martedì 9 dicembre 2014

Marzapane dopo il restyling


C'ero stata un po' di settimane fa per un'intervista e avevo avuto modo di conoscere la giovanissima chef Alba Esteve Ruiz (classe 1989) e ammirarne la calma fermezza, che l'ha portata ad essere uno dei migliori emergenti della capitale già da qualche anno. Purtroppo l'intervista l'avevo fatta "a digiuno" delle sue creazioni perché varie volte avevo provato a prenotare ma senza successo. Questa volta ho provato con 48h di anticipo e puntando sulla domenica invece del sabato e ci sono riuscita.
Sul locale, velocemente, già avevo avuto modo di apprezzare il nuovo arredamento: via l'effetto bistrot parigino troppo abusato nei locali della capitale e sì a una ristrutturazione intelligente che ha recuperato spazio (sul soppalco la cantina, un guardaroba e uno spazio per i dipendenti) e ha aggiunto calore grazie al sapiente uso di legno e di giochi di luce.
Unico appunto la scelta stilistica di far mangiare sul nudo legno... Diciamo che io apprezzo sempre che ci siano le tovaglie, anche all'americana. In questo caso, trattandosi di tavoli rotondi, sarebbero belli dei runner magari?
Questo l'unico appunto, perché per quanto riguarda la cucina la cena è stata una conferma della buona opinione comune, ma anche una scoperta di un talento ancora più concreto di quanto pensassi. Piedi per terra e una sapiente mescolanza di piatti dall'anima italiana, ma cucinati da un cuore spagnolo, che si ritrova soprattutto nella scelta di alcune materie prime (l'agnello o il maialino iberici per esempio).

Noi per questo primo accostamento alla cucina di Alba abbiamo scelto di affidarci al menu degustazione Marzapane. Per cominciare come amuse bouche un gaspacho molto delicato e ben presentato. Cipolla e peperone facevano sentire bene la loro presenza ma non stufavano. Poi il vero antipasto: quaglie in escabeche (alla scapece diremmo noi) con un vellutata di patate e verdure. La presenza dell'aceto era molto delicata, la quaglia dalla cottura perfetta, in abbinamento anche un formaggio Machego per non smentire la provenienza della chef.
Quindi i due primi previsti: un risotto burro e alici del Cantabrico molto saporito, forse troppo, nel senso che la presenza dell'alice dava un picco di sapidità, che però veniva bilanciato dai cubetti di zenzero candito, con un risultato di equilibrio complessivo. I cannelloncini di cime di rape con maiale su salsa di legumi erano simpatici, ma forse il piatto meno da ricordare. La sfoglia leggermente grezza, la presenza di cime di rape secondo noi un po' troppo defilata, rispetto ai legumi.
Di secondo di norma ci doveva essere un maialino iberico, ma invece ci è stata proposta una sostituzione con un rollè di anatra. Invito a nozze per me che amo l'anatra, salvo poi rimanere delusa non dal piatto, anch'esso molto saporito, bensì dalla quantità: un solo rotolino nel piatto era un po' poco. Anche in questo caso la carne aveva un picco di sapidità bilanciato dalle confetture in abbinamento.
Il dolce, infine, raggiungeva l'apice della felicità del melting pot italo-spagnolo: Torrija con gelato al torrone de Jijona. In pratica sotto c'era questa specie di french-toast alla spagnola (così è descritto in inglese) fritto e servito caldo, a contrasto con il freddo del gelato. Una degna conclusione di un pasto davvero felice. Il tutto a 35 euro, prezzo del menù, più vino, acqua (3 a bottiglia) e pane (3 a piatto).

