lunedì 29 ottobre 2012

Pistelli Hostaria Moderna a Grottaferrata

Normalmente diffido delle "Hostaria". Mi piacciono più le osterie di una volta. Tuttavia, in questo caso stiamo parlando di una vecchia conoscenza, la Scuderia di Genzano si è recentemente spostata a Grottaferrata, migliorando perfino, se è possibile una qualità già di tutto rispetto. Una scelta di campo che stanno facendo in molti. Grottaferrata è infatti fra i paesi dei Castelli più vicini alla Capitale e a quanto stiamo assistendo è diventata una vera e propria enclave di Slow Food (4 chiocciolati in un paese di poco più di ventimila abitanti è un dato interessante!).
Comunque, parliamo dell'esperienza che abbiamo vissuto in questo ristorante, dove siamo capitati in una tranquilla domenica di ottobre e non abbiamo potuto far altro che levarci il cappello di fronte a cotanta bravura.
L'accoglienza: in sala c'è la figlia dei capostipiti, che invece animano la cucina. Molto competente e intelligente, ci ha spiegato per bene tutti i piatti, gli ingredienti e soprattutto i presidi Slow Food utilizzati (non pochi!). L'intelligenza stava soprattutto nell'aver capito che la nostra intenzione era di assaggiare un po' tutto e siamo stati subito accontentati. Questa scelta comportava però il non vedere il menù e, quindi, di accontentarci della spiegazione verbale senza sapere i prezzi (con leggero mancamento all'arrivo del conto, tuttavia in linea con gli altri chiocciolati della zona).
Ma andiamo a quello che abbiamo mangiato. Per prima cosa, prima ancora di ordinare, siamo stati accolti da un assaggino di carbonara (due mezze porzioni in 5, comunque più di una forchettata). Leggermente troppo al dente la pasta, ma quello per me non è un problema. Magnifico invece il condimento: l'uovo era pressocché crudo, ma poteva esserlo senza tema, perché era un uovo che aveva visto davvero la gallina. Il guanciale era croccante senza essere una sfoglia, ma piuttosto un tocchetto cicciotto. Poi si notavano spezie varie che galleggiavano nell'olio: oltre al pepe, qualche ago di rosmarino e semino di peperoncino. Una leggerissima presenza aromatica, però, che non intaccava il gusto (probabilmente faceva semplicemente parte della marinatura del guanciale).
Detto ciò, siamo passati alla carrellata di antipasti. Si cominciava con una quenelle di patate e cavolo nero, molto buona ma anche atomica, a causa della presenza di peperoncino. Consigliabile un'aggiunta dell'ottimo olio appena spremuto (verdissimo e fruttatissimo!) che ci hanno portato e che stava benissimo anche a crudo sull'ottimo pane. Ancora broccoli romaneschi insieme alla salsiccia; polpette al sugo; melanzane con pomodorini piuttosto fritte; peperoni arrostiti; fagioli con le cotiche (io non amo i fagioli, ma questi erano da bis!); crostini con patè toscano... e forse mi sono dimenticata qualcosa, ma comunque avrete capito il senso: tutti ottimi antipasti realizzati interamente da loro.
Poi siamo passati ai 3 assaggi di primi. Uno era una cocottina di zuppetta ai porcini: vi dico solo che approfittando dell'inappetenza di un commensale me ne sono sparata due! Crostino di pane sul fondo, pezzi di porcino ben visibili e consistenti, brodino saporito e cubettini di stracchino locale a completare il piatto. Ancora fra i primi, l'ottimo raviolo aperto (pasta fatta in casa, of course) con crema di zucchine romanesche e besciamellina aromatizzata: uno a testa, ma era bello consistente e perfino un po' pesantuccio, ma buonissimo! Infine, last but not least, la cacio e pepe! Pasta trafilata al bronzo del salernitano, scelta proprio perché rilascia un sacco di amido e aiuta a creare il puccino, un pecorino neanche troppo salato (o forse lo era, ma compensava con il fatto che la pasta non fosse stata salata in cottura) e un pepe abbondantissimo e macinato grossolanamente ma spettacolare. Ci ha detto che è un presidio Slow Food del Borneo, non troppo piccante ma aromaticissimo. Difficile raccontarlo, fatto sta che dava un tocco in più, rispetto ad analoghi piatti assaggiati anche in ristoranti romani di tutto rispetto.
Finalmente siamo ai secondi (ma qui mezzo tavolo aveva già capitolato). Un agnello presalè bretone che era un burro, panato con una pappetta di pistacchio di Bronte e fritto. Magnifico.
Per concludere, ancora assaggi, questa volta di dolci. Le crostate (visciole e lamponi, però più buona la prima perché meglio contrastata fra dolce della pasta e amarognolo della marmellata), la zuppa inglese molto alcolica e con una copertura di meringa morbida altissima; i semifreddi, alla nocciola e al pistacchio, che sapevano davvero della frutta secca con cui erano stati realizzati.
In conclusione, dopo una mangiata del genere (+ una bottiglia di Tellus) ce ne siamo usciti con 46 euro a persona. Abituati a pagare meno, sulle prime ci siamo un po' impanicati (anche perché avevo fatto male i conti e pensavo 56 a persona), ma in realtà in conclusione non possiamo non dire che il prezzo era onesto. Abbiamo mangiato tanto e bene, con prodotti di qualità e con una varietà invidiabile.
Da rifare!

Ps. appena usciti dal ristorante (o prima di andarci se ci mangiate a cena) non vi fate mancare una visita alla dirimpettaia Abbazia di San Nilo. E' una pregevolezza di origine bizantina davvero meravigliosa!

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