sabato 20 febbraio 2010

Rivadestra, napoletani a Trastevere


Alla ricerca di nuove esperienze, seguiamo i consigli della Guida del Gambero Rosso Roma e prenotiamo in un locale di Trastevere, dalle parti del Regina Coeli.

Il locale si chiama Rivadestra, proprio perché sta sulla riva destra del Tevere. Si presenta piccolo (avrà una trentina di coperti) e moderno, arredato con gusto e arricchito da esposizioni temporanee di artisti: ieri abbiamo trovato quadri di due pittrici, una dipingeva fiori, l'altra ritratti di aborigeni.

Pensavamo di spendere molto di più, ma poi una sorpresa ci ha colti favorevolmente. I proprietari, che non a caso sono napoletani, si sono inventati una specie di menù low cost dal nome che sa di supermercato: 4x5. Come le tabelline insegnano, fa 20. Euro. E se si guarda il menù "pay", molte delle pietanze corrispondono perfettamente. Fanno eccezione solo qualche primo in più in carta e i secondi.

Insomma, con la gioia di chi ha trovato a terra 20 euro (un menù a la carte sta sui 40), ordiniamo dalla carta low cost.

Gattò di patate: una meraviglia di napoletani sentori, con la patata perfettamente accompagnata dal salame a cubetti e da un cuore filante di provola affumicata.

Parmigiana di orata e melanzane: questo era buono e soprattutto delicato, però ci si poteva aspettare di più, anche perché la povera orata era un po' coperta come sapore.

Spaghetti con le cozze: qui è nata la diatriba fra me che li consideravo troppo al dente e Giampiero che diceva che andassero bene. Comunque erano saporiti, le cozze c'erano davvero e la punta piccantina era tollerabile anche da me che odio il forte.

Crespelle con i funghi champignon: queste superavano ogni aspettativa, con un cuore di ricotta e funghi davvero delicato. Niente besciamella o panna, ma solo un condimento di salsa di pomodoro. Anche qui una punta piccantina, ma non invadente.

Filetto di spigola alla piastra: buono e ben spinato.

Arista di maiale ripiena di ricotta e verdurine: mi sto ancora chiedendo come era fatto. Era davvero buono, con la cremina di ricotta che usciva fuori come quando si addenta una bomba ripiena.

Mollò (tortino per i profani come me) al cioccolato bianco e banana: a me il cioccolato bianco proprio non piace, ma Giampiero che l'apprezza ne sta ancora parlando.

Tortino al cioccolato: mi aspettavo quelli delle buste che servono la metà dei ristoranti di Roma, ma l'impressione che ho avuto era invece di un prodotto artigianale molto buono.


Insomma, un bilancio nettamente positivo, specialmente alla luce di una spesa più che ragionevole (a cui si sono aggiunti 16 euro per un vino - l'Antinoo di Casale del Giglio - 3 per l'acqua e 1 per il pane): totale 60 euro.


Il proprietario ci raccontava che fanno anche serate con spettacoli e che con questo prezzo di menù sono molti che fanno le feste di compleanno. In effetti, non è una cattiva idea...

venerdì 19 febbraio 2010

Il paradiso del finger food, catering a Foligno e Roma

Quando vai a una conferenza e, contro ogni previsione, la giornata si conclude con un ricco buffet. La conferenza era alle 10 e, quando ho appreso che ci fosse un pranzo, ho pensato fra me e me "pilucco qualcosa e scappo via". Chi me lo doveva dire, invece, che mi sarei trovata davanti a uno dei catering più buoni (e belli) della mia carriera. IL PARADISO DEL FINGER FOOD.

E dire che finger food vuol dire cibo in piccolissime porzioni. Diciamo un boccone alla volta... ma se poi i bocconi sono a decine... se ne esce pieni come dopo un pranzo di nozze...

Premesso che l'ambiente in cui si è svolto questo buffet era una delle sale della neonata Pelanda, ex spazio del mattatoio di Testaccio (la pelanda dei suini, dove i maialetti venivano appunto spelati), rinato a nuova vita grazie a un intelligentissimo recupero. Parquet di legno di pino a terra e soffitti e pareti in vetro, senza però dimenticare gli elementi originali del mattatoio: ganci, vasconi di marmo, percorsi ferrati per gli animali.