Spazio a Eataly Roma: provato per voi


"Li ha formati Niko Romito, saranno bravi!", con questo mantra nel cervello abbiamo scelto di dar credito alla nuova creatura di Niko Romito, che con la complicità di Farinetti ha deciso di aprire il suo Spazio nella cornice dell'ex ristorante Italia di Eataly Roma. Eravamo stati all'inaugurazione, ma la folla eccessiva ci aveva fatto apprezzare a stento la sala e capire nulla di ciò che si sarebbe mangiato. Quindi siamo andati con le migliori intenzioni ad assaggiare. La premessa è che il locale è carino ma non strepitoso (siamo pur sempre in un centro commerciale!), che si mangia su tovagliette di carta, ma con posateria e bicchieri di pregio, il che stride.
Poi il servizio, che sembra solerte e preparato e poi si perde sul "vi facciamo mangiare se no si freddano i piatti, poi verranno a spiegarveli" e mai nessuno è comparso fino al dolce ed alcuni piatti non li abbiamo capiti affatto.
Già dall'inizio, cioè dal benvenuto dello chef, qualcosa ci è parso non quadrare: bene la sarda fritta, ma quella cremina di lenticchie senza grassi, solo lenticchie frullate e neanche un giro d'olio buono a crudo proprio non c'è scesa giù. Perché quella contro i grassi è la crociata di Niko Romito, che cerca di insegnare il buon mangiare senza esagerare ai suoi, ma se hai una grandissima tecnica come lui va bene, se stai ancora studiando allora a mio parere è meglio che una cucchiaiata in più d'olio te la concedi che aggiusta tutto!
Continuando con gli antipasti, una polpetta di bollito se la batteva con il cubotto di coniglio, laddove il secondo vinceva a mani basse. Se il coniglio infatti era ben riconoscibile all'interno di una buona pastella ben fritta e dorata, la polpetta di bollito impallidiva per la sua consistenza molliccia con la panatura non unta ma neanche croccante. Il ripieno, poi, non aveva il buon equilibrio della tradizione romana, che la vuole un po' lavorata e condita, bensì sembrava una palla di carne bollita. Punto.
Una risalita netta sui primi, laddove sul tavolo c'erano dei tortelli alla crema di porri dalla sfoglia perfetta: l'unico piatto per cui mi sentirei di dire che tornerei. Poco rappresentati, ma deliziosi anche i cappelletti in brodo, piccole palline di neanche un centimetro di diametro che galleggiavano in un buon brodo chiarissimo (diciamo che qualcuno in più se lo potevano risparmiare). Scolastiche invece le fettuccine con le cime di rape, non un cattivo piatto ma neanche questa grande innovazione.
Ai secondi il maialino ha fatto il giro del tavolo: chi non lo voleva perché troppo crudo, chi non ha gradito il condimento, chi alla fine gli ha dato il colpo di grazia ma più per pietà che per gusto. Buona la cottura invece dell'agnello, peccato che sia stato adagiato su una crema di ceci che seguiva la stessa regola di quella di lenticchie dell'entrèe: scondita! Più che accompagnare il piatto lo ammazzava. Forse il migliore era il pollo, su cui era stato fatto un lavoro interessante sulla pelle, resa croccante in maniera perfetta.
Ma veniamo ai dolci, che sono stati gli unici che hanno avuto la spiegazione che abbiamo atteso per un'intera serata, salvo poi avere delle facce mentre ce li spiegavano che sembravamo Alberto Sordi e consorte alla Biennale di Venezia. Una tartelletta deliziosa ma dalle dimensioni pediatriche, diametro si e no di 5 centimetri: va bene mantenersi con le calorie, ma vorrei essere io a scegliere come morire, cari Niko Romito and friends. Quindi il tanto decantato pane e cioccolato, di cui si era detto anche in presentazione. Citando il buon Fantozzi, come la corazzata Potemkin, anche questo dolce "è una cagata pazzesca".
Conclusioni. L'andamento della serata è stato altalenante. Il servizio va ancora registrato ma se vogliamo è quello che funziona meglio di tutti, salvo attendere ancora le spiegazioni dei piatti. Quanto a questi ultimi sembra di stare sulle montagne russe: picchi di piacere come i tortelli si alternano a discese fulminee come il pane e cioccolato. Il tutto a prezzi non alti, ma neanche bassi, specie se si pensa che in cucina è come se ci fosse uno staff di stagisti: di questo si dovrebbe tener presente, visto che i commensali sono in pratica il loro banco di prova. Ai posteri l'ardua sentenza, per il momento la mia è di parziale bocciatura. Sono disposta a ricredermi, specialmente se verranno corrette delle défaillance, ma per ora mi metto all'angolo e attendo le critiche dei miei colleghi più esperti.

