lunedì 25 giugno 2012

Roy Caceres e Metamorfosi

H. 9.30, appuntamento davanti al Metamorfosi con Roy Caceres per un'intervista. Prima che lui arrivi, la sfilata di tutta la brigata: un giapponese, uno svedese, un italiano, un colombiano come Roy, che peraltro è suo fratello e si occupa dei dolci.
E' così che comincia la giornata di un ristorante di alto livello dei Parioli, che lavora a pranzo con menù gourmet, ma fissi, e a cena con una carta fatta di nomi quasi imperscrutabili e un menù degustazione di cavalli di battaglia e un altro che è tutto estro del momento.
Il bello, per qualche ora, è sentirsi parte di questa brigata e discutere con Roy di tutto, dalla sua formazione ("Ho iniziato come lavapiatti"), all'avventura pariolina, alla sua bella famiglia: una moglie sarda e tre figli, tutti maschi.
Come è nata l'idea di provarci proprio con Roma? Beh, Roy da "extracomunitario" ha cominciato proprio dalla capitale. L'idea iniziale, 15 anni fa, era di raggiungere la mamma, che già era qui per lavoro, e di provare a sfondare con il basket. Era anche a un buon livello sportivo (doveva chiudere con una squadra di C1, mi sembra che mi abbia detto), poi qualche problema burocratico e il casuale avvicinamento alle cucine. Appunto, da lavapiatti. Ma stiamo parlando di un lavapiatti che prima di lavarli i piatti, vedeva come venivano preparati dagli chef, si è messo a studiare, ha imparato molto bene e sicuramente madre natura gli aveva dato tanto estro e creatività. Così le esperienze nel tempo si sono accumulate, portando Roy a dirigere anche cucine stellate.
Il tutto gli è tornato utile, appunto, quando ha deciso di tornare a Roma e aprire finalmente un ristorante tutto suo. Ed eccoci a due passi da Piazza Euclide (piazza Eu, come dicono i pariolini) a tirar fuori dalla cucina piatti che non capisci come possano essere stati fatti. E quella è la vera bravura...
Il viaggio nella sua cucina, però, spiega molte cose. Fra cui che quella creatività di cui dicevo non è solo nel cucinare (e tanto basterebbe), ma anche nel creare gli strumenti per giungere ai risultati gastronomici che si era prefissato: è così che nasce una specie di pistolotto di sua invenzione per inserire non so quale crema in abbinamento a un piatto, oppure il "forno a legna" senza legna che si è creato e che mi ha colpito particolarmente.
"Volevo fare il pane cotto a legna, ma non ho un forno a legna - racconta - così ho studiato la lavorazione per capire come arrivarci". E lì ha scoperto che gli serviva una superficie arroventata che desse al pane l'impatto iniziale che lo fa gonfiare e ha messo in un normale forno elettrico due placche di pietra lavica. Ma ancora non era soddisfatto, perché mancava qualcosa. Cosa? L'odore della legna. Così ha inventato un marchingegno che su un fornelletto fa scaldare il pane con dei trucioli, che appunto bruciano sotto al pane e danno quel sapore di legna cotta...
Vabbè, l'avete capito: sono rimasta affascinata da questo ragazzone di quasi due metri, con gli occhi che si illuminano allo stesso modo, quando parla della cucina e quando parla dei figli... Ora non ci resta che l'assaggio!!!

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