedì 11 giugno 2012

Istanbul, kebab e consigli: dove mangiare

Esser tornata da poco più di 10 ore e avere già l'astinenza da kebap! Succede quando torni da Istanbul, magnifico crocevia fra Europa e Asia, dove meglio di ogni posto del mondo si concretizza l'Eurasia. Neanche a dirlo, una meraviglia di città! Peraltro, io l'avevo già visitata alcuni anni fa e ho potuto notare, con piacevole sorpresa, come fosse cresciuta. Non solo in termini demografici - viaggiamo sui 12 milioni di abitanti - ma anche come testa. Cambiano i turchi e capiscono che il turista non è solo una vacca da mungere, ma una risorsa da coccolare. E' un processo lungo, naturalmente, ma ci stanno arrivando. Loro.
Certamente c'è da dire che Sultanahmet è sempre quella specie di Disneyland all'ottomana, nel cui circolo sono rinchiusi migliaia di turisti, che fotografano, mangiano, dormono e qualche volta si fanno fregare. Eppure gli stessi turchi amano Sultanahmet e in particolare la Moschea Blu, dove sono soliti andare a pregare, specialmente nei giorni di festa. Non è difficile, infatti, intravedere bambini (solo i maschi) vestiti da piccoli sultani.
E gli stessi turchi ci mangiano a Sultanahmet, come abbiamo avuto piacere di notare nella Tahiri Selim Usta Koftecisi, proprio a due passi dalla fermata del tram. La bellezza di questo posto è l'assenza totale di fronzoli: solo due piatti, shish kebap (polpettine) e kebap di agnello. Punto. Poi qualche insalata e qualche dolcino, ma niente di che. Comunque la carne era buonissima.
Sempre a Sultanahmet, nonostante l'ispirazione molto turistica, abbiamo assaggiato il Khorasani. In una traversina dove non mancavano i "buttadentro", abbiamo scelto questo locale seguendo le indicazioni della Lonely Planet e devo dire che valeva la pena fidarsi! A parte qualche trascurabile strizzata d'occhio ai turisti, quel che conta è che questo locale ha una megagriglia in bella vista al centro del locale. Si apprezza, peraltro, la cappa così aspirante da non sentire neanche lontanamente l'odore di carne... e ci stavamo seduti accanto! Prima della carne, però, arriva il vassoione pieno di meze, da scegliere "a vista". Noi abbiamo assaggiato lo yogurt menta e cetrioli (io lo adoro!), delle polpettine di lenticchie che pensavamo fossero fritte e invece erano morbide e fresche, i dolmades (i rotolini di foglie di vite ripieni di riso) e l'hummus ovvero la crema di ceci. Quest'ultima era un po' troppo cementizia per i nostri gusti, ma con il resto ci stava bene, anche perché spontaneamente in questo locale portano sempre una pide, la pizza turca, un po' di burro e di formaggio.
Quindi la carne, che noi abbiamo scelto mista. La più buona? Quella ripiena di pistacchi: assolutamente meravigliosa (infatti ci siamo tornati per bissare!). In altra occasione abbiamo assaggiato in questo locale anche il misto di meze calde, fra cui i borek con formaggio.
I dolci qui non li abbiamo assaggiati, ma purtroppo in generale non amiamo i dolci turchi per l'eccesso di dolcezza (lo so che è tautologico, ma è così, colpa soprattutto del miele).
Sempre seguendo la Lonely abbiamo voluto provare una superterrazza con vista e con cucina, sull'attico di un albergo famoso, l'Armada. Il ristorante si chiama appunto Teras e per chi non l'avesse capito, qui è il panorama che conta: da un lato le moschee, con la Moschea Blu in primo piano e Aya Sofia poco distante; dall'altro la Torre di Galata e l'altra sponda dell'omonimo ponte.
Beh, qui onestamente si mangia meno bene e si spende molto di più, ma è ovvio che si paga la vista, centimetro per centimetro. Da segnalare il servizio d'eccellenza, una discreta carta dei vini locali e una simpatica ragazza turca che fa temporaneamente la cameriera, ma si è laureata al Dams a Bologna, quindi parla l'italiano meglio di molti italiani. Qui abbiamo scelto il menù degustazione, tanto per avere una panoramica completa. Abbiamo mangiato ancora meze, fra cui la crema di melanzane, che con il suo gusto affumicato era la più buona; poi il misto di carne, accompagnato da un'insalata condita fra l'altro con la menta che era buonissima. La carne non era male, soprattutto l'agnello era morbidissimo, ma ci ha colpiti negativamente che al centro ci fosse una specie di spezzatino con la besciamella francamente poco turco. Abbiamo assaggiato anche il dolce, visto che era incluso nel menù, tuttavia come dicevo non ci faceva impazzire.
Per una sera, poi, abbiamo scelto di abbandonare la carne, per concentrarci sul pesce. D'altra parte Istanbul non è sul mare? Ah, vabbè, da dire che sul Bosforo eravamo caduti nella trappola del panino con lo sgombro, che in fondo per quanto turistico non era male (attenzione però alle spine!). Comunque, sempre dalle parti di Sultanahmet, sono tornata sul luogo di un vecchio delitto, visto che di questo ristorante mi ricordavo dai tempi di un viaggio precedente. E non era una memoria sbagliata. Balikci Sabahattin è famoso in tutta Istanbul per la sua qualità. Certo, non sconfinerei in acque non territoriali con gamberoni o aragoste (li abbiamo visti scongelare quando siamo passati nel pomeriggio per prenotare), però su tutto il resto si può contare. Noi abbiamo assaggiato il pesce San Pietro, che era fuori carta, ma campeggiava nel frigo all'entrata e ci ha colpiti. Causa problemi di comunicazione, il modo in cui era cucinato era per noi una completa sorpresa: ed era fritto! In pratica era stato sfilettato, avevano fatto a la polpa a pezzettini e fritto anche testa e lisca. Il risultato era eccezionale... Ah, prima avevamo assaggiato anche le meze, fra cui l'insalata di polpo, poca ma buona; ancora lo yogurt, ma in questo caso con l'aglio; e le alghe (la salicornia detta anche asparagi di mare). Infine, qui il dolce ce l'hanno portato loro: un semolino dolce con una pallina di gelato alla vaniglia, che riequilibrava il gusto. In questo caso ci è piaciuto!
Last but not least, siamo andati nei quartieri più tradizionali alla ricerca di qualcosa di più vero. Zona Fatih, che è in pratica quella più ad alto tasso di arabi (infatti c'erano scritte in arabo ovunque), a due passi dalla fermata di tram Aksaray. Qui grazie alla segnalazione di un altro blogger (di seguito il link per leggere i suoi consigli utilissimi) abbiamo scoperto questo ristorante di Horhor: l'Urfali Haci Usta. Un'autentica chicca, dove purtroppo io ho avuto qualche problema solo con il fatto che non riesco a mangiare il peperoncino. In pratica qui si arriva e si ordina la carne, poi loro spontaneamente riempiono il tavolo di altro. Fra queste una kofte ripiena e fritta (peccato fosse fredda!); un semolino impastato con qualcosa di troppo piccante per i miei gusti, che i locali mangiavano avvolto in una foglia di insalata; una zuppetta viola di cui non ho capito il contenuto; una serie di condimenti che poi possono esser messi nel kebab, che ci si compone da soli in base alle preferenze (insalata, menta, prezzemolo, cipolle...).
Quindi vengono portati gli spiedini. Io qui ho assaggiato lo shish con le melanzane, che era davvero fenomenale. Ho assaggiato anche quello con il fegato, che però ha un gusto molto più deciso. In accompagnamento viene portato del pane arabo fatto in casa, che poi può essere arrotolato con la carne e i condimenti vari di cui dicevo. In pratica ho creato il mio kebab carne e melanzane, con insalata, menta e cipolla: uno dei ricordi migliori di Istanbul!!! Aggiungerei inoltre che qui come stranieri in pratica c'eravamo solo noi e che abbiamo speso una stupidaggine: meno di 20 euro in due!
Beh, con questo finiscono i consigli, anche perché purtroppo è finito il nostro viaggio. Sicuramente la mia descrizione non è esaustiva (come potrebbe in una città di 12 milioni di abitanti!), tuttavia almeno ci sono un po' di indirizzi su cui si può far riferimento, tenendo conto che, a parte quest'ultimo, in media in centro si spendono una trentina di euro a testa. Poco più o poco meno in base alla fama del locale, alla posizione e alla vista...
Come dicevo, è stato molto utile il sito di un collega blogger. Ecco il link di seguito:

domenica 5 febbraio 2012

Pierre Hermè a Parigi... o Hermes?

Di pagare 6,50 euro per una pastarella, diciamolo, non ci era ancora capitato... però capita anche che quei tredici euro in due non li rimpiangi, che ti congeli e impiastricci le mani con la faccia felice come quella di un bambino che affonda le dita nel barattolo della Nutella.
Succede a Parigi, da Pierre Hermè (in realtà può succedere anche in varie altre parti di Francia e in molte città del Giappone!), dove a due passi dalla magnifica chiesa di St. Sulpice c'è una piccola pasticceria con un bancone da capogiro.
Lui si chiama Pierre Hermè e a quanto pare è un vero guru della pasticceria (Iginio Massari ne parla con deferenza... e ho detto tutto!), che arriva a fare ogni anno la collezione dei Macarons. Quest'anno la collezione è ispirata ai fiori...
Noi però non abbiamo voluto lanciarci sui macarons, quanto sulle invitanti e colorate paste, che raccontano di una pasticceria sicuramente più carica della nostra (ah, quanto burro!), ma quando si vuol fare un peccato di gola mai porsi limiti!
E certo che i macarons non mancano neanche nelle paste da Pierre Hermè: la mia cupolotta di cioccolato aveva una base fatta proprio con l'impasto del macaron al cioccolato, il resto era ganache al cioccolato e poi cioccolato e cioccolato... Goduria!
L'altra, quella bianca, si chiama "Infinement Vanille"... Il cioccolato bianco non mancava, ma non era stucchevole, proprio grazie alla vaniglia (visibilissima, a pallettoni neri) che aromatizzava e bilanciava la dolcezza.
Vabbè, insomma, se non l'aveste capito vi ho trovato un indirizzo da non farvi mancare nel vostro prossimo viaggio a Parigi!!!
N.b. se volete visitare il sito di Pierre Hermè e farvi venire un po' di acquolina in bocca:
http://www.pierreherme.com/

venerdì 3 febbraio 2012

Bistrot Chatomat a Parigi: una bomboniera

In Italia probabilmente un locale così piccolo non lo farebbero neanche aprire. Ma in Francia si può e li chiamano bistrot. 22 coperti, non uno di più e la prenotazione è più che obbligatoria. Ne avevamo letto sul sito Lefooding, come ristorante premiato nel 2012, così abbiamo deciso di provare e non siamo affatto rimasti delusi.
Per prima cosa ci è piaciuto che i piatti fossero pochi, selezionati in base alla disponibilità del giorno. E pure che uno degli antipasti mancasse, perché l'alternativa è stato un fantastico fegato d'oca (l'altro antipasto erano delle Coquille Saint Jacques). Quindi come piatti principali abbiamo assaggiato un filetto di manzo e una costatina di maiale. Avremmo detto che era più prezioso il primo, ma non avevamo assaggiato la cottura perfetta del secondo!
Ah, dimenticavo, prima di tutto avevano portato un antipastino offerto favoloso (in foto) perché era una strapazzata d'uovo con salsa di olive: semplice ma fantastico nella presentazione nel suo stesso ovetto...
Ancora dopo tutto ci hanno offerto anche un minibabà che era un bocconcino di meraviglia. E poi abbiamo preso un dolce che però non mi ha fatto impazzire perché non avevo capito fosse al pompelmo (che non amo). 

giovedì 2 febbraio 2012

Mangiare a Parigi: qualche consiglio!