lunedì 17 novembre 2014

L'Antico Giardino a Ferrara

Per prima cosa vi devo raccontare la mia figuraccia, se non altro per farvi fare due risate. Nel giro di 10 minuti, dalla macchina con lo smartphone ho organizzato la nostra notte di passaggio a Ferrara, durante la nostra discesa dal Veneto fino a Roma. Chiamo un paio di hotel e trovo posto per dormire, poi per essere sicuri di non sbagliare, guida alla mano anche questo ristorante, l'Antico Giardino, che si trova a qualche km da Ferrara, dettagliuccio che sulla guida non avevo neanche notato prima di prenotare (meglio, se no probabilmente per non riprendere la macchina non ci saremmo andati). Già alle pendici di Ferrara ci viene il dubbio di chiedere all'hotel se ci fossero problemi con la ztl visto che era in supercentro. Chiamo l'hotel e mi dicono che no, non c'era alcun problema "Perchè noi siamo fuori Ferrara"... poi ho capito, avevo fatto l'ultimo numero pensando fosse dell'hotel e invece era il ristorante...
Vabbè, arriviamo e chiedo scusa per la mia storditaggine, quindi ci sediamo in questo posto piuttosto elegante, con un'arredamento leggermente datato benché estremamente accogliente, con tavoli enormi e ben distanziati. Andrea inizialmente dorme, ma poi ovviamente si sveglierà e noi dovremo mangiare tenendolo in braccio a turno e qualche volta in piedi per cullarlo e farlo stare zitto, mentre noi ci siamo intrattenuti molto piacevolmente con il patron, Francesco Gardinali, un vero oste di altri tempi che ti racconta per bene cosa mangi e con il quale siamo finiti a parlare di tasse ed evasione fiscale!
Abbiamo scelto di assaggiare il menù degustazione e l'oste correttamente ci ha segnalato che si trattava di piatti che giocano parecchio sull'agrodolce e che questo tipo di sapori a molti non piacciono. Non è il nostro caso, quindi via libera all'insalata di faraona caramellata, su misticanza, melograno e mele saltate: l'agrodolce in effetti era ben percepibile e si apprezzava anche un bel contrasto di sapori con l'acidità del melograno che dava quel quid in più. Quindi sono arrivati i veri protagonisti della serata, senza i quali non avremmo mai potuto lasciare Ferrara: i cappellacci di zucca! Da menù erano con burro, salvia e mandorle tostate, ma gentilmente uno di questi meravigliosi manufatti della cucina era stato condito a parte con una spolverata di tartufo, per farci assaggiare anche questo prelibato abbinamento: vera goduria! La farcia di zucca all'interno dei cappellacci era dolce ma non troppo, con una purea di zucca non addizionata con gli amaretti (si fa a Mantova, abbiamo scoperto e non a Ferrara) ma la cui dolcezza era data dall'essenza stessa della zucca lasciata in purezza, con un lungo procedimento di cottura al forno e poi di strizzamento per una notte intera per far perdere l'acqua. Insomma, un lavorone che meritava tutto il viaggio!
Poi ancora secondo e dolce, sempre buoni ma meno memorabili, a parte le patatine a sfoglia di contorno che meritano la citazione. Insomma, un detour non voluto, ma che ci è davvero piaciuto... e ho fatto pure la rima!

mercoledì 12 novembre 2014

La Bolognese: con le tagliatelle di Vignola riprendono le trasmissioni

Innanzitutto chiedo scusa ai miei - pochi - lettori per la lunga assenza. Come sa chi mi conosce oltre le mie parole sul cibo, sono diventata mamma e il mio piccolo amore assorbe energie e tempo come un asciugone su una pozzanghera.
Ma non per questo viene meno la forza di mangiare, di cucinare, di viaggiare e andare per ristoranti, trattorie e osterie in tutta Italia.
Ed eccoci, in una lunga discesa dal profondo Nord al Sud, sbarcare per puro caso alla Trattoria La Bolognese di Vignola. Innanzitutto colpisce il contesto: si arriva a Vignola e si vede per primo l'imponente castello estense, non molto differente da quello di Ferrara, da cui provenivamo. Poi si scopre che questa trattoria alla buona sta praticamente sotto al castello, aperta solo a pranzo per una clientela per lo più affezionata...
Non ha nulla di ducale, ma molto di emiliano verace, grazie alle due signore, una di una certa età, che sono in sala e che ti mandano al tavolo in un lampo ed enunciano i piatti a voce. Salvo poi non volere altro che le tagliatelle alla bolognese, perché qui siamo in uno dei templi dell'emilianità. Alle pareti un vecchio articolo raccontava come la buonanima di Gianfranco Ferrè, abituato a ben altri livelli di ristoranti, tornasse volentieri a mangiare le tagliatelle di questo locale quando passava da queste parti.
Comunque per farla breve in men che non si dica le tagliatelle erano sul nostro tavolo e sono sparite presto presto nelle nostre pance, visto che scendevano che è una bellezza con un sorso di lambruschino.