Quindi il catering, offerto dalla A&A banqueting della famiglia Muzzi, pasticceri in Foligno da oltre 200 anni, allargatosi alla capitale con le sue proposte di banqueting. L'esperienza in pasticceria ha portato a una cura quasi maniacale dell'estetica del cibo, che però si concretizza in eccezionali esempi soprattutto sui salati.

Che dire di un mini creme caramel che ho addentato convinta che fosse un dolce e invece era un salato? Come descrivere un flute con una salsa verde che sembrava fosse un gelato di pistacchio, invece era una crema di avocado che accompagnava delle alici salate? Che fare davanti a un bicchierino che sembra un mini-cappuccino ed è una crema di porcini?

Inganni visivi e soddisfazione del palato. Non c'era una cosa che non fosse buona. Da segnalare per il sapore la zuppetta di baccalà e patate servita in piccoli contenitori ermetici cotti a bagnomaria: erano bollenti, ma scottarsi era una delizia! Una piccola meraviglia estetica dei bottoncini di mortadella alti mezzo centimetro sormontati da una semisfera verde che altro non era che una spuma al pistacchio che si scioglieva in bocca.

Anche i dolci erano tutti delicatissimi. In questo caso, però, la fantasia era meno spiccata, dal momento che si trattava di bicchierini di diverse forme. Ottima la panna cotta ai frutti di bosco.

Da segnalare anche il servizio ineccepibile. Mi è capitato più di una volta di assistere all'esaurimento delle posate o dei tovaglioli. Non in questo caso: qualsiasi cosa finisse, dal cibo alle suppellettili, veniva immediatamente rimpiazzato. Di contro, sui tavoli i vuoti giacevano al più per qualche secondo, perché i camerieri sgomberavano immediatamente i tavoli.

Tranne qualche tartina da prendere con le mani, la maggior parte delle pietanze era servita in monoporzioni (bicchieri, cucchiai o altri tipi di contenitori) ed era tutto di vetro/coccio: no plastica!

Come si può capire, mi sono letteralmente innamorata di questa ditta di catering, che spero di incontrare nuovamente sul mio cammino. Consiglio anche una passeggiata sul sito, per vedere anche gli allestimenti, anzi l'arredo, di situazioni di catering più complesse (come i matrimoni). L'intelligenza di questa ditta, infatti, ha portato ad un'alleanza con un architetto (la Archifood) che realizza dei magnifici allestimenti.

giovedì 18 febbraio 2010

La fatica di voler essere una giornalista gastronomica

Nella mia faticosa scalata per entrare nell'Olimpo dei giornalisti gastronomici, mi sono imbattuta in una simpatica collega napoletana che, già arrivata molto più in alto di me, si occupa della Città del Gusto di Napoli. La sua agenzia di comunicazione mi ha quindi invitato a un evento a sfondo campano organizzato alla Città del Gusto di Roma.
Ormai ho collezionato diversi inviti in questo tempio del buon mangiare, ma devo dire che questa volta si sono davvero superati. L'evento si chiamava Campania Terra Felix: e come dimostrare quanto è felice questa terra, se non facendo mangiare i prodotti del territorio?
Il sillogismo è presto fatto e i tavoli sono stati imbanditi a volontà di tutto il ben di Dio che campani e non possono ben immaginare. Già il buffet dell'aperitivo era più che sufficiente per dichiararsi sconfitti e abbandonare le armi (cioè le forchette).

- mozzarelle di bufala (bocconcini, bocconcini affumicati, treccia affumicata);
- caciocavallo podolico;
- salumi confezionati con il pregiato maiale nero;
- ricottine di bufala;
- babà rustici;
- scagliozzi (ma non erano foggiani?);
- panzerottini ripieni;
- un bicchierino di crema di ricotta che era una delizia;
- scarola che non era scarola, ma ho dimenticato che altro tipo di verdura fosse;
- una cremina di fagioli...
(e questo è solo quello che ricordo)

Insomma, già qui eravamo più che soddisfatti. Poi però è venuta anche la cena, che è stata una piacevole occasione per conoscere dei colleghi molto più gastronomi di me con cui è sempre interessante confrontarsi.

