Visualizzazione post con etichetta Ristoranti Campania. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Ristoranti Campania. Mostra tutti i post

sabato 29 dicembre 2012

Oasis sapori antichi a Vallesaccarda

La prima cosa che viene in mente in questo ristorante è la parola coraggio. Il coraggio di stare in mezzo alle montagne, dove d'inverno capita anche frequentemente che nevichi e che sia impossibile raggiungere il ristorante. Il coraggio di stare in una montagna sconosciuta, non certo sulle Alpi né in località turistiche, ma praticamente in mezzo al niente al confine fra Puglia e Campania, fra provincia di Foggia e provincia di Avellino (in cui si colloca per la precisione Vallesaccarda). Il coraggio di essere in Irpinia, sì, quella famigerata Irpinia che in Italia è conosciuta solo per il terremoto del 1980. E, diciamoci la verità, il coraggio di essere in un paese non esattamente bellissimo, dove l'attrattiva principale sono le pale eoliche che girano sfarfallando nel mezzo di una campagna rigogliosa. E' proprio questa campagna rigogliosa, forse, il vero motivo della "resistenza" della famiglia Fischetti in questi luoghi: dove potrebbero trovare, in Italia, le meraviglie che la terra dà loro per comporre i loro piatti? E' vero che in Italia si trovano piccole meraviglie gastronomiche ovunque, ma qui siamo nella Campania Felix, e non so se mi spiego!
Detto questo, parliamo del ristorante. Troppo grande per essere un intimo ristorantino di campagna/montagna, troppo piccolo per essere una sala ricevimenti. Diciamo che ha quella dimensione giusta per potersi quantomeno garantire un introito fisso annuale grazie ai festeggiamenti di gruppi numerosi ma non troppo: battesimi, comunioni, cresime, anniversari, compleanni. E nello stesso tempo intimo nella distanza fra un tavolo e l'altro, tanto che la concomitanza con una di questi festeggiamenti difficilmente urta i commensali degli altri tavoli.
Il servizio, poi, è raramente attento e accurato. Dico raramente perché in questa parte di mondo, difficilmente si trovano ristoranti eleganti (peraltro a prezzi più che ragionevoli). Pani fatti in casa, piccoli sfizi di forneria che vengono serviti per ingannare l'attesa (una specie di grissini, ma più che altro delle striscioline di pasta), petit fours e dolcetti secchi di Natale per concludere.
Nel mezzo, un pranzo che per noi è stata un susseguirsi di emozioni gastronomiche, con porzioni che sfioravano il pediatrico, ma ampiamente giustificate dal numero di piatti che si sono susseguiti sul tavolo. Una notazione simpatica sul menù: ogni piatto è corredato di anno di creazione e messa in carta, tanto per far capire quanto siano cavalli di battaglia della cucina.
Si comincia con il loro antipasto della casa, una specie di antipasto all'italiana: qui la scarsa fantasia del piatto era ampiamente compensata dalla ricercatezza dei suoi ingredienti. Un prosciutto locale, un guanciale, una ricottina da ricordare probabilmente come la migliore mangiata nella vita, una fettina di arrosto di maiale in insalatina. Per proseguire una zuppa di castagne, fagioli e fave di cacao, dove queste ultime scrocchiavano gioiosamente fra i denti anticipando l'esplosione del loro sapore dolceamaro. Quindi i ravioli (due di numero, ma grandicelli) di burrata ed erbette, con manteca campana e tartufo nero irpino: il tartufo non era molto sapido, eppure non ne abbiamo sentito affatto la mancanza, grazie alla rotondità dell'abbinamento burrata (dentro) e manteca (fuori) che è una specie di burro salato. Come secondo piatto l'agnello alla vecchia maniera, purè affumicato al legno di faggio e riduzione di Taurasi. In questo caso devo denunciare la scarsezza della porzione, ma per un motivo ben preciso: era troppo buono! Da mangiarne a quintali! I bocconcini di agnello erano compatti al taglio, quanto morbidi e delicati alla masticazione: come si dice dalle mie parti "un burro". L'affumicatura del purè mi ha ricordato un po' la melanzana cotta alla brace turca, dove appunto l'affumicatura sovrasta il sapore dell'ortaggio. Nel caso della melanzana poi viene il retrogusto amaro. Nel caso della patata affumicata, rimane solo la morbidezza e il gusto flambè.
Per concludere i dolci, che come dicevo erano accompagnati dai petit fours e dai dolci di Natale. Questi ultimi molto piacevoli nella loro semplicità arabo-contadina. Siamo in una parte d'Italia, infatti, dove i dolci di Natale sono secchi, a volte fritti, quindi ricoperti di zucchero, di miele e di vincotto. E capita facilmente di rivederli sui banchetti dei mercati del Nordafrica. In questo caso i dolci sono stati portati diversi per ogni commensale, quasi a voler fare assaggiare la maestria della cucina in pasticceria. Abbiamo apprezzato la scelta e gradito più di tutti il wafer con cremoso al mascarpone, vincotto e caffè. Per accompagnarlo ci è stato proposto un muffato cileno, molto ma molto particolare, mentre durante il pasto ci eravamo fatti accompagnare da un Lacrima Christi della cantina Mastroberardino.