giovedì 3 aprile 2014

Trattoria Epiro a Roma: piccolo è meglio

Siamo sempre stati convinti che piccolo sia meglio. Questo locale è una conferma della nostra convinzione, insieme ad altre chicche come Mazzo a Centocelle. Qui siamo proprio davanti al mercato rionale di piazza Epiro, da cui questa trattoria moderna prende il nome. Arredo semplice semplice e servizio curato con garbo dai proprietari. Peccato che ci fosse un po' di vento che si incanalava giusto giusto nel cortiletto, perché essendoci più di 20 gradi ci avrebbe fatto piacere star fuori.
Nella carta un po' di proposte che spaziano dai lievitati home made alle paste e ai secondi. Non abbiamo assaggiato questi ultimi, ma ci siamo concessi un assaggio degli sfiziosi antipasti, come le crocchettine di pollo davvero ben fritte e saporite. Simpatici i lievitati di cui parlavo (fra cui anche il pane servito nel cestino, di cui apprezziamo l'artigianalità), che sono una specie di focaccioni in forma di rombotti e farciti abbondantemente. Noi ne abbiamo assaggiati due tipi, uno di carne e uno di pesce. Nel primo caso, parliamo di maiale, dolcemente glassato e molto azzeccato nell'abbinamento con la focaccia. Nel secondo di un pesce bandiera abbinato a cime di rape. Più buono il primo, se non altro perché la salsa agrodolce rendeva più umido il pane e meno asciutto il tutto.
Quindi abbiamo assaggiato la pasta, pescando dai classici romani. Parliamo di amatriciana, non proprio ortodossa a nostro avviso, anche perché si avvertiva un retrogusto di una qualche spezia o aroma che non abbiamo identificato, ma che lo rendeva diverso dalle amatriciane un po' più grevi a cui siamo abituati. Comunque un buon sugo, con guanciale croccante e saporito, solo avremmo aspettato altri 2 minuti prima scolare la pasta.
A questo punto ci siamo fermati, perché il focaccione è già sufficiente per sfamarsi, se ci aggiungiamo il resto eravamo già pienissimi... I prezzi non sono propriamente popolari, ma come dicevo le porzioni sono più che abbondanti, quindi un buon compromesso può essere ordinare piatti diversi per i commensali e assaggiare dividendoli (noi abbiamo fatto così). 8-10 di euro per antipasti, focacce comprese, e primi piatti, saliamo fino a una ventina per i secondi (ma come dicevo bisogna arrivarci!!!). Acqua a 3 euri, ma trattasi di Fiuggi, che effettivamente costa di più...

giovedì 13 marzo 2014

Kilo: braceria e hamburgeria in zona Parioli

Siamo capitati in questo locale della zona Parioli/Pinciano praticamente per errore. E all'inizio ci stavamo anche pentendo di questo. Il motivo è stata l'attesa: annunciata come "meno di 20 minuti" è stata di oltre 40. Intanto ci intimoriva il pubblico medio di questo locale: da un lato signore della Roma bene con più botox che sangue nelle vene, dall'altro "pischelli" pariolini e/o luissini, accorsi per lo più al richiamo dell'hamburger con le patatine.
Detto questo, ci hanno fatto accomodare in un tavolino abbastanza piccolo e scomodo, facendosi anche perdonare decisamente poco per l'attesa. In compenso, il servizio è abbastanza veloce e solerte, nonostante il locale pieno.
Detto questo, ci siamo concentrati sul menù, composto per lo più dei vari tagli di carne, nazionali e non, i cui prezzi sono all'etto (ma correttamente dalla cameriera viene chiesto al cliente che pezzatura desidera). Ci sarebbero gli hamburger (con il simpatico formato mega per 3-4 persone), ma non c'era granché scelta sui condimenti di accompagnamento alla carne: il classico hamburger senza pretese.
Comunque, il nostro obiettivo era la carne e, per puro caso, abbiamo fatto gli esterofili, provando una danese con osso e una tagliata di manzo Kobe. In questo secondo caso, una necessità: mi serviva una carne che potesse essere cotta senza diventare una suola. Ed effettivamente il consiglio della cameriera di scegliere la Kobe perché un po' più grassa è stata centrata. La danese, invece, era cotta ben al sangue come richiesto ed era stata onestamente rifilata, quindi non aveva un osso preponderante che fa solo massa (e peso sul conto!).
In accompagnamento patatine fritte a gogò: quelle normali, belle croccantine, erano le classiche surgelate. Quelle "old style" simpatiche, sabbiosine e croccanti ma con il cuore morbido.
Per concludere un brownie con gelato alla vaniglia, scelto nella snella carta dei dolci tutta molto americanofila. Per essere un dolce "all'americana" non era male e l'abbinamento con il gelato risultava sensato.
Con acqua e birra il conto è stato sulle 70 euro in due. Considerando che avevamo scelto le carni più costose della carta un prezzo tutto sommato onesto. Si segnala la presenza del brunch praticamente tutti i giorni, eccetto il sabato a pranzo. Forse potremmo pensare di farci un salto una domenica...