"Al piatto" è stato servito uno sformatino di paccheri con il finto ragù, che si presentava molto carino, ma peccato fosse leggermente sciapo. Poi un gradevolissimo sformatino di friarielli, che in Campania non possono mai mancare...


Poi i dolci. Il vero protagonista era il babà, a cui è stata dedicata perfino una lectio magistralis, che ci ha raccontato come questo dolce venga dalla Lorena, sia passato per la Francia e solo alla fine sia approdato a Napoli. E i napoletani, si sa, il marketing ce l'hanno nel sangue, quindi hanno fatto proprio questo dolce.
Al tavolo è arrivato un mezzo babà che era una delizia. Sofficissimo e bagnato ma non affogato.
E non è finita qui. Sul menù erano annunciati dei Petit fours, ma è arrivato un piatto bello abbondante (roba da farsi la mappatella, cioè la sportina) pieno di meraviglie della pasticceria napoletana e non.

Tanti tipi diversi di delicatessen, e ovviamente le sfogliatelle, che mi hanno ricordato il meraviglioso weekend che l'anno scorso ho trascorso a Napoli. Una Napoli appena uscita dalla bufera della monnezza, tirata a lucido e splendente in un ottobre soleggiato. Grazie (purtroppo per loro, ma noi ne abbiamo approfittato) alla cattiva pubblicità, i prezzi degli alberghi erano al minimo storico e ne approfittammo per concederci un weekend a 5 stelle al Parkers. Ebbene, quelle sfogliatelle mi hanno ricordato le gioie di quelle colazioni sulla terrazza del Parkers con una vista incredibile di Napoli ai miei piedi.

sabato 13 febbraio 2010

Hang Zhou, ovvero la certezza di mangiare a qualsiasi ora


I cinesi sono stakanovisti e si sa. Ma Hang Zhou li batte tutti, anche perché, oltre ad essere poche le ore di chiusura, sono anche pochissime le ore in cui non si trova fila alla porta, specialmente la sera.

Il meccanismo è sempre molto semplice: aspettare. Non è possibile prenotare (a meno che non si voglia ordinare una bella anatra laccata alla pechinese due giorni prima), quindi bisogna arrivare e lasciare il nome. Il resto è attesa, con tutte le temperature.

Se si vuole evitare la fila bisogna andare a pranzo, oppure molto presto (ma non ho mai provato e suppongo che il molto presto la sera sia prima delle 8), oppure molto tardi.

Questa ultima opzione è quella che abbiamo scelto, involontariamente, ieri sera. Usciti dal teatro, era già mezzanotte e abbiamo pensato che solo una persona a Roma ci avrebbe fatto mangiare: SONIA.

Eh, sì, perché se il ristorante Hang Zhou prende il nome dall'omonima località cinese, tutta la città lo conosce meglio come "da Sonia". Ovviamente lei si chiama con un nome cinese, ma da brava pierre qual è ha capito che era meglio evitare la tipica ritrosia cinese e dotarsi di un nome italiano che tutti avrebbero ricordato. Così lei ha fidelizzato frotte di clienti che arrivano e la chiamano amichevolmente per nome e lei, nei limiti che la sua cultura impone, dà confidenza a tutti.

Una volta seduti, magari sotto l'occhio benevolo di Mao, si ordina nell'infinito menu, in cui sono molte le pietanze che poi vengono servite con un bellissime sculture ornamentali fatte con carote o rape bianche (ho rubato una foto a una collega blogger per dare un esempio).

Noi abbiamo sempre amato gli involtini primavera di Hang Zhou, che nella loro imperfezione ci sono sempre sembrati "rollati" a mano. Ovviamente sono fritti e oleosi, ma buoni.

A volte prendiamo i ravioli, ma in questo caso non abbiamo mai capito se siano fatti in casa o meno.

Ieri abbiamo assaggiato una zuppa con gamberetti essiccati, alghe e uova. Non era terribile, ma abbastanza inquietante perché tutti quei gamberetti sembravano guardarti con i loro piccoli occhietti.

Poi le fettuccine alla piastra e l'anatra alle cipolle. Ieri, devo dire la verità, erano un po' sotto le aspettative, ma tutto sommato buoni.