Certamente non sarà un weekend a Parigi a rivelare il segreto della cucina francese e in particolare di quello che si può trovare nella capitale... Ma quantomeno si possono capire 2-3 trucchetti e apprezzare alcune certezze della cultura locale (fra cui ovviamente non può mancare la baguette).
Per prima cosa i consigli, perché sbagliando si impara e studiando si migliora.

1) Specialmente se andate nel fine settimana e avete la velleità di non mangiare in una trappola per turisti, quanto piuttosto in un bistrot alla moda: PRENOTATE! Il motivo non è solo pratico, come verrebbe naturale anche in Italia, quanto piuttosto culturale. Dovete sempre ricordare che i francesi non sono accoglienti a tutti i costi come noi italiani: non farebbero mai aspettare i clienti fuori per un tempo indeterminato come fanno molti dei nostri ristoratori. Quindi se arrivate e c'è un tavolo libero bene, se no ciccia, verrete cacciati senza appello.
1.1) Se non conoscete il francese e dovete prenotare... beh, chiedete l'aiuto del pubblico (magari la reception dell'albergo) perché difficilmente i francesi parlano inglese.
2) Non abbiate paura ad uscire fuori dal seminato dei quartieri più turistici o trendy. Noi abbiamo trovato molti posti dalle parti di Belleville (sì, il quartiere di Malaussene) o del Pere Lachaise (il cimitero!).
3) Quindi qualche indicazione su come trovare qualche altro consiglio in fatto di ristoranti:
- ovviamente usate la guida Michelin... sul sito non potete leggere le recensioni, ma quantomeno orientarvi su prezzi, zone, stelle, forchette e faccette di Bibendum, che significano buon rapporto qualità/prezzo;
- qualche buona indicazione si trova sul blog di Marco Bolasco, Cibario, che per chi non lo conoscesse è l'ex curatore del Gambero Rosso (quindi non uno preso per strada!);
- ho trovato molta soddisfazione, poi, sul sito Lefooding, una specie di Via dei Gourmet parigino che edita anche una guida (è lì che ho trovato il bistrot carino dove siamo stati a cena, di cui vi parlerò in un altro post).

Finiti i consigli, qualche must irrinunciabile per chi mette piede a Parigi:
- Ovviamente la baguette (infilatevi in una boulangerie e azzannatene una a caso);
- Il pan au chocolat;
- I dolci di Pierre Hermè (di cui parlerò diffusamente in un altro post);
- I formaggi francesi, anche da non mangiare sul posto, ma da riportare come souvenir che vi ricorderà la Francia con il suo aroma che impreziosisce il frigo per giorni e giorni;
- Il petto d'anatra/oca, nonché il fegato... vabbè questi possono non piacere, ma io sono un'appassionata.

Quanto agli ultimi due potrete trovare companatico per i vostri denti nella food hall dei magazzini La Fayette. Sicuramente è possibile trovarli anche altrove, ma noi eravamo di corsa e questa ci è sembrata la soluzione più pratica. Non aspettate però l'aeroporto, lì ci sono dei prezzi folli!

mercoledì 10 agosto 2011

Budapest, ovvero l'arte dell'all you can eat


Weekend rilassante nella capitale dell'Ungheria. Premesso che ci voleva proprio e che è una città magnifica, non potevo non raccontarvi le mie esperienze da Polipo Affamato.
Tre i locali visitati in quel di Budapest (in 3 giorni...), uno meglio dell'altro per rapporto qualità prezzo. Per prima cosa: ristorante in ungherese si dice Etterem, ma prima di scoprire questo noi abbiamo pensato bene di svolgere un approfondito studio multimediale. Guida, Tripadvisor e consigli di un'amica di Budapest.
Abbiamo cominciato dal consiglio di quest'ultima (preziosa anche per averci consigliato le bellissime terme Szechenyi e il padiglione dei bradipi allo zoo, dove abbiamo accarezzato i mansueti orsacchiotti pigroni). Il consiglio era di andare al Trofea Grill, un simpatico posticino a due passi dall'Isola Margherita dove la regola è all you can eat (& drink). Neanche a dirlo che c'era mezza Rai, ovvero l'intera troupe che seguiva il Gran Premio di Budapest. Comunque da apprezzare il vastissimo buffet con insalate e piatti freddi da un lato, zuppone e piatti caldi dall'altro (buonissimo il pollo fritto) e una vetrina da cui scegliere la carne o pesce o formaggio che veniva grigliata espressa dal simpatico arrostitore ungherese. Sottofondo di pianoforte suonato dal vivo molto piacevole e possibilità di bere illimitata per meno di 20 euro a testa...
Secondo giorno, sempre per cena, abbiamo scelto invece di affidarci alle recensioni di Tripadvisor. Tolti i primi eccessivamente costosi, abbiamo scelto il 4° in classifica, l'Hunyadi Etterem. Grazioso ristorante intimo e romantico a due passi dal castello (quindi tocca fare la salita per arrivarci). Costa un po' di più (in due abbiamo speso 75 euro che è più o meno il salario per una settimana di lavoro per un medico ungherese), ma meritava davvero. Ottimo il goulash, fantastico il fegato d'oca, davvero piacevole l'anatra. Anche i dolci meritavano e il simpatico proprietario ci ha congedati con un bicchierino di Palinka, la fortissima grappa ungherese.
Terzo e ultimo giorno. Questa volta a pranzo. Oramai avevamo visto un po' tutto, era domenica e molte cose erano chiuse, tanto più che pioveva e ci volevamo rifugiare da qualche parte. Abbiamo visto in lontananza l'insegna dell'Hotel Gellert e mi sono ricordata del leggendario brunch domenicale di questo albergo in stile liberty, molto retrò. Peccato solo che il tempo fosse brutto e non ci si potesse sedere all'aperto, altrimenti sarebbe stato più che perfetto. Solito pianita che suona in sottofondo, un milione di camerieri in pompa magna che ti servivano da bere e da mangiare illimitato, tavoli apparecchiati con tovagliato, posate e piatti elegantissimi. Insomma era tutto a 5 stelle, compreso anche il buffet, pieno di cose buonissime e anche qui illimitato. La cosa più buona in assoluto era uno stufato di manzo con i funghi porcini da leccarsi i baffi. Ma non mancavano altre piccole attenzioni come il salmone affumicato (quello buono), oppure l'anatra affumicata... Buone anche le zuppe e c'era una pasta al pomodoro, ma noi ovviamente non ci siamo arrischiati. Un intero tavolo per i dolci... Insomma, un vero paradiso, al costo di un brunch molto più scadente a Roma: 18 euro a testa. E' stata un'esperienza talmente tanto accogliente che per poco non dovevano cacciarci. Però poi si avvicinava l'ora del nostro volo...