domenica 2 settembre 2012

Vico Rua a Eboli

Neanche a farlo apposta, sono a Battipaglia e in tv danno la versione cinematografica del libro di Carlo Levi "Cristo si è fermato a Eboli". Il libro è una palla, non oso pensare il film. Fatto sta, che io come la maggior parte degli italiani non campani, questa città l'avevo sentita solo per via di quel titolo. Fin quando non ho conosciuto un certo battipagliese, che a Eboli ci ha fatto la scuola e che ha cominciato a portarmi in lungo e in largo per l'hinterland salernitano. Ovviamente, le soste gastronomiche non mancano mai. E questa volta è appunto a Eboli che ci siamo recati per una piacevole cena al Vico Rua, un delizioso ristorantino con giardino in mezzo al centro storico.
Una pizzeria con cucina, che ogni giorno prepara un "antipasto completo" secondo la fantasia dello chef. Oltre a questo ci sono una serie di piatti tipici, come il ciauliello, che meritano da soli il viaggio. E anche la pizza non è male. Ma andiamo con ordine. Come dicevo abbiamo ordinato l'antipasto completo e ci sono arrivati in ordine:
- un piatto di affettati e formaggi, buoni, anche se potevamo anche risparmiarceli;
- un soufflè tutto bello formaggioso che è arrivato a temperatura di fusione, ma una volta freddato era davvero gradevole;
- un misto di carne e verdure in cui campeggiavano delle polpettine al centro, seguite da un magnifico gateau di patate e delle piacevolissime verdure a "ciambotta", come si usa da queste parti.
Oltre all'antipasto, per non farci mancare nulla, come dicevo avevamo ordinato il ciauliello: una specie di sugo da mangiare con il pane, fatto con i pomodori secchi ammollati e il concentrato di pomodoro, un po' di peperoncino, cipolla... insomma tutto ciò che può contribuire alla nuance poco lontana dal fucsia. Inoltre, abbiamo chiesto i tipicissimi gnummarielli, una versione locale dei torcinelli, stufati con tanta cipolla, ma devo ammettere che non mi hanno fatto impazzire. Se non altro perché non riesco a mangiare il torcinello cotto diversamente dall'arrosto, in forno o sulla brace.
Quindi la pizza, anch'essa particolare. "Peculiar", direbbero gli inglesi. Tanto più che i nomi non sono quelli soliti: niente margherite e 4 stagioni, ma i veri soprannomi dei personaggi del borgo antico. Cornicione molto alto e condimenti ben racchiusi al centro. La nostra era particolarmente simpatica, benché un po' salata: abbondantissimo pomodoro, mozzarella di bufala, melanzane a funghetti, cipolla stufata e formaggio grattugiato a chiudere (quest'ultimo potevamo risparmiarcelo).
Per chiudere in bellezza, non potevamo farci mancare il dolce e devo dire che, piacevolmente, abbiamo trovato degli ottimi cannoli, farciti giusto un attimo prima di andare in tavole. Crema molto solida (sospetto fosse ricotta di bufala) e cialda gradevolemente speziata con tanta cannella. Io ho solo assaggiato, comunque ho apprezzato la scelta fra vari liquori home made, fra cui quello profumatissimo alla mela annurca e quello alla liquirizia. Ah, dimenticavo: la cena è stata innaffiata con quello che sarebbe il vino della casa, ma non era niente male, perché era un frizzantino e dolce Gragnano, imbottigliato e con etichetta del locale. Si apprezza anche questo.

