mercoledì 31 marzo 2010

Indian soft


Premessa: non mi piace la cucina indiana. Non riesco a mangiare cibi troppo speziati e quando sono stata in India ho avuto serie difficoltà.
Però da Tiger Tandoori (a pochi passi dall'area pedonale del Pigneto) ho stupito perfino chi diffidava delle mie capacità di adattamento al curry. Ho assaggiato tutto, finito di mangiare quasi tutto. In fondo, anche se in cucina ci sono solo indiani (al massimo saranno pakistani/bangla, quindi comunque di radici indiane), la proprietà è italiana (gli stessi di Necci al Pigneto) e quindi ha dato un'impostazione soft.
Per chi vuole la cucina ultrapiccante, però, ci sono menù appositi con il bollino rosso!
Ragionevolmente saporiti i piatti che abbiamo assaggiato noi: fritto misto e menù Tandoori. Nel primo caso è un assortimento di samosa, frittelle di lenticchie, pappadums, gamberetti, cosciottini di pollo pastellati... Insomma, tutte cose accettabili anche per me che sono "malata".
Il misto tandoori, invece, presenta tre tipi di portate:
- un pollo (quasi intero) cotto appunto nel forno tandoori, che si presenta con un colore rosso fuoco che fa pensare al peggio. Invece no, perché anche se non ho mai capito cos'è che dia quel colore, i cibi cotti al tandoori non sono mai piccanti, ma hanno solo un piacevole sapore di cenere nei punti più bruciacchiati.
- kebab di agnello: questa specie di polpette, cotte sempre al tandoori, per i miei gusti erano un po' troppo speziate, ma comunque l'impasto di base è molto buono.
- crepe di formaggio e spinaci: qualche retrogusto di peperoncino anche qui, ma niente di eccezionale, piuttosto un sapore gradevolissimo di spinaci ben conditi.
Il tutto, per chi non ha problemi con le spezie come me, innaffiato da salsine atomiche, una in particolare, verdina e inquietante.
Per accompagnare, la gradevole birra indiana dal nome evocativo... Cobra!

martedì 23 marzo 2010

Tavolo con vista sull'Ikea

Per puro caso mi sono trovata in un ristorante a dir poco ai confini della città. Dal bigliettino da visita si comprende immediatamente dove siamo: a due passi dall'Ikea, quella di Roma Nord. Il locale si chiama "Che te ne sà": sembra che sia un modo di dire viterbese traducibile con "che te ne pare?".
Insomma, nel pieno centro della Bufalotta per mangiare nientemeno che il pesce. A dir la verità sul menù si trovano anche diverse proposte di terra, dalla bufala di Battipaglia (per rimanere in tema con la zona che ospita il ristorante) ai salumi, passando per carbonara e amatriciana cucinati con guanciale di Tolfa e tagliate di manzo di vario genere.

Ma il vero protagonista è il pesce, vera killer application di questo locale anche per i prezzi, che si coniugano con la qualità. Il pescato arriva giornalmente, la freschezza è sicura. Con cuore leggero si può mangiare quindi anche il crudo: un ottimo carpaccio assortito che i giapponesi chiamerebbero sashimi. Fra gli altri antipasti di mare (da prendere nel misto crudi/caldi/cotti) un'ottima insalata di polpo. Su molte recensioni ho trovato lamentele sulla consistenza del polpo, nella mia esperienza invece era talmente tenero che si scioglieva in bocca. Il condimento, inoltre, (olio, sedano, carotine e rosmarino) era da scarpetta selvaggia, anche perché il pane meritava decisamente, visto che è fatto in casa dallo chef, che evidentemente ci sa fare anche con la pasta lievitata. Poi un tortino saporitissimo con due gamberini sopra, ma non ho capito cosa contenesse, una specie di parmigianina, dei mini-pesci fritti e conditi alla scapece con l'aceto, alici marinati, uno scampo leggermente scottato e sarde fritte.

Fatte in casa pare che siano anche le paste. Noi abbiamo mangiato i paccheri con pesce spada e melenzane. Sulla fattura casalinga dei paccheri non ci metterei la mano sul fuoco. Erano leggermente al dente, ma a me piacciono così. Il condimento, inoltre, era abbondante e saporitissimo, ma non troppo invadente. Per non parlare delle dimensioni dei piatti: ne abbiamo diviso uno e già la mezza era una porzione piena!

Notevole anche la porzione della tagliata di tonno: un bisteccone! La cottura era a dir poco perfetta e la carne morbidissima. Si accompagnava con una salsa di mosto cotto e aceto balsamico davvero "azzeccata" e una caponatina di peperone con pinoli e uvetta molto buona.