domenica 2 marzo 2014

Ferrovecchio: Hamburger a San Lorenzo

Partiti per mangiare un hamburger all'Hamburgeseria, ci siamo fatti dissuadere dalla sala piena con fila all'ingresso e abbiamo deciso di dare una chance a questo nuovo locale di San Lorenzo. Costola dell'attigua Mucca Bischera, Ferrovecchio è il nuovo fast food, con una strizzata d'occhio agli americani (nel menù) e una ai bistrot (nell'arredamento). Come la maggior parte dei locali aperti recentemente anche qui siamo di fronte a un arredamento di recupero vintage anni '40. Io promuoverei la fine di questa moda, iniziata dieci anni fa da Gusto.
Detto questo, siamo convinti che anche se l'occhio vuole la sua parte, non si mangia il design, quindi passiamo al cibo, che ci interessa di più. Tre sostanzialmente i capitoli del menù: i fritti, le pizze e gli hamburger. Noi abbiamo volontariamente saltato il capitolo pizza, anche perché, abbiamo notato dopo vedendolo dalla finestrona affacciata sulla cucina, non è cotta a legna: sinceramente con il forno elettrico la posso fare anche a casa mia!
Il nostro vero obiettivo era l'hamburger, quindi a quello abbiamo puntato, declinato in 12 varianti, anche se alla fine ci siamo mantenuti sul classico con bacon e cheddar. In più qualche sfizio fritto, nonostante il solerte cameriere abbia obiettato che l'hamburger fosse pesante... In pratica, ci ha dato dei mangioni! Comunque, non ci siamo fatti dissuadere e abbiamo ordinato come antipasto delle frittelline con gli asparagi e un supplì. In entrambi i casi un leggero eccesso d'olio, però soprattutto del supplì devo ammettere che la panatura era molto ben croccante, il riso bello al dente e la mozzarella giustamente filante. Insomma, nonostante l'olio mi è piaciuto molto.
Passiamo quindi all'atteso hamburger, servito con delle patatine a sfoglia ottimamente fritte, croccanti e asciutte in questo caso, peccato che fossero inondate di sale e non fosse sufficiente neanche "scotolarle" prima di metterle in bocca. Altra netiquette rilevata è relativa alle salse: sì e no saranno 30 tavoli, e i 4 tipi di salse disponibili (maionese, ketchup, bbq e senape) devono essere in quantità sufficiente per essere servite a tutti indistintamente. Il povero cameriere non deve fare la caccia al tesoro fra i tavoli che hanno finito di mangiare, con il risultato che a noi per esempio ha portato solo maionese e ketchup.
Passiamo finalmente però all'assaggio dell'hamburger: una bestiola alta tipo 10 cm di cui almeno 3 di carne, visti i 200g di Chianina promessi. Ora, non è che ci siamo messi lì con il bilancino, però a giudicare dall'affanno con cui siamo arrivati alla fine si può dire che la "ciccia" non mancasse. Ottimo il rispetto delle cotture richieste per la carne, ben morbido il panino di copertura (anch'esso pare fatto in casa) anche se leggermente strabordante rispetto alla carne. La logica americana pretenderebbe il contrario, cioè un panino di circonferenza pari o più stretta di quella della carne. Però in realtà, data l'altezza dell'hamburger, si spiega bene questo leggero squilibrio. Buone le cipolle caramellate del panino Ferrovecchio, la pancetta pure saporita, lasciata un po' morbida per meglio incontrare il gusto italiano (in America invece si serve croccantissima). L'uso del cheddar è invece filologicamente corretto. Insomma, fra ammiccamenti al gusto italiano e a quello americano, il panino non ci è affatto dispiaciuto. Effettivamente non aveva poi tutti i torti il cameriere a dirci che fosse impegnativo, tuttavia il suo commento ci è sembrato anti-commerciale e leggermente offensivo.
Tanto che non ci siamo fatti mancare un dolce. Per concludere, abbiamo preso un tiramisù alla Nutella, che però non abbiamo capito perché sapesse più che altro di arancia.