martedì 15 maggio 2012

Tenuta Vannulo a Paestum

Weekend in salsa campana, o meglio, a base di latte di bufala... Sono stata in quel di Battipaglia, luogo natìo del mio fidanzato, e non mi sono fatta mancare un paio di soste gourmet! La prima era per una fantastica colazione da campioni, presso la mitica Tenuta Vannulo. Dalla Costiera Amalfitana a quella Cilentana, Vannulo è una specie di leggenda locale che parla di bufale e mozzarella.
Qui si viene per acquistare non solo le mozzarelle, ma anche i formaggi e il voluttuosissimo burro (ah, cos'è il burro di bufala su un crostino di pane con un'alice di Cetara!): ma è meglio prenotare perché bastano un paio di pullman, che nel weekend non mancano mai, per finire tutte le scorte.
Ma soprattutto si viene per fermarsi al bar, dove tutto ciò che prevede il latte è a base di latte di bufala, of course! Cappuccino incluso! A parte questo, assolutamente da assaggiare le brioche, accompagnate dal leggerissimo yogurt di bufala, oppure dal gelato e dalla panna. Personalmente, ho assaggiato la brioche con gelato di pistacchio e panna. Sul tavolo c'era anche lo yogurt bianco con la marmellata di arance fatta in casa. E sul bancone invitava la cheesecake, ovviamente anche questa a base di bufala...
Detto questo, dopo essersi ingollati la brioche è d'uopo una passeggiata nella tenuta. Da un lato, per chi vuol fare una sosta shopping si possono acquistare perfino prodotti di pelletteria (sempre di bufala!).
Dall'altro lato, imperdibile, ci sono le stalle dove, soprattutto, si possono conoscere le bufale!!! Che sono bellissime... Dolci, con gli occhietti neri neri sempre un po' lacrimosi e il ciuffo frisè...
C'è da dire che la visita intorno alla stalla non lascia affatto l'amaro in bocca. Pur essendo destinate a una vita in cattività, le bufale sembrano stare benissimo nelle loro stalle. Hanno tanto spazio e tanto fieno da mangiare. Passano la giornata ruminandosi, dormendo e strofinandosi qui e lì e sono così educate che sanno anche dove andare a farsi mungere quando le mammelle sono piene! La fattoria è infatti completamente meccanizzata e autogestita dalle bufale stesse: sono loro a decidere non solo quando "conferire" il loro latte, ma anche quando lavarsi sotto le gettonatissime spazzole. Somigliano a quelle degli autolavaggi e le bufale se le contendono per una rilassante doccetta con massaggio!!!
P.s. Per chi volesse fare una passeggiata virtuale ecco il link del sito di Vannulo:
http://www.vannulo.it/