martedì 19 luglio 2011

Specialità tunisine


Sono appena tornata dalla Tunisia e chiedo scusa ai miei - pochi - lettori per la mia prolungata assenza. Purtroppo al lavoro i blog sono nella black list e non vi si può accedere su internet. Ne ho di cose da raccontarvi. Cominciamo da quella più recente e probabilmente più appassionante: il mio viaggio in Tunisia. Sono andata giù a trovare degli amici e fra luci e ombre devo dire che è un paese che merita approfondimento.
Sono stata a Tunisi, in particolare, dove l'atmosfera post-rivoluzione è un po' accesa. Carri armati e filo spinato proteggono le strade principali e i palazzi governativi. Tuttavia a me è sembrato molto di facciata. L'unico momento di tensione l'abbiamo vissuto venerdì, quando ci avevano detto che dopo la preghiera ci sarebbe stata una manifestazione. Ovviamente non ci siamo persi d'animo: abbiamo preso un taxi e ci siamo spostati nella bellissima Sidi Bou Said.
La giornata più bella è stata quella che abbiamo trascorso al mare a Kelibia, una località a Nord di fronte alla Sicilia, più o meno da dove partono i barconi dei migranti. Lì c'era una spiaggia fantastica, con la sabbia sottilissima e bianca, che scricchiolava sotto i piedi. Il mare era leggermente agitato, ma questo non gli impediva di essere caldissimo e trasparente. Ho fatto dei bagni indimenticabili. La cosa più bella è che c'eravamo solo noi e un piccolo gruppo di tunisini. Davvero, quando si dice un posto incontaminato!
Fra le specialità tunisine abbiamo assaggiato naturalmente il cous cous, ma anche i fagottini di pasta brik, l'ouja e le grigliate di agnello e di merguez. In molti casi la cucina è troppo speziata per i miei gusti, ma il cous cous non è mai piccante ed è sempre il mio paracadute. Da segnalare soprattutto il ristorante dove siamo andati a Sidi Bou Said, che si chiama Chargui. L'abbiamo trovato sulla guida, ma diffidavamo perché in piena piazzetta. Invece era molto buono e costava poco (cinque euro a testa). Lì abbiamo assaggiato il cous cous d'agnello, il fagottino di pasta brik con il formaggio e le uova all'interno e le merguez arrostite, che sono delle salsiccine locali un po' piccantine e piene di finocchietto. Dopo cena siamo andati in un bar a bere il tè alla menta con i pinoli (shai bibunduk): una cosa deliziosa e fa niente che c'erano 30 gradi e il tè era bollente!
Però devo dire una cosa, per una volta: non è importante cosa si mangia, ma è importante la compagnia... Per una volta mi sarebbe andato bene anche pane e acqua!!!

venerdì 14 gennaio 2011

Il mistero dell'anatra fuiuta...


Se fossero un film con Christian De Sica, le mie vacanze di fine anno si potrebbero ribattezzare "Natale in Oriente". Breve excursus fra Pechino (toccata solo in volo), Hong Kong, Bangkok e Siem Reap: insomma 3 paesi in 10 giorni!!!Tralascio i particolari sul viaggio, riassumendo con un inno alla cucina orientale: leggera (a parte i frittoni), esotica e piacevolmente speziata. Peccato solo per l'eccessivo uso delle spezie piccanti che io purtroppo tollero molto male.