Per le precedenti esperienze, posso inoltre consigliare gli spaghetti fritti croccanti: una specie di nido di spaghetti di riso fritti con un condimento di verdure e gamberi. Oppure c'è la versione con le fettuccine, pure molto buona. Specialità di Sonia (o meglio del cuoco, il maestro Liu) è invece il riso Imperiale, quello nero, condito o con gamberetti o alla cantonese. L'anatra a noi piace in tutte le salse: quella agrodolce di più.

Come dolce, a noi sono piaciuti molto i baci cinesi: una specie di pallette di pane cotto a vapore e ripieno di una pappetta gialla e dolce (credo siano fagioli). Peccato che costino 5 euro al piatto e abbiamo scoperto che si possono acquistare confezioni da 15 in tutti i negozietti cinesi di piazza Vittorio a poco più di due euro.

mercoledì 10 febbraio 2010

Ricordi adolescenziali

Un forte odore di fritto che si diffonde dai bocchettoni degli areatori appena sopra all'entrata. E' così che il London Pub di Foggia ti accoglie. Così mi sono tornati in mente i sabati sera della mia adolescenza foggiana. Tutti uguali, poche variazioni sul tema: gli amici della 3a C (Fabio, Alessandro, Valerio, Emiliano...) e un pub per passare la serata. Birra&paninozzo per la cena. Il London è sempre stato il mio preferito, per il suo inossidabile aspetto da pub irlandese e per l'abbondante scelta di junk food, dai fritti ai panini superconditi. Niente è cambiato. L'aspetto è solo un po' più antico, il menù è sempre pieno di pietanze, fra frittoni e panini, piadine e bruschette... E poi naturalmente la birra... Guinness prima di tutto, tanto per non smentire le velleità irlandesi.

lunedì 8 febbraio 2010

L'Hostaria a Ordona, vicino Foggia

I miei genitori hanno scovato un piccolo gioiellino nella terra di nessuno che è Ordona. I tempi per raggiungerlo da Foggia, alla fine si riducono a poco più di una ventina di minuti... un viaggio che si può tranquillamente affrontare per mangiare bene a poco prezzo.

Si entra così in un piccolo locale (quarantina di posti) dall'aspetto molto curato e finto rustico. Muri tinteggiati di arancio, alcune vetrine antiche e tovagliato a scacchi bianchi e rossi, che danno quel tocco da trattoria, ma in realtà non riescono a rendere il locale una osteriaccia di periferia.

Non ci riescono anche perché il servizio è molto cortese e cordiale.

A pranzo, a detta dei miei, si mangia di più e la cura al "cucinato" è maggiore. A cena, invece, prende il sopravvento la pizza, che qui si prepara in un grosso pizzone tagliato a spicchi e messo in mezzo per tutti i commensali. Noi abbiamo comunque scelto di non assaggiare la pizza (la prossima volta) a vantaggio di una cena più consistente. L'aspetto delle pizzone che abbiamo visto girare era però molto interessante, alta e croccante.

Veniamo alla nostra cena. Ci siamo fatti portare il loro antipasto locale. Cambia tutte le volte e nella nostra esperienza ci è capitato:

- nodini e ricottina condita con scorzetta d'arancia: molto freschi;
- pancetta e coppa affettati: soprattutto la pancetta si scioglieva in bocca;
- fettine di panbrioche ripieno: molto delicato;
- involtini di melanzane: fritti e arrotolati, sapevano tipo parmigianina ed erano molto saporiti;
- frittatina con le patate: buona, ma era la cosa meno fantasiosa;
- fave e scarola: variazione sul tema di fave e cicoria, saporita e dalla consistenza delicata.

Credo ci fosse qualcos'altro, ma non ricordo. Comunque tutti i sapori erano buoni, i tempi fra una portata e l'altra ben calibrati e le idee non mancavano.

Per primo ci siamo fatti portare due assaggi:

- paccheri salsiccia e funghi (cardarelli): molto buoni, con i paccheri ben cotti e il condimento non appesantito da salsoni, ma lasciato in purezza;
- una specie di lasagna: in questo caso la salsa non mancava, era besciamella che si legava col sugo rosso. Da segnalare che si trattava di una crepe, quindi fatta in casa. Nel complesso il risultato era piuttosto pesantino, ma quando mai le lasagne sono state leggere?