domenica 18 dicembre 2011

Al Convento di Cetara


Tre gamberi sono tre gamberi. È quello che abbiamo pensato a fine pasto al Convento di Cetara. Un posto davvero interessante sia dal punto di vista estetico – siamo davvero in un convento – che da quello gastronomico. Un percorso attraverso i sapori della tradizione, pur con qualche innovazione e idea intelligente, che non delude. Per avere una panoramica completa abbiamo scelto di assaggiare il menù degustazione e farci prendere per mano e portare lungo questa strada alla scoperta dei sapori di Costiera. E per non farci mancare nulla, abbiamo chiesto di assaggiare entrambe le varianti (ci sono un paio di opzioni sia per i primi che per i secondi), in modo da poter fare il nostro tradizionale “sharing” delle portate e assaggiare davvero tutto.
Eccoci quindi ai piatti: si comincia con un antipasto misto che altro non è che un elogio dell’alice di Cetara (con qualche piccola deviazione sempre marinara). Marinata, of course, ma anche sott’olio con il pomodoro secco dolcissimo, panata e fritta con una fettina di provola affumicata al centro (l’abbiamo ribattezzato “sofficino di alici” e l’abbiamo trovato geniale!), in polpetta con uvetta e pinoli sempre fritta (la mia preferita), in scapece (già fritta, ma poi ripassata in aceto e conservata). Già qui eravamo in solluchero!
L’apoteosi è arrivata però con i primi, che per quanto erano semplici e buoni ci hanno decisamente conquistati. Sembrerà banale, ma si poteva non assaggiare lo spaghetto con la colatura di alici a Cetara? La tragedia è che, pur avendo acquistato la colatura, dubitiamo che ci possa venire altrettanto buono se ce lo cuciniamo da soli! Molto meno scontata l’altra proposta di primo: ziti spezzati con genovese di tonno. A quanto pare questo è un vero cavallo di battaglia del Convento e devo dire che il perché ci è sembrato più che comprensibile. Avete presente quelle genovesi della nonna dolcissime (mia nonna, napoletana di origine, ne era un’artista), con la cipolla pressoché spappolata che è diventata quasi una crema? Ecco, era una cosa del genere, ma con questo “quid” in più che era l’aggiunta di tocchetti di tonno.
Quindi i secondi. Da qui una lieve discesa, non perché non ci siano piaciuti (anzi), ma perché ci è sembrato che la genialità si fosse esaurita nei piatti precedenti. Fra i secondi, infatti, abbiamo assaggiato una buona frittura di paranza, molto ben rappresentata, e una “bistecchina” di tonno al sangue ma non troppo. Entrambi piatti senza difetti, a parte il fatto che fossero già molto visti e ci sembrassero meno caratteristici dei precedenti.
I dolci non sono della casa, ma sono scelti con cura dal patron. Un tempo se ne occupava Sal De Riso, ma poiché è diventata una mezza industria, oramai i locali diffidano di lui. Per questo adesso il posto è stato lasciato a “Umberto Dessert”, che ci ha proposto un babà bagnato come piace a me (molto umido, ma con una bagna dolce e poco alcolica) e una fettina di una torta che sembrava un tiramisù rielaborato. Questo secondo dolce era un po’ Derisiano, a metà fra semifreddo e torta tradizionale, eppure mi è sembrato più “puro” di quelli che attualmente propone De Riso. Quindi complimenti al Convento anche per l’ottima scelta del fornitore.
Ps. Notizia in anteprima: sembra che la Cuopperia del Convento aprirà il prossimo anno a Roma. Ci hanno detto che mancano solo le firme… E sarà presente – da aprile – nella sede romana di Eataly!!!

Pps. se volete visitare il sito di questo locale cliccate sul seguente link:

venerdì 16 dicembre 2011

Sal De Riso a Minori


Benvenuti a Lakawanna, alla fabbrica dei dolci di Buddy, il boss delle torte… Ah, no, siamo a Tramonti e quella è la fabbrica di Sal De Riso! Eccoci nel nostro weekend in Costiera Amalfita a passare, per caso, anche davanti alla sede principale da cui partono tutte le Delizie al Limone di De Riso. Per qualcuno potrebbe essere una specie di paradiso. Noi non ci siamo entrati, ma dall’esterno le dimensioni da fabbrica e i mega-camion (che probabilmente caricavano i panettoni da 26 euri l’uno da mandare in tutta Italia) non promettevano nulla di buono.
Ovviamente non ci siamo limitati all’occhiata esterna, ma abbiamo anche dato un assaggio ai dolci nella sua sede storica di Minori, giusto di fronte alla spiaggetta.
Devo dire che le impressioni sono alterne: da un lato i dolci della tradizione, che non sono affatto da disdegnare; dall’altro le innovazioni, che secondo me sanno tutte un po’ uguali… Il motivo è presto detto: sono dolci pre-preparati. Per far fronte agli attuali volumi, De Riso si è inventato una serie di preparazioni a metà fra torte e semifreddi. Anche le stesse delizie al limone tanto rinomate sono un po’ così.
È questo che ci lascia un po’ perplessi di De Riso. È un grande pasticcere, quando lo vedi amalgamare creme in tv ti accorgi di come abbia quel tocco particolare. Ma ha probabilmente perso il suo smalto a vantaggio del business.
E a proposito di business, nel negozio di Minori c’è l’intero catalogo dei panettoni “artigianali” da 26 euro cad., le confetture, marmellate, cioccolate, limoncelli, creme e cremine… E poi la novità sul salato. Io ero andata lì tutta speranzosa con l’intenzione di assaggiare un fetta di focaccia o una sfoglia fresca. Macché: i salati sono solo surgelati e all’occorrenza ne viene passata in forno una fetta. Oppure la comprate da internet, dove si trovano focacce, torte di patate, quiche e chi più ne ha più ne metta!