La regina del mio amore per la cucina orientale è lei: l'anatra alla Pechinese. Quale posto migliore per assaggiarne un'ottima versione se non Hong Kong? Dai miei studi pre-partenza è emerso che Hong Kong ha una quantità enorme di ristoranti stellati dalla Michelin, che edita annualmente una guida dedicata proprio alla ex colonia (e alla vicina Macao).
Affidandoci ad internet e ai commenti positivi dei clienti, abbiamo deciso di provare il T'ang Court, raffinato due stelle Michelin che fa parte dell'old fashionate Langham Hotel.
Eravamo partiti dal falso presupposto di un ambiente raffinatissimo a fronte di un costo irrisorio. Questo a causa di una recensione su Tripadvisor in cui era erroneamente dichiarato un prezzo fra i 5 e gli 8 euro... diciamo che mancava uno zero!
Comunque complessivamente per i nostri standard i prezzi erano ancora abbordabili. Ovviamente ordiniamo lei: l'anatra alla pechinese, che arriva dopo poco tempo bella rossa e laccata, completa di testa e becco.
Una scena vagamente lugubre (si veda nella fotografia) ma che non ha mancato di farci venire l'acquolina in bocca mentre il sapiente cameriere affettava la sua fragrante pelle esterna. Un'operazione di rara perizia, che prevede lo "scuoiamento" postumo dell'animale mediante un coltello affilato.
Guanti da chirurgo e gesti lenti e sicuri: il cameriere sembrava stesse facendo un innesto di pelle più che affettare un'anatra! Ogni lembo di pelle dell'anatra veniva tagliato e poi controllato scrupolosamente, per togliere ogni residuo di carne: la pelle deve essere servita rigorosamente da sola!
Dopo questa operazione, durata diversi minuti, ci sono stati serviti i pezzi di pelle di anatra, i morbidissimi pancake caldi e la mia amatissima salsa di non so cosa che viene sempre abbinata all'anatra. Una rollata e via... Uno dei miei piatti preferiti al mondo è servito. Ma non è tutto. Dopo esser stata scuoiata, l'anatra è tornata in cucina per essere affettata.
Date le dimensioni della bestia, noi pensavamo che stesse per tornare un piattone di anatra... però quello che è tornato indietro sono stati sei foglie di insalata con altrettanti mucchietti di anatra tritata a mano. Sapore ottimo, niente da dire...
Ma dove era il resto dell'anatra?
Questo interrogativo ci ha attanagliati per tutto il viaggio e anche dopo: diciamo che stiamo ancora aspettando che ci portino il resto a tavola!!!

A parte questo, abbiamo mangiato anche delle frittelle di pesce con gamberi, capesante e granchio e un maiale con il prosciutto cinese che devo dire non era niente di che.

Insomma, la nostra esperienza con il due stelle Michelin è stata sì soddisfacente, perché i sapori erano buoni, ma ci ha lasciato con l'amaro in bocca da anatra fuiuta...

martedì 22 giugno 2010

Meditazione sul vino Marsala


Chi l'ha detto che il Marsala è buono solo per dare sapore allo zabaione? O al massimo per le scaloppine? Nell'immaginario moderno il Marsala è quel vino che la nonna ha sempre in dispensa, più per cucinare che per altro. Fino a qualche giorno fa devo ammettere che anche io associavo al Marsala quella bottiglia impolverata che sta nella vetrina del salone: dicono che la portò da Palermo il mio bisnonno Andrea qualche anno dopo la guerra. Ma mi sono dovuta ricredere e prometto solennemente che d'ora in poi una bottiglia di Marsala la terrò anche io e non in dispensa, ma insieme agli altri distillati e vini da dessert che sono solita offrire ai miei ospiti a fine pasto. Come mai questo cambiamento di rotta?
Galeotto fu il weekend a Marsala. Organizzato non a caso proprio dal Consorzio del Marsala che intendeva rispolverare l'immagine del suo protetto. Visite alle cantine, assaggi e abbinamenti a cibi siciliani. Un vero paradiso. Oltre che un weekend decisamente istruttivo: ho imparato che il Marsala si divide in Vergine, Fine e Superiore. La differenza la fanno gli anni (minimi) di invecchiamento, che raddoppiano se sull'etichetta c'è scritto Riserva. Il più pregiato, il Vergine, va per i 5 anni minimo, 10 se è Riserva. Ma anche molti di più. Alla Florio abbiamo visto botti che contenevano vino del '43. A proposito della Florio, in questo caso la pubblicità è d'obbligo: ne ho assaggiati diversi di Marsala in questi giorni e anche più costosi in enoteca, ma devo dire che i migliori erano quelli della Florio.
Ci sono rimasta male solo per la scoperta che ho fatto. Io mi aspettavo un signor Florio, accompagnato da una classica signora ingioiellata siciliana. E invece no. I Florio si sono estinti decine di anni fa. Erano rimaste solo delle donne, che però hanno presto rinunciato a occuparsi di vino. Così, dopo alterne vicende, oggi la storica Cantina Florio, fa parte di un'altra storica Cantina: Duca di Salaparuta. E insieme a Corvo fanno un vero e proprio impero del vino siciliano. Però la mancanza del capostipite ha fatto perdere un bel po' di fascino ai miei occhi.
Tornando al vino, proprio alla Florio ci hanno fatto assaggiare un bel po' di abbinamenti appropriati: per prima cosa le mandorle, la cui nota è presente anche nel vino quindi il matrimonio è a dir poco perfetto; poi il gorgonzola o i formaggi erborinati in genere, che con il loro gusto forte contrastano degnamente il gusto del Marsala; ancora il pesce affumicato e la bottarga, salati al punto giusto da rispondere bene all'unione con il Vergine. Fine e Superiore sono un po' più dolci e leggeri, quindi sono più adatti ai dolci. La "morte loro" è con i dolci di ricotta, quindi la pasticceria siciliana si abbina perfettamente a questi vini. Buon cannolo a tutti!

martedì 8 giugno 2010

Belgio, paradiso della birra... un po' meno del cibo!


Di ritorno da un breve weekend fra Bruxelles e Fiandre, i miei ricordi da gourmet provetta si fermano a pochi elementi: la birra, le gauffres, le patatine fritte. Scordate rapidamente le moules (cioè le cozze) così come le escargots (cioè le lumache) e qualsiasi altra cosa più "tipica" della cucina belga (chiedo venia per la mancanza di accenti sulle parole francesi, ma non conosco la lingua e non mi va di ricercare le parole una per una).