Per dolce uno spumoso tiramisù dalla crema molto gialla. Servito in un bicchiere, sul fondo aveva dei savoiardi poco bagnati. A me non piacciono troppo inzuppati, quindi per i miei gusti andava bene, ma i puristi avrebbero qualcosa da ridire. Un caffè un po' sovraestratto - cioè lentino -, ma non cattivo di sapore, per concludere.

E un conto non tanto salato, anzi. Per essere un ristorante di pesce siamo su livelli molto bassi per la Capitale. Un menù completo è su una quarantina di euro, prendendo tutte le portate, ma come ho già spiegato le porzioni sono molto generose ed è quindi buon uso dividere come minimo il primo (ma anche il secondo e l'antipasto) per non uscire carponi.

sabato 20 marzo 2010

Cos'è il meglio di Betto e Mery? I figli, naturalmente!

La prima domanda che ci si pone sentendo il nome "Il meglio di Betto e Mary" è: quale sarà questo meglio? Normale pensare che sia questione di cibo, cioè i piatti migliori di Betto e Mary. E invece no! Il loro meglio sono i loro figli, che hanno aperto questo locale non in periferia, di più.
Nelle profondità di via di Pietralata, là dove arriva l'olezzo di uovo marcio dell'Aniene, ci sono loro con le loro specialità romane.
Ci siamo andati con un gruppo di amici, una serata piacevole e innaffiata da tanto vino. Certo, era vinaccio, ma tanto quando mangi piatti così sapidi manco lo senti più!
Il punto di forza di questo locale, aperto solo la sera e sempre affollatissimo, sono tutte le specialità che si possono cucinare con il cosiddetto quinto quarto (per chi non ne sapesse il significato: la carne si divide in quarti, poi ci sono gli avanzi, dalle frattaglie in su, beh quello è il quinto quarto, che a Roma è un'istituzione).
Per prima cosa gli antipasti "faccio io". Dalle coppiette e i fantastici sfilacci di cavallo, al meraviglioso cavolfiore fritto (neri per quanto sono bruciati e tanto croccanti che sembrano patatine), passando per peperoni e melenzane in umido. Giampiero ha voluto anche i nervetti, ma quelli non ce la potevo fare a mangiarli.
Sui primi è necessaria una precisazione: la pasta è fatta in casa e talmente gialla di uovo da essere saporita pure da sola. Tuttavia ovviamente mica viene servita da sola. Per i meno coraggiosi ci sono amatriciana e carbonara (perfino in versione vegetariana con le zucchine), per i più esploratori, il sugo di coda alla vaccinara e la loro specialità della casa: pasta animelle, noci e carciofi. Devo dire, però, che la prima volta che l'ho mangiata mi aveva lasciata molto più soddisfatta, questa volta era un po' sciapa. Il sugo di coda, al contrario, era saporitissimo e condito con una generosissima spolverata di pecorino.
Poi i secondi. Per chi non ce la fa a mangiare il monumentale "Misto romano", la brace è sempre accesa e sforna arrosticini e grigliate a gogò. Lo zoccolo duro di noi capitani coraggiosi, però, non poteva esimersi dal vero perché della serata: il misto. Pajata, coda col sugo bianco e con quello rosso, animelle e coratella. Insomma, gli antichi scarti (che oggi non è che in macelleria te li regalano!) che trovano nuova vita nelle preparazioni di questo locale.
Infine, la tradizione vuole che venga portata la Romanella con i tarallucci al vino. Una delizia i tarallucci, un ultimo sorso di felicità la Romanella!

sabato 13 marzo 2010

Rome Cheese Cake

Compleanno di una mia carissima amica: decido di farle una torta di compleanno simbolica. Scelgo di provare a cimentarmi nelle Cheese Cake e mi affido alle mani sicure di Sonia, cioè delle ricette di Giallo Zafferano (tanto per restare in qualche modo in famiglia...). Vedi che ti rivedi il video della New York Cheese Cake ( http://ricette.giallozafferano.it/New-York-Cheesecake.html ), presi gli appunti e stilata la lista della spesa, inizia il cimento.

Decido subito di apportare una mia variazione sul tema: la ricetta vorrebbe un terzo passaggio con un'ulteriore cottura in forno dopo aver messo uno strato di panna acida. Non sapendo dove rimediarla e non avendo voglia di fare tre passaggi, ho deciso che potevo accontentarmi di una bella decorazione con la normale panna e qualche fragola, anche perché sicuramente avrebbe avuto un impatto più coreografico. Un altro cambiamento che ho apportato è invece stato dettato dalla necessità: non avendo uno stampo a cerchio apribile da 22 cm di diametro... ho usato quello che avevo da 18 cm, creando una torta all'apparenza piccolina, ma che si estendeva in altezza (nonché in pesantezza!).
Ecco quindi la mia Rome Cheese Cake.