Ps. per visitare il suddetto sito e vedere con i vostri occhi il suddetto catalogo cliccate sul link di seguito:

domenica 11 dicembre 2011

Osteria Reale a Tramonti

Fidandoci di una guida siamo arrivati sul cucuzzolo della montagna a Tramonti. Venivamo dalla Costiera, dove tutto è difficile e costoso: mangiare, parcheggiare, respirare... Ed eccoci all'Osteria Reale, dove abbiamo trovato pane per i nostri denti e un'occasione di relax e buon mangiare a prezzi concorrenziali! Una cucina prevalentemente di "montagna", che rispetta bene le tradizioni della sua terra, molto lontana da astici e champagne da Costiera.
Si comincia con l'antipasto della casa, con qualche frittatina, il fagottino di pasta sfoglia e naturalmente salumi e formaggi della zona. In accompagnamento, abbiamo preso anche la parmigiana di melanzane e alici: una cosa davvero fenomenale!
Spettacolo anche nel primo piatto, che ci ha colpito per la sua delicatezza, nonostante gli ingredienti affatto leggeri. Si trattava di gnocchetti (più simili ai maccheroncini al ferretto) con guanciale e castagne. Il tutto creava una cremina saporitissima davvero da bis!
E ancora un secondo: filetto maiale con pomodori secchi e contorno di patatine a sfoglia al forno. Anche questo meritava davvero, sia per la consistenza del maiale morbidissimo, che per i pomodori secchi ma dolcissimi e per niente salati.
Per concludere, un assaggio di crostata con le castagne, ma in questo caso non si può dire che fosse delicata, quanto piuttosto un po' pesantuccia...

Ps. se volete dare un'occhiata al posticino, questo è il loro sito:
http://www.osteriareale.it/

lunedì 26 aprile 2010


Si direbbe il classico paese in mezzo al niente. In realtà, anche se questo è l'aspetto, Penta di Fisciano tutto è fuorché in mezzo al niente: a due passi ci sono uno svincolo autostradale a pochi chilometri da Salerno, un'università (Fisciano) e un'Ikea nuova di zecca.

Ma non ci sono solo Billy e Malm nella vita e certo c'è sempre qualcosa di meglio delle polpette spaziali dell'Ikea. Basta rimettersi in macchina e arrivare alle Cinque Porte, locale raffinato e dalla simpatica impostazione, frutto della grande esperienza dello chef. Dopo vari passaggi per hotel di lusso e cucine stellate, Ferdinando ha pensato bene di tornare alla sua terra e mettersi in proprio.

Il locale è moderno e spazioso, con soffitti altissimi e maioliche d'autore alle pareti. Tavoli comodi e ben distanziati, peccato solo per la scarsa affluenza, purtroppo anche di sabato. Bene per noi che siamo stati coccolati da una buona cucina e da un servizio attento.

Per cominciare abbiamo preso un tris di antipasti che comprendeva un carpaccio di bufala delicatissimo, servito con una cremina di ricotta; una cupola di pane e scarola ricoperta di pancetta e servita con fagioli; una strepitosa mozzarella croccante ricoperta di fili di pasta fillo e fritta.

Passando ai primi - eravamo in quattro - abbiamo preso un piatto di fusilli al ferretto fatti a mano con un ragù di cotechino che purtroppo era troppo sapido; poi un piatto di cacio e pepe (molto rivisitato) con fave fresche; infine il pezzo forte (nella foto), paccheri ripieni di alici e provola, impanati e fritti su sughetto di pomodorino fresco e finocchietto.

Già provati dalle precedenti portate, abbiamo preso solo due secondi in 4: una tagliata molto delicata e ben cotta e un ottimo piatto di capocollo di maiale nero (carne morbidissima) servito su patate novelle al pecorino.

Come dolce, tanto per assaggiare, un pasticciotto amalfitano su crema al limone e amarene, davvero delicato.

Complessivamente, anche se il tiro va aggiustato su certi piatti, quello che ne viene fuori è un bilancio davvero positivo. L'idea di rielaborare in chiave moderna i prodotti della tradizione locale è per me vincente, i prezzi sono più che onesti (ne siamo usciti con 28 euro a testa, vino incluso), la mano è buona e le presentazioni curate.

Il menù cambia a seconda delle stagioni - infatti sul sito abbiamo visto altre proposte perché si trattava della carta invernale - e anche sulla carta dei vini si vede un buon lavoro, specialmente sul territorio.