BIRRA: ovunque siamo andati ci siamo concessi una bella birretta, anche perché statisticamente costa meno dell'acqua. Oltretutto siamo grandi estimatori delle birre chiare trappiste, blanche per gli amici. Molto diffusa e da me apprezzata la Hoegaarden, ma il mio cuore ha battuto pià forte per la Tripel Karmeliet servita in un simpatico locale di Gand (o Gent, che dir si voglia) ricavato in quello che credo fosse un vecchio magazzino, a ridosso del canale. Il posto si presentava particolarmente local, con i suoi bei prosciutti appesi alle travi del soffitto! Segue documentazione fotografica... Ancora un'emozione con la Trappistes Rochefort, presa in bottiglia da un bangla che la vendeva, fredda, a due euro, contro i 7 a cui l'avevamo comprata, calda, in un locale di Roma.


PATATINE FRITTE: fra i tanti odori che si sentono per le strade della città, uno dei più caratteristici è quello di fritto!!! Seguono quello di caramello sciolto delle gauffre (di cui parlerò in seguito) e quello di kebab sprucido tendenzialmente greco che circonda la Grand Place. Tornando alle patatine fritte, che in Belgio si chiamano semplicemente Frites, le abbiamo provate in due occasioni: il primo giorno, vicino a Chapelle; il secondo giorno nei pressi del Parlamento Europeo, in Place Jourdan, dal mitico Maison Antoine. Ne avevamo letto su diversi forum su cui avevo cercato informazioni prima di partire: tutti dicevano che erano talmente buone che la fila è lunghissima. Noi ci siamo passati di domenica, pensando che fosse anche chiuso e invece... non una ma due file di autoctoni che aspettavano per il loro cartoccio caldo caldo di patatine, con un vasto assortimento di salse, spatasciate sulle patatine, oppure servite a parte in una vaschetta. E in effetti erano buonissime! Con un cartoccio a testa, ci abbiamo fatto cena!

GAUFFRES: ne abbiamo mangiate tante, sia plein che con panna e cioccolato. La più buona l'abbiamo trovata a Gent, ma devo dire che le differenze erano minime. Sono l'equivalente dei waffles americani e vengono servite sempre calde. Quando ci metti la panna sopra, pian piano si scioglie e ci si sporca rigorosamente tutti!

ALTRO: la prima sera abbiamo cenato in un ristorantino un po' più elegante, ma anche se non si è mangiato malissimo, complessivamente non siamo usciti molto soddisfatti, a fronte di una trentina di euro a testa. Abbiamo provato le cozze con la cremona di birra e panna, ma francamente erano pesantissime. Più piacevole una specie di toast con le escargot, le lumache. Mentre un petto di faraona alla salsa al ribes era davvero troppo dolciastro. Nel locale con i prosciutti appesi, oltre alla birra, abbiamo mangiato anche un piatto di salumi e formaggi non proprio esaltante e un wurstelone di carne di cavallo che invece non era male. Poi avevamo visto che in un pub servivano le lumachine di mare, di cui non ricordo il nome in francese e ci siamo seduti a mangiarle con una bella birra, ma non erano questa cosa così esaltante: più che altro era divertente estrarre il corpo della lumachina con un simpatico aghetto a forma di pesciolino...
ACQUISTI: non potevamo tornare senza riportare qualcosa di tipico. Purtroppo le restrizioni aeroportuali ci hanno impedito di riempire la valigia di birra, quindi ci siamo accontentati di cioccolato e formaggio. Il cioccolato lo abbiamo comprato dal mitico Leonidas, che riempie tutta la città con i suoi invitanti negozi. A dir la verità non lo abbiamo ancora assaggiato. I formaggi, invece, sopravvissuti ai controlli all'aeroporto, sono la cosa più puzzolente che abbia mai sentito: puro piede gorgonzolato! E dire che a me piacciono i formaggi puzzoni... ma questa volta abbiamo forse esagerato (non è dello stesso avviso Giampiero)! La scelta, effettuata proprio a naso, è ricaduta su un tipico formaggio molle d'abbazia bagnato alla birra: vi dico solo che la mia valigia se lo ricorda ancora, nonostante le buste di plastica con cui avevo cercato di isolare l'elemento radioattivo! Per non parlare del frigo, che da ieri che sono tornata non è conveniente aprire...





martedì 13 aprile 2010

Tapas y mas


Non so se il titolo sia in spagnolo correggiuto... ma ci provo sempre a parlare spagnolo, specie dopo un magnifico weekend passato a Madrid. Nella capitale spagnola ci ho lasciato il cuore (e anche la valigia, ma questo è un'altra stori. Non sarei mai tornata.

Avrei voluto passare intere settimane nella movida spagnola, attiva a tutte le ore. Mangiare e sorseggiare un bicchiere di vino: questa la fede in cui credono i madrileni e che condivido. Ero già stata in Spagna, a Barcellona, ma non avevo avuto la stessa impressione di convivialità.

Inutile citare tutti i posti in cui ho mangiato, ma sottolineo solo qualche piatto che mi ha lasciato un ricordo particolare:
- jamon Serrano, naturalmente;
- "croquettas" di baccalà: buonissime;
- filetto di maiale condito con una salsetta di vino bianco e uvetta da urlo.
Merita un capitolo a parte il Mercado San Miguel, alle spalle di Plaza Mayor: un vero paradiso gourmet. Ci siamo capitati di domenica mattina ed era affollatissimo. Mi ricordava un po' il mercato di Borough, che sta a Londra, dietro casa di mia cugina, ma era ancora più sfizioso. Il principio è lo stesso: prodotti di qualità, sia locali che stranieri, venduti a turisti e autoctoni. Ma ovviamente l'impronta madrilena ha fatto il suo. Questo mercado è diventato un punto di riferimento modaiolo per chi vuol fare un aperitivo "itinerante": a una bancone prendi il vino, a un altro una crocchetta, all'altro il piattino di prosciutto o di formaggi, all'altro ancora la tartina di pesce, all'altro ancora l'ostrica aperta davanti ai tuoi occhi. Un euro di qua un euro di là ed esci soddisfatto e inebriato dai sapori assortiti di questo mercato. Un'esperienza da non perdere per chi va a Madrid. Un'idea che sarebbe bello copiare anche a Roma, dove ci sono decine di mercati coperti dall'aria intristita.
Sindaco Alemannooooooo: perché non prendi il mercato di via Cola di Rienzo, che sta in zona altrettanto turistica del Mercado San Miguel, e copi l'idea????

martedì 9 marzo 2010

In Egitto non per mangiare... però...