domenica 23 febbraio 2014

Brunch al Porto Fluviale

Eccoci alla fine di un'altra domenica. Questa volta graziata da un sole magnifico, pur a febbraio inoltrato. Proprio questo sole non poteva non spingerci fuori di casa e, tanto per cambiare, la priorità era pranzare, così abbiamo scelto di trascorrere la nostra domenica al Porto Fluviale. Di giorno e con una giornata come quella di oggi, devo dire che l'architettura a vetrate piene di questo locale si fa apprezzare per la luminosità. Peccato solo che non ci sia una gran vista, ma non si può volere tutto dalla vita.
Comunque, arriviamo poco prima delle 2 e chiediamo un tavolo per due. La solerte stangona all'entrata ci dice "c'è da aspettare mezz'ora". Poi in realtà l'attesa è di meno di un quarto d'ora. Non abbiamo capito se è stata pietà verso il mio pancione da settimo mese o se sia policy aziendale di sovrastimare le attese tanto per non fare cattive figure e anzi essere apprezzati per il dimezzamento delle suddette stime. Una buona strategia, salvo che una stima eccessiva potrebbe deviare il cliente verso il nuovo dirimpettaio che si chiama La Dogana (ci avevamo fatto un mezzo pensierino anche noi!).
Certo, il tavolo per molti sarebbe stato un po' sacrificato, in quanto contiguo al tavolino del servizio dove si avvicendavano le cameriere (tutte donne o quasi!) per sparecchiare, segnare i conti sul pc, prendere posate e bicchieri e mescere l'acqua dalle fontane. Tuttavia, noi siamo appassionati di dinamiche risto-aziendali e ci è piaciuto avere una posizione così privilegiata per poter studiare un locale così grande e complesso.
Ci ha accolti una bravissima cameriera, che ci ha spiegato bene come funziona il brunch: 18 euri, con una bevanda a scelta inclusa a cranio (ma in più nel buffet c'erano i succhi) e possibilità illimitata di refill del cibo. Quando ha visto che ci alzavamo a turno ci ha rassicurati "ci siamo noi, al vostro tavolo non si avvicina nessuno: potete andare insieme".
Quindi ci siamo approcciati al buffet, piuttosto ricco, considerando anche il prezzo. Un tavolo con insalate e condimenti vari a parte, un altro con i succhi (arancia o Ace) e un altro ancora con i dolci. Al centro un'isola in cui si avvicendavano caldi e freddi. Fra i caldi, un paio di zuppe (cipolla o fagioli nel nostro caso), una gustosa lasagna di zucca e provola affumicata, meno piaciuti i tortellini al pomodoro. Poi una discreta scelta di latticini, i cui piatti venivano rimpiazzati con solerzia: abbiamo assaggiato burrata, provola affumicata fresca, ricotta, feta greca. Quindi una bella teoria di verdure, con prevalenza di zucchine, melanzane e patate. Deliziosa la spadellata di cavolo nero: da provare a rifare a casa! Quindi i vari secondi, fra cui un paio di carpacci, un'insalata di totani, dell'ottimo salmone, semplicemente cotto e da abbinare alle salse presenti, alici marinate (peccato non poterle neanche guardare!). Qualche etnicità con un cous cous molto curry-oso e degli spaghetti di soia con verdure e così via. Fra i dolci cannoncini ripieni vari (chantilly o crema al cioccolato), muffin, cannolini alla ricotta, babà molto bagnato e pannoso, tiramisù, barchette con nutella, ciambellone con gocce di cioccolato.
Ho sicuramente dimenticato qualcosa, ma comunque credo che la buona varietà sia ben chiara. Come dicevo, si apprezza la quantità di cibo a fronte di un prezzo contenuto. E quando dico quantità non mi riferisco solo a un furbo riempimento di carboidrati dei tavoli come fanno molti, che se la cavano con pizze e insalate di pasta. Qui c'è davvero tutto, dall'antipasto al dolce, passando soprattutto per i secondi di carne e di pesce, che fanno capire che un minimo di investimento da parte di chi propone il brunch c'è. Certo, non parliamo di ostriche e champagne, né di piatti super-gourmet, eppure la nostra esperienza è stata complessivamente molto positiva e questo brunch scala la nostra classifica di gradimento, specialmente in una giornata di sole come quella di oggi!