Per secondo dalla griglia gli arrosticini e un arrosto misto. La carne era buona e cotta al punto giusto: rosata e non sanguinolenta nè carbonizzata. In accompagnamento le loro patatine fritte tagliate a mano a sfoglia: una svolta in questo panorama da patatina Fintus.

Ancora assaggi per i dolci:

- una torta bignè: buona ma un po' pesante;
- un rotolo con crema chantilly e amarene: delicato e saporito;
- una torta al cocco: consistenza da torta fatta in casa, la migliore!

Limoncello/nocino offerti dalla casa e conto piuttosto leggero, sui 28 euro a testa, ma compreso vino della casa.

mercoledì 3 febbraio 2010

Pizza con le cime di rape di mia invenzione

Dopo la lasagna broccoli&salsiccia, continuano le mie incursioni nel grande mondo delle crucifere, che in inverno sono di stagione e fanno bene. L'abbinamento con la salsiccia rimane, ma quello che cambia è l'involucro: pizza! Per questa creazione non mi sono affidata ad alcuna ricetta, ma sono andata di istinto, senza dimenticare la classica pizza salsiccia&friarielli.

Ho fatto la pasta da pizza un po' a occhio, ma ricordo le proporzioni.



Per la pasta da pizza:
300 g di farina 0
100 g di semola rimacinata di grano duro
1 panetto di lievito di birra
1 cucchiaio di zucchero
10 g di preparato per purè di patate liofilizzato
5 g di sale
un cucchiaio d'olio
acqua tiepida q.b. (circa 250 ml)


Per prima cosa ho preparato il lievitino: lievito sciolto in circa mezzo bicchiere di acqua tiepida, con un cucchiaio di zucchero e tre cucchiai di farina (o comunque finché non diventa una pappetta collosa). Lasciare lievitare coperto con pellicola per circa 20 minuti e nel frattempo preparare la ciotola con gli altri ingredienti (eccetto l'acqua).
Aggiungere quindi il lievitino e mettere l'acqua poco a poco finché non si arriva alla consistenza dell'impasto della pizza: compatto ed elastico.
Togliere dalla ciotola e impastare la massa su un piano per qualche minuto, in modo da attivare il glutine. A Bari dicono "trombare la massa", la definizione è ispirata al movimento della mano che si deve compiere. Infine rimettere nella ciotola e lasciare lievitare in un posto caldo (io d'inverno lo metto vicino al termosifone), non senza aver coperto con pellicola per bloccare l'aria. Il tempo dipende sempre dal caldo, umidità ecc. ecc., comunque un paio d'ore sono l'ideale.
Nel frattempo prepare le cime di rape. Il peso varia a seconda di quanto c'è da pulire. Più o meno mezzo kg è l'ideale. Ovviamente devono essere lavate e mondate per bene. Bisogna togliere i gambi dalle foglie tirandole dalla base, invece che strappandole. E le cimette devono essere separate e di piccole dimensioni. Si possono bollire, ma è meglio stufarle con un goccio l'olio, aglio e l'acqua grondante della pulizia (chi lo apprezza può mettere anche un bel peperoncino fresco). Attenzione che non si attacchi, nel caso aggiungere altra acqua a piccole dosi. Alla fine le cime di rape devono risultare appassite e non molli perché poi proseguiranno la cottura in forno. Lasciarle raffreddare.
Una volta pronta la pasta da pizza, oliare una teglia (meglio se a cerniera, ma se è ben oliata non è comunque difficile da sformare) e accendere il forno alla massima temperatura per farlo riscaldare.
Dividere in due l'impasto e stenderlo con il matterello infarinato. Lo spessore deve essere di poco meno di un centimetro e la pasta deve coprire tutta la tortiera. Quindi prendere le salsicce (io uso la Luganega perché la preferisco come sapore) e togliere il budello (basta praticare un'incisione da un lato e strizzare). Con circa 3 salsicce si riesce a fare uno strato sufficiente, comunque l'obiettivo è stendere uno strato spesso circa mezzo centimetro al centro della pasta da pizza. Mettere quindi le cime di rape, dopo aver tolto l'aglio e se c'è il peperoncino. Spolverare con un formaggio grattugiato: io ho messo il caciocavallo podolico. Infine coprire con un altro disco di pasta da pizza.
Controllare che ai lati sia ben aderente allo strato inferiore di pasta da pizza. Io ho provato a fare delle incisioni per lasciare uscire il vapore, ma tanto la pasta cresce e richiude i buchi e non sono necessari.
Coprire e aspettare che il forno abbia raggiunto la temperatura. Nel frattempo la pizza continuerà a lievitare ancora un po'. Quindi cuocere per almeno una mezz'ora (la salsiccia deve cuocersi per bene).
Il risultato è buono. Chi ama le cime di rape può fare uno strato più sottile di pizza, ma a me è piaciuta molto la consistenza da "panino" ai broccoli che è uscita.