Cari amici del Polipo Affamato, innanzitutto devo chiedere scusa per la prolungata assenza dal web.
Il motivo, come avrete immaginato, è dovuto a una vacanza. Quest'anno Egitto: una settimana a Sharm El Sheik tanto per fare l'italiana media e due giorni al Cairo per salvare la faccia della cultura. Con i miei genitori...

E questo vuol dire, all'estero, rinunciare alle velleità gastronomiche e accontentarmi dei buffet degli alberghi che, secondo la loro teoria, consentono di non rimanere digiuni.

A parte che per me il rischio di rimanere digiuna non esiste... Ma poi io detesto i buffet dei ristoranti (salvo rare eccezioni)!!!

Comunque, per prima cosa urge commentare la foto qui sopra: dicesi avanzo di tentativo di cannelloni e di lasagne di un buffet italiano del nostro albergo (il Sofitel, peraltro una catena francese). Quella cosa bianchiccia poi non ricordo cosa fosse. Ho rimosso. Ovviamente i suddetti cannelloni e lasagne non sono commentabili. Vi dico solo che si sentiva il sapore dell'immancabile cumino nel ripieno. Detto questo, devo sottolineare che ho subìto questa cena solo per quieto vivere.

La sera successiva, però, la situazione è migliorata, perché una passeggiata a Naama Bay (il centro commerciale di Sharm) per prenotare le escursioni ci ha portati a cenare in un buon ristorante egiziano consigliatoci da mia cugina: Abou El Seid.

Come potete vedere dalla foto: salsine con melanzane, yogurt, lenticchie, ceci... Poi i buoni involtini di vite, i felafel... Insomma, era tutto buono e saporito, neanche troppo speziato (e considerate che detesto il cumino!). Poi abbiamo preso un misto di carne, che comprendeva la kofta (polpettine di carne spiedinate e grigliate) e lo shish kebab, cioè sempre spiedini di carne grigliati. L'unica pecca, devo dire, era che il pane arabo non era cucinato espresso, come invece capitava perfino nella colazione del nostro albergo. Ovviamente una cena del genere, in un ristorante piuttosto elegante, costa abbastanza di meno di un buffet di un albergo 5 stelle e consente anche di prendersi lussi come vino e birra.

Dopo questa esperienza, però, non è stato possibile convincere i miei a continuare sulla linea egizianofila (nonostante un invitantissimo ristorante egiziano del nostro stesso albergo che si chiamava El Kebabgi da cui uscivano odori di griglia eccezionali), ma abbiamo continuato il tour dei buffet. Non vi dico lo sgomento dei miei genitori quando, dopo una difficile contrattazione con un tassista per arrivare allo Sheraton di Sharm (che sta abbastanza in mezzo al nulla) abbiamo scoperto che il tema del giorno del buffet era nientemeno che la cucina cinese! Inutile descrivere i tremendi tagliolini cinesi scotti...

Così nei miei ricordi gastronomici legati all'Egitto restano (in positivo) solo il buon pane arabo della colazione del mio albergo sia a Sharm che al Cairo. Poi, al Sofitel del Cairo, a colazione c'erano degli ottimi felafel. Così, alle 8 di mattina, prima di affrontare le piramidi, la mia colazione è stata un pezzo di pita scaldata nel toaster, un felafel e una cucchiaiata di salsa yogurt e menta (utilissimi i fermenti lattici dello yogurt in Egitto!).

Al Cairo, poi, abbiamo fatto i turisti sulla cena galleggiante della barca dell'Hotel Hyatt. Contrariamente alle mie aspettative erano pochi i turisti non arabi, però. Nel buffet c'erano perfino dei tentativi di sushi, commestibili, ma considerato che erano fatti col tonno delle scatolette... sono capace anche io! Da segnalare, però, una profusione di dolci arabi davvero ottimi, benchè dolcissimi, visto che l'ingrediente cardine è il miele.

In generale, panificazione e pasticceria sono i punti forti degli egiziani, anche nei tentativi esterofili. Pane e dolci dei buffet erano sempre buonissimi. Infatti, non oso fare analisi per le prossime due settimane: avrò la glicemia alle stelle!

lunedì 1 febbraio 2010

Bratislava va bene... ma non per mangiare...

Per chiunque abbia mai potuto pensare che la Slovacchia possa essere meta di turismo gastronomico... toglietevelo dalla testa! Diciamo che cucinare non è arte loro, o forse siamo noi italiani troppo esigenti?

Fatto sta che in una 48 ore a Bratislava (due colazioni, qualche merenda e tre cene) poche sono le cose degne di nota positiva, ma la cronaca impone completezza...

La colazione non era male, ma bisogna anche tener presente che ci siamo concessi il lusso di un 5 stelle. Sulla tavola imbandita una serie di formaggi e salumi e, più buoni di tutti, i mitici affumicati. Soprattutto la trota affumicata è stata una grande scoperta. Anche il pane non era affatto male: il genere è un po' quello delle baguette o dei panini al latte, spesso poi sono conditi con cereali, semi di sesamo o di papavero. E anche se la tavola imbandita non sembrava molto abbondante, era perché c'era una carta da cui si potevano scegliere i cibi caldi, preparati al momento. Il primo giorno abbiamo assaggiato un "leggerissimo" piatto con fagioli dolci (piccoli, tipo gli zolfini toscani), salsicce e uova. Questo era buono, ma il secondo giorno non ce la potevamo fare a ripeterci! Abbiamo poi tentato di prendere caffè e cappuccino... ma soprattutto il primo era una brodaglia degna del peggior Nescafè... Ma se uno va fuori dall'Italia non può aspettarsi di meglio...