domenica 9 febbraio 2014

La Zanzara a Prati: apertura il 12 febbraio


Neanche è aperto (12 febbraio il D-Day), ma La Zanzara fa già parlare di sé. In realtà il primo motivo di cotanto interesse, almeno a livello locale, è stata la protesta dei vicini residenti, che lamentano un ingresso interdetto. Non sappiamo come si concluderà il contenzioso fra vicini (speriamo non come a Erba), ma siamo sicuri che anche questa, in fondo, sia pubblicità. Come diceva Oscar Wilde, "l'importante non è come se ne parli, l'importante è che se ne parli".
Detto questo, ne parliamo anche noi, dall'alto dell'assaggio avuto all'inaugurazione-stampa dello scorso giovedì. Per prima cosa contestualizziamo: siamo "in Prati", precisamente a via Crescenzio. Zona turistica, a due passi da papa Francesco, ma anche molto romana. Diciamo una via di mezzo, dove peraltro si sta formando una discreta pattuglia di locali da frequentare. A due passi, a parte Romeo che resta il nostro preferito, ci sono Splendor Parthenopes, Frizzo (proprietà Gusto), il Sorpasso di cui ci hanno parlato bene.
La Zanzara, la cui proprietà è la stessa di Baccano, il ristorante davanti al Quirino, è però un vero e proprio gigante in mezzo a tutti questi altri. Oltre 100 coperti, con estensione all'esterno prevista per le giornate di sole. L'arredamento è vintage, stile bistrot anni '30-'40: una tendenza che si è diffusa a Roma (a nostro parere un po' troppo) ormai da una decina d'anni, con l'apertura di Gusto, che per primo ha recuperato le vecchie mattonelle a scacchi della nonna e le piastrelline rettangolari bianche lucide. Qui le mattonelle sono esagonali e formano decori geometrico-floreali, intervallando i colori, mentre alle pareti c'è la suddetta piastrella. Il risultato complessivo è carino e pulito, oltre che funzionale, con tavoli sufficientemente distanziati nonostante il numero. Unico grosso difetto, riscontrato a maggior ragione visto che la sala era a pieno carico, è il rumore: bisognerà intervenire con pannelli fonoassorbenti, perché sullo stesso tavolo non ci si sente, nonostante non ci sia musica di sottofondo.
Per quanto riguarda il mangiare, facciamo riferimento solo alla cena dell'inaugurazione, con i pregi e i difetti che una situazione del genere può avere. C'è da dire che, nonostante i numeri, lo chef Alessandro Cecere e la sua brigata se la sono cavata piuttosto bene. Solo un leggero rallentamento, fisiologico, fra gli antipasti e il primo piatto.
Abbiamo assaggiato dei crostini con burrata e cicoria, conditi con colatura di alici: molto saporiti, forse troppo. Non nel senso che fosse salato, ma che per un'amante della burrata quale io sono (tanto più che era fresca) il resto del condimento copriva un po' troppo il sapore del latticino. Nello gnocchetto di ricotta affumicata al contrario era molto presente il sentore di affumicato e questo piaceva. Gradito che lo gnocchetto fosse visibilmente home made, anche se la scelta di questo tipo di pasta è stata decisamente un azzardo, viste le difficoltà di cottura su larghi numeri. Leggermente morbidi, ma assolutamente non spappolati e per questo ci sentiamo di premiarli. L'unico dettaglio che non abbiamo capito era una quenelle di ricotta che più che altro ci sembrava avesse funzione decorativa perché non era affumicata.
Ancora una buona prova anche per il secondo piatto: una costoletta di agnello panata con i cereali e fritta. Leggermente rosa, il che a noi andava bene, ma qualcuno ha storto il naso. Croccante la doratura, molto morbida la carne. Saporita anche la scarola in abbinamento.
Per concludere una "doppietta" di tiramisù. Due bicchierini, di cui uno classico e l'altro con una variazione alla sambuca (in carta parla di tripletta, ci chiediamo come sia il terzo). L'abbinamento ci sembrava più che logico, ma il classico ci ha colpiti decisamente di più. Comunque conosco qualcuno che si è sparato ben 5 bicchierini!
Ultima nota sul menù, che ci è stato consegnato all'uscita, tanto per riflettere a casa. Un po' lunghino, ma un buon numero di piatti non prevedono grande processo, quindi è uno sforzo affrontabile per la cucina e speriamo anche per il servizio. Economicamente siamo su prezzi medi, anche se chi è particolarmente affamato potrebbe uscire con un conto un po' impegnativo... ma parliamo di antipasto-primo-secondo-contorno-dolce!
Per quanto ci sia una discreta ricerca fra i prodotti italiani e stranieri d'eccellenza, si nota una forte strizzatina d'occhio ai tanti turisti, specie americani e anglosassoni, che girano dalle parti del Vaticano e che sicuramente non disdegneranno un posto dove mangiare una bella grigliatona o una Caesar Salad. Ma è soprattutto la colazione ad essere intesa in questo senso: uova e bacon o eggs benedict solo gli anglofoni le possono buttare giù al mattino!
Una curiosità particolare mi rimane per il brunch - da non chiamare così, perché viene esplicitamente presentato come pranzo della domenica - a 25 euri. Appena troverò l'occasione di andarci ve lo farò sapere!