Ho sbriciolato, come Sonia insegna, una confezione di biscotti Digestive da 250 g con 150 g di burro fuso. Per velocizzare i passaggi, nello "sbriciolamento" ho usato il mixer e nella "fusione" il microonde. Sonia diceva di mettere due cucchiai di zucchero di canna, ma l'ho dimenticato! Comunque ho frullato e amalgamato il tutto e ho preparato la teglia con la carta da forno da tutti i lati, cioè sia sul fondo che sul laterale (tagliandola a misura, tanto per far le cose per bene!). Ho quindi "cementato" il pappone di burro+biscotti sia sul fondo che ai lati e ho messo in frigo la teglia. Segue quindi il riposo di 1 h abbondante in frigorifero per far compattare il pappone.

Passata l'ora (Sonia dice che in alternativa si può far stare mezz'ora in freezer, ma il mio era troppo pieno...), ho cominciato a impastare il ripieno. In un impeto di scarsa volontà ho scelto di usare il mixer: nulla lo vieta e il risultato era perfetto, salvo quei pallini d'aria che inevitabilmente con le fruste si incorporano. Comunque in forno si stabilizza il tutto.

Ho quindi messo i 600 g di Philadelphia, i 100 g di crema di latte (ovvero panna da montare, ma mi raccomando, quella fresca del banco frigo non la Hoplà!), 3 uova intere, 100 g di zucchero e per aromatizzare ho pensato bene di mettere un tocco tutto mio: un po' di vaniglia buona presa direttamente dal baccello! Una volta amalgamato, per far "cagliare" va messo il succo di mezzo limone (mi raccomando filtrato, se no vanno i noccioli) e un pizzico di sale per esaltare il sapore.

Quindi il composto va messo nella teglia e fatto cuocere in forno pre-riscaldato a 180° per una mezz'ora. Io ho usato il fornetto piccolo, che diffonde il calore in maniera più diretta, quindi mi è parso che la mezz'ora fosse sufficiente (era lì lì per bruciarsi) e ho spento. Sonia consigliava di fare andare il cheese cake per un'altra mezz'ora a 160°.

Note: avendo usato la teglietta piccola ho riscontrato un ovvio problema di dosi. Il pappone burro+biscotti andava bene, il composto di Philadelphia ecc.ecc. invece era eccedente. Mi chiedo se con una teglia più grande il pappone sia abbastanza, ma forse sì, basta solo pressarlo meglio.

Poi ho visto che, usando lo stampo a cerchio apribile, un po' di burro del pappone si è sciolto ed è colato sul fondo. Meno male che avevo usato il fornetto, che ha la placca inferiore mobile, quindi facile da pulire.
Infine la decorazione. Una volta fatta raffreddare la torta l'ho sformata e messa su un'alzatina (che faceva più coreografico). Era ancora un po' calda e i biscotti rischiavano di franare. Per bloccare la frana mi sono quindi inventata un cerchio di carta stagnola che faceva anche da decorazione. Quando è proprio fresca, la Cheese Cake va messa in frigo, dove raggiungerà la consistenza ottimale. E' solo dopo un'oretta di frigo che ho fatto la decorazione con la panne e con le fragole. Ho messo anche delle codette a forma di cuoricino che avevo trovato a Bratislava in un supermercato e mi sono tornate utili!

A questo punto il giudizio: OTTIMA! Io stessa non credevo molto nel risultato, ma era davvero buona. Ha fatto furore! Un ottimo abbinamento è con le fragole, ma anche il caramello, come consigliava Sonia "è la morte sua"...

mercoledì 10 marzo 2010

(Alì) Babà e i 16 gusti...

Un piccolo scrigno di desideri a pochi passi da casa mia, quindi a Roma, in zona San Giovanni. Si chiama Babà Napoli ed è la succursale di laboratori e pasticcerie sparse per la provincia salernitana (indirizzo principale a Battipaglia).
Neanche a dirlo, la specialità principale è il Babà, ma mica nudo e crudo... Piccole delizie soffici ripiene di creme in 16 e più gusti diversi. Nutella, Cassata, Pinguino, Crema, Delizia al Limone, Ricotta e Pere, Panna e fragoline... Insomma, chi più ne ha più ne metta.
Ieri ci sono passata per comprare un "cabaret" di paste e ci siamo soffermati a chiacchierare con la simpatica commessa (casertana) dell'abitudine tutta del Sud di non concludere il pasto della domenica senza un dolce. E le file nelle pasticcerie? Le guantiere di paste?
Insomma, un posto dove il calore del Sud è vivo e attivo... E i babà sono buoni e piacciono anche a chi non ama il bagno di rum, dal momento che la quantità di liquido si decide al momento con chi confeziona la guantiera.
Ah, ovviamente la piccola delizia si può anche mangiare "espressa": piattino e forchettina, con i complimenti della casa!

martedì 9 marzo 2010

In Egitto non per mangiare... però...