Il primo pomeriggio che eravamo lì abbiamo tentato l'esperienza cioccolata calda per riscaldarci (c'era la neve). La cioccolata, spacciata per fonduta, era alquanto liquida, comunque buona di sapore... e soprattutto era italiana! O meglio, Talianski, come dicono in Slovacchia!


Quindi le cene. Ci siamo fidati un po' di una guida che avevo, un po' dell'istinto. E soprattutto abbiamo evitato tutti quei locali che attiravano con la PIZZA! La prima sera abbiamo provato un tipico pub ceco, dall'aspetto abbastanza local e non lontano dall'albergo e dal centro storico: il Prazdroj. Le cameriere erano vestite con un abito tipico posticcio, ma almeno la frequentazione era tutta autoctona e questo ci ha rincuorati. Per prima cosa ci siamo fatti portare una birra: ci avevano proposto una litrata a testa, ma abbiamo optato per la mezza. Abbiamo quindi preso un tagliere di formaggi, che annoverava alcuni esempi di formaggio quasi indescrivibili. Comunque erano tutti buoni. Poi abbiamo scelto quasi a caso un piatto di carne per due. E qui cominciano le nostre vere esperienze culinarie slovacche. Ci arrivano tre tipi di carne (uno era petto di pollo, uno vitello, l'altro boh) dalla consistenza ottima, arrotolate in un pancake di patate moscio e il tutto era ricoperto di una salsa al formaggio liquida e opprimente. Il risultato non era terribile, si poteva mangiare, ma diciamo che non è un piatto di cui bramo di sapere la ricetta!

Serata n° 2. Sempre seguendo la guida scegliamo il Prasna Basta, un localino molto carino a due passi dalla Porta di San Michele. Ci dicono che abbiamo il tavolo solo per un'ora perché hanno delle prenotazioni, ma poi ci lasciano stare più tempo perché nel frattempo si erano liberati altri tavoli. Anche qui la prima cosa è la birra, poi scegliamo fra le specialità della casa. Come non assaggiare il tipico gnocco slovacco di cui parlava la guida? E perché non prendere un bel cinghialotto selvatico (probabilmente rumeno)? Nel secondo caso la scelta non è stata affatto sbagliata, il cinghialotto era morbidissimo e benché ricoperto dalla classica salsa ammazzasapori slovacca (del tutto simile alla salsa delle polpette dell'Ikea e abbinato a un'altrettanto simile marmellata ai ribes) e accompagnato dal solito pancake moscio, il piatto risultava davvero ottimo. Passiamo allo gnocco, che resterà sempre nella nostra memoria. L'aspetto era da pappone, la consistenza pure. Sembravano tipo gli spatzle, conditi con un salsone bianco a base di un formaggio pecorino e cubetti di bacon arrostito sopra. Avete presente quando si fa la pasta burro e formaggio perché non c'è nient'altro a casa? Più o meno... A parte questo avevamo anche preso la solita mia amatissima trota affumicata (buona), una zuppa liquidissima dal contenuto non meglio identificato e dal sapore indecifrabile e delle fantastiche patate arrosto... Almeno quelle le sanno fare.














Insomma, alla fine, gnocco a parte, il bilancio per questo locale era buono, così abbiamo pensato di tornarci anche l'ultimo giorno. Abbiamo quindi pescato altre due specialità della casa... E abbiamo scelto un piatto di maiale e uno di vitello. Il primo era un frittone quasi cinese, il secondo un altro pancake di patata moscia con dentro la sorpresona: la carne era come al solito morbida, ma affogata in un salsone non meglio identificato. Appesantiti come al solito e forti di una litrata di birra a testa abbiamo chiuso così con la cucina slovacca...

martedì 24 novembre 2009

Cena dei 3 gamberi

Serata diversa alla Città del Gusto: la mia prima cena dei 3 gamberi. Un'occasione riservata a collaboratori e sponsor...
Il pasto è stato "leggero", ma gradevole. Diciamo che ai buffet si mangia molto di più, ma qui siamo andati di qualità.

Antipasto: INVOLTINI DI VERZA (dell'Osteria della Villetta di Palazzolo sull'Oglio in provincia di Brescia)
Primo: TORTELLI IN SALSA DI ANATRA (della Locanda al Gambero Rosso di Bagno di Romagna, provincia di Forlì e Cesena)
Secondo: FAGIANO ARROSTO (del ristorante La Ragnatela di Mirana in provincia di Venezia)
Dolce: STRUDEL (del ristorante Pretzhof di Val di Vizza in provincia di Bolzano)

Gli involtini erano buoni e delicati, molto morbido il ripieno.
I tortelli sono stati il piatto migliore della serata: piccoli e delicati, talmente rossi da essere visibilmente fatti in casa con uova buone e conditi con un battuto di anatra davvero interessante.
Il fagiano era buono, ma a me è capitato il petto, quindi era leggermente secco. Era però servito con un battuto di carne che compensava. Di accompagnamento, un ottimo radicchio trevigiano e una inutile quanto insipida polentina.
Lo strudel non è il mio dolce preferito, quindi sono di "anti-parte", comunque per i miei gusti era troppo dolce e, oggettivamente, non del tutto cotto esternamente.

In ogni caso, su queste quantità di gente (200 persone credo) e in cucine non proprie, si scusano gli errorini dei cuochi!

Vini in abbondanza, con una varietà da almeno 15 etichette fra bianchi e rossi. Da segnalare il Negramaro del Salento Maru '08 della cantina Castello Monaci: l'ho bevuto come se fosse acqua. Unica pecca: neanche un vino dolce o uno spumante per accompagnare il dolce e chiudere in bellezza.