martedì 2 febbraio 2010

Cucina siculo-romana da Roberto&Loretta

Roberto e Loretta, quelli di via Gabi. In via Gabi non ci stanno più, ma si sono trasferiti poco lontano, in via Saturnia, nei locali dell'ex Black out (così mi hanno detto degli amici di quartiere). La zona, quindi, è sempre quella dell'Appia, vicino a Piazza Tuscolo. Qui Roberto e Loretta, in sala, distribuiscono piatti di doppia nazionalità: romana e siciliana.

A dir la verità, quella che si fa apprezzare di più è la seconda, che si esprime con prelibatezze come il timballo di anelletti. Ma andiamo con ordine.

Eravamo in 4 e abbiamo preso, tanto per cominciare, due antipasti della casa. Diversi dal solito e apprezzabili, questi antipasti si componevano di un piatto in cui campeggiavano: una mozzarella di bufala condita con alici e tartufo; un'insalata di radicchio e polpo in aceto balsamico; una bruschetta di scarola condita alla siciliana con pinoli e uvetta. Erano tutti saporiti e simpatici.

Poi abbiamo preso i primi: un cacio&pepe non proprio da manuale ma mangiabile, l'ottimo e fedele timballo di anelletti alla siciliana e un piatto di quadrucci con fagioli e frutti di mare (che più che altro erano pezzi di seppiolina). Quest'ultimo è stato anche apprezzato, ma non l'ho assaggiato.

A questo punto eravamo quasi kaputt perché le porzioni sono abbondanti, ma non ci siamo arresi. Ancora un piatto di abbacchio (non male ma ho mangiato di meglio) e un eccellente coniglio disossato con tartufo. L'eccellenza costicchia un po': ben 20 euro la porzione, ma merita lo sforzo. Poi patate al forno veramente saporite e ben cotte.

Infine, un ultimo sforzo con i dolci. Una zuppa inglese e uno zabaione sottoforma di budino. Il primo non l'ho assaggiato, il secondo l'ho mangiato ed era molto buono, con una forte nota di Marsala, tanto per rimanere in Sicilia.

Insomma, la commistione siculo-romana tutto sommato dà soddisfazioni.

Un particolare: per i fumatori sarà apprezzata la presenza di sala apposita, che consente oltretutto di evitare di uscire a fumare sotto zero.

lunedì 1 febbraio 2010

Bratislava va bene... ma non per mangiare...

Per chiunque abbia mai potuto pensare che la Slovacchia possa essere meta di turismo gastronomico... toglietevelo dalla testa! Diciamo che cucinare non è arte loro, o forse siamo noi italiani troppo esigenti?

Fatto sta che in una 48 ore a Bratislava (due colazioni, qualche merenda e tre cene) poche sono le cose degne di nota positiva, ma la cronaca impone completezza...

La colazione non era male, ma bisogna anche tener presente che ci siamo concessi il lusso di un 5 stelle. Sulla tavola imbandita una serie di formaggi e salumi e, più buoni di tutti, i mitici affumicati. Soprattutto la trota affumicata è stata una grande scoperta. Anche il pane non era affatto male: il genere è un po' quello delle baguette o dei panini al latte, spesso poi sono conditi con cereali, semi di sesamo o di papavero. E anche se la tavola imbandita non sembrava molto abbondante, era perché c'era una carta da cui si potevano scegliere i cibi caldi, preparati al momento. Il primo giorno abbiamo assaggiato un "leggerissimo" piatto con fagioli dolci (piccoli, tipo gli zolfini toscani), salsicce e uova. Questo era buono, ma il secondo giorno non ce la potevamo fare a ripeterci! Abbiamo poi tentato di prendere caffè e cappuccino... ma soprattutto il primo era una brodaglia degna del peggior Nescafè... Ma se uno va fuori dall'Italia non può aspettarsi di meglio...