venerdì 10 gennaio 2014

Dol Ristorante: una buona cena laziale a Roma Centocelle

Dopo Mazzo, eccoci alla seconda bella scoperta in zona Centocelle, Dol Ristorante, il bistrot dell'omonima gastronomia specializzata in salumi&formaggi, il cui acronimo vuol dire nient'altro che Denominazione di Origine Laziale.
E pensare che un tempo mio marito lì vicino ci abitava... E adesso è diventato un polo di attrazione gastronomica per chi sceglie un posto lontano dal centro (e dove per inciso si possa parcheggiare senza troppi problemi!).
Ma passiamo alla nostra esperienza gastronomica. Per prima cosa il locale. Mega-bancone all'entrata, pieno di mille delizie, quindi una sala con un po' di tavoli di quelli piccoletti a base quadra che si compongono come si vuole, accompagnati da sedie di legno retrò, per un totale di una quarantina di coperti. Qui e là arredi vintage specialmente anni Settanta e su una parete la mega-lavagna su cui è scritto integralmente il menù, non presente in versione cartacea, che però viene pazientemente riproposto anche a voce dai responsabili di sala.
Immancabili i taglieri di salumi e formaggi, che figurano come unici antipasti, mentre la maggiore varietà si esprime sulle pizze alla teglia, buone per due persone. Bianche o rosse, si possono combinare due gusti, purché siano entrambi bianchi o rossi. Altra direttrice, piuttosto ridotta a poche opzioni di stagione e di tradizione, è quella della cucina "cucinata". Un solo primo, una zuppa, una polenta, un paio di secondi fra cui lo stufato e le Dolpette, polpette che ci ripromettiamo di assaggiare alla prossima visita. Un paio di opzioni anche per i dolci, ma di quello parliamo dopo.
Della selezione poco da dire. Il nostro formaggio preferito è stato il conciato di Bufala, una novità proveniente da Sezze (Latina) recentemente entrata in catalogo e da noi prontamente apprezzato (ne abbiamo comprato anche un pezzo da portare a casa!).
Poi abbiamo scelto la teglia bianca, con due opzioni: una selezione di formaggi Dol con una riduzione di vino e la c.d. Capra e cavoli! Nel primo caso una specie di quattro formaggi, addolcita dalla riduzione, mentre nel secondo caso una spadellata di cavolo nero, con olive all'arancia e una bella spolverata di formaggio di capra saporitissimo. Un po' sciapi cavolo e olive, tuttavia venivano opportunamente bilanciati dalla sapidità del caprino.
A questo punto, speravamo di avere un posticino per una Dolpetta, ma così non è stato, anche perché abbiamo scelto di farci tentare dal dolce. Ufficialmente era denominato "millefoglie di panettone con salsa alla zucca", ufficiosamente era un simpatico boccaccetto di quelli con la chiusura ermetica con questo ottimo panettone artigianale messo a strati con la crema che di zucca poco sapeva (per fortuna). L'alternativa sarebbe stata la crostata, sempre di zucca. Unica pecca, in questo senso, è strategica: proporre due dessert a base di zucca taglia fuori chi non ne vuole neanche sentire l'odore...
Al contrario, l'ampia selezione di birre artigianali, tutte in spina e a soli 4 euro a bicchiere, è molto apprezzabile.