Cari amici del Polipo Affamato, innanzitutto devo chiedere scusa per la prolungata assenza dal web.
Il motivo, come avrete immaginato, è dovuto a una vacanza. Quest'anno Egitto: una settimana a Sharm El Sheik tanto per fare l'italiana media e due giorni al Cairo per salvare la faccia della cultura. Con i miei genitori...

E questo vuol dire, all'estero, rinunciare alle velleità gastronomiche e accontentarmi dei buffet degli alberghi che, secondo la loro teoria, consentono di non rimanere digiuni.

A parte che per me il rischio di rimanere digiuna non esiste... Ma poi io detesto i buffet dei ristoranti (salvo rare eccezioni)!!!

Comunque, per prima cosa urge commentare la foto qui sopra: dicesi avanzo di tentativo di cannelloni e di lasagne di un buffet italiano del nostro albergo (il Sofitel, peraltro una catena francese). Quella cosa bianchiccia poi non ricordo cosa fosse. Ho rimosso. Ovviamente i suddetti cannelloni e lasagne non sono commentabili. Vi dico solo che si sentiva il sapore dell'immancabile cumino nel ripieno. Detto questo, devo sottolineare che ho subìto questa cena solo per quieto vivere.

La sera successiva, però, la situazione è migliorata, perché una passeggiata a Naama Bay (il centro commerciale di Sharm) per prenotare le escursioni ci ha portati a cenare in un buon ristorante egiziano consigliatoci da mia cugina: Abou El Seid.

Come potete vedere dalla foto: salsine con melanzane, yogurt, lenticchie, ceci... Poi i buoni involtini di vite, i felafel... Insomma, era tutto buono e saporito, neanche troppo speziato (e considerate che detesto il cumino!). Poi abbiamo preso un misto di carne, che comprendeva la kofta (polpettine di carne spiedinate e grigliate) e lo shish kebab, cioè sempre spiedini di carne grigliati. L'unica pecca, devo dire, era che il pane arabo non era cucinato espresso, come invece capitava perfino nella colazione del nostro albergo. Ovviamente una cena del genere, in un ristorante piuttosto elegante, costa abbastanza di meno di un buffet di un albergo 5 stelle e consente anche di prendersi lussi come vino e birra.

Dopo questa esperienza, però, non è stato possibile convincere i miei a continuare sulla linea egizianofila (nonostante un invitantissimo ristorante egiziano del nostro stesso albergo che si chiamava El Kebabgi da cui uscivano odori di griglia eccezionali), ma abbiamo continuato il tour dei buffet. Non vi dico lo sgomento dei miei genitori quando, dopo una difficile contrattazione con un tassista per arrivare allo Sheraton di Sharm (che sta abbastanza in mezzo al nulla) abbiamo scoperto che il tema del giorno del buffet era nientemeno che la cucina cinese! Inutile descrivere i tremendi tagliolini cinesi scotti...

Così nei miei ricordi gastronomici legati all'Egitto restano (in positivo) solo il buon pane arabo della colazione del mio albergo sia a Sharm che al Cairo. Poi, al Sofitel del Cairo, a colazione c'erano degli ottimi felafel. Così, alle 8 di mattina, prima di affrontare le piramidi, la mia colazione è stata un pezzo di pita scaldata nel toaster, un felafel e una cucchiaiata di salsa yogurt e menta (utilissimi i fermenti lattici dello yogurt in Egitto!).

Al Cairo, poi, abbiamo fatto i turisti sulla cena galleggiante della barca dell'Hotel Hyatt. Contrariamente alle mie aspettative erano pochi i turisti non arabi, però. Nel buffet c'erano perfino dei tentativi di sushi, commestibili, ma considerato che erano fatti col tonno delle scatolette... sono capace anche io! Da segnalare, però, una profusione di dolci arabi davvero ottimi, benchè dolcissimi, visto che l'ingrediente cardine è il miele.

In generale, panificazione e pasticceria sono i punti forti degli egiziani, anche nei tentativi esterofili. Pane e dolci dei buffet erano sempre buonissimi. Infatti, non oso fare analisi per le prossime due settimane: avrò la glicemia alle stelle!