Il primo pomeriggio che eravamo lì abbiamo tentato l'esperienza cioccolata calda per riscaldarci (c'era la neve). La cioccolata, spacciata per fonduta, era alquanto liquida, comunque buona di sapore... e soprattutto era italiana! O meglio, Talianski, come dicono in Slovacchia!


Quindi le cene. Ci siamo fidati un po' di una guida che avevo, un po' dell'istinto. E soprattutto abbiamo evitato tutti quei locali che attiravano con la PIZZA! La prima sera abbiamo provato un tipico pub ceco, dall'aspetto abbastanza local e non lontano dall'albergo e dal centro storico: il Prazdroj. Le cameriere erano vestite con un abito tipico posticcio, ma almeno la frequentazione era tutta autoctona e questo ci ha rincuorati. Per prima cosa ci siamo fatti portare una birra: ci avevano proposto una litrata a testa, ma abbiamo optato per la mezza. Abbiamo quindi preso un tagliere di formaggi, che annoverava alcuni esempi di formaggio quasi indescrivibili. Comunque erano tutti buoni. Poi abbiamo scelto quasi a caso un piatto di carne per due. E qui cominciano le nostre vere esperienze culinarie slovacche. Ci arrivano tre tipi di carne (uno era petto di pollo, uno vitello, l'altro boh) dalla consistenza ottima, arrotolate in un pancake di patate moscio e il tutto era ricoperto di una salsa al formaggio liquida e opprimente. Il risultato non era terribile, si poteva mangiare, ma diciamo che non è un piatto di cui bramo di sapere la ricetta!

Serata n° 2. Sempre seguendo la guida scegliamo il Prasna Basta, un localino molto carino a due passi dalla Porta di San Michele. Ci dicono che abbiamo il tavolo solo per un'ora perché hanno delle prenotazioni, ma poi ci lasciano stare più tempo perché nel frattempo si erano liberati altri tavoli. Anche qui la prima cosa è la birra, poi scegliamo fra le specialità della casa. Come non assaggiare il tipico gnocco slovacco di cui parlava la guida? E perché non prendere un bel cinghialotto selvatico (probabilmente rumeno)? Nel secondo caso la scelta non è stata affatto sbagliata, il cinghialotto era morbidissimo e benché ricoperto dalla classica salsa ammazzasapori slovacca (del tutto simile alla salsa delle polpette dell'Ikea e abbinato a un'altrettanto simile marmellata ai ribes) e accompagnato dal solito pancake moscio, il piatto risultava davvero ottimo. Passiamo allo gnocco, che resterà sempre nella nostra memoria. L'aspetto era da pappone, la consistenza pure. Sembravano tipo gli spatzle, conditi con un salsone bianco a base di un formaggio pecorino e cubetti di bacon arrostito sopra. Avete presente quando si fa la pasta burro e formaggio perché non c'è nient'altro a casa? Più o meno... A parte questo avevamo anche preso la solita mia amatissima trota affumicata (buona), una zuppa liquidissima dal contenuto non meglio identificato e dal sapore indecifrabile e delle fantastiche patate arrosto... Almeno quelle le sanno fare.














Insomma, alla fine, gnocco a parte, il bilancio per questo locale era buono, così abbiamo pensato di tornarci anche l'ultimo giorno. Abbiamo quindi pescato altre due specialità della casa... E abbiamo scelto un piatto di maiale e uno di vitello. Il primo era un frittone quasi cinese, il secondo un altro pancake di patata moscia con dentro la sorpresona: la carne era come al solito morbida, ma affogata in un salsone non meglio identificato. Appesantiti come al solito e forti di una litrata di birra a testa abbiamo chiuso così con la cucina slovacca...