Il vero motivo per vedere "The Chef" su La5 il martedì sera è aspettare che inizi "The Taste", il gastroreality in salsa americana (con un tocco british) le cui puntate seguono di pari passo quelle del primo programma. La prima giornata, infatti, è stata per entrambi una carrellata di casting, tanto per capire chi avremmo messo ai fornelli. E se nel primo caso ci siamo trovati di fronte ad appassionati poco preparati, a mio giudizio, nel secondo siamo al cospetto di un gruppo molto più valido, benché, poveretti, sono pur sempre americani!
Da italiana convinta che la mia cucina sia la migliore del mondo e che anche i francesi che tanto si vantano ci fanno una pippa, non posso che vedere con orrore la maggior parte degli "inguacchi" che combinano questi aspiranti chef americani. Tuttavia, dopo una 3 settimane negli Usa, devo ammettere che quello è il modo di mangiare di una miliardata di persone. Che è vero che poi vengono in Italia e si commuovono davanti a una amatriciana vera, però stanno là e di quella cultura sono pervasi.
Ergo, lungi dal guardare questo programma alla ricerca del sacro Graal dell'idea geniale da riprodurre in cucina, "The Taste" mi ha colpita fin dall'inizio per il format, che secondo me è estremamente azzeccato e che non vedo l'ora di vedere riprodotto in Italia, sperando che i casting dei giudici li facciano con criterio. La formula in parte somiglia a "America's got talent", con tanto di tasti luminosi per dire se è un sì o un no da parte dei giudici (che successivamente diventano coach e qui c'è un pizzico di "X-Factor").
Però la vera innovazione (anche se pure questa è stata mutuata da precedenti talent canori) e quello che fa di questo programma un divertentissimo thriller è che i giudici assegnano i loro voti completamente al buio. Assaggiano i loro cucchiai, che rappresentano una versione finger food del piatto proposto dal concorrente, ma non vedono chi ha realizzato il piatto prima di votare. Quindi l'autore si presenta e non fa altro che apprendere insieme agli spettatori quali sono le valutazioni dei giudici. Per adesso, dicevo, siamo solo alla parte casting e alla fine poco importa se è stato buttato fuori l'uno o l'altro. Però il divertimento ci sarà quando i giudici dovranno votare i piatti dei loro protetti e, probabilmente, buttarne fuori qualcuno a loro insaputa.
Altro ingrediente fondamentale che fa di questo programma il mio nuovo cult è il quartetto dei giudici e in particolare un paio che mi sono profondamente simpatici: prima fra tutte Nigella Lawson, che non manca di deliziare il pubblico con la sua vena spiritosa e con doppi sensi; poi Anthony Bourdain, anche lui molto sagace e piacevole nel rimembrare i suoi viaggi culinari intorno al mondo; meno divertenti, ma più professionali i commenti dei due veri chef, un francese abbastanza antipatico, Ludo Lefebvre, e l'unico vero americano Brian Markeley, che almeno giudica con un occhio al palato locale.
Se vuoi scoprire che ne penso davvero di The Chef, CLICCA QUI
Da italiana convinta che la mia cucina sia la migliore del mondo e che anche i francesi che tanto si vantano ci fanno una pippa, non posso che vedere con orrore la maggior parte degli "inguacchi" che combinano questi aspiranti chef americani. Tuttavia, dopo una 3 settimane negli Usa, devo ammettere che quello è il modo di mangiare di una miliardata di persone. Che è vero che poi vengono in Italia e si commuovono davanti a una amatriciana vera, però stanno là e di quella cultura sono pervasi.
Ergo, lungi dal guardare questo programma alla ricerca del sacro Graal dell'idea geniale da riprodurre in cucina, "The Taste" mi ha colpita fin dall'inizio per il format, che secondo me è estremamente azzeccato e che non vedo l'ora di vedere riprodotto in Italia, sperando che i casting dei giudici li facciano con criterio. La formula in parte somiglia a "America's got talent", con tanto di tasti luminosi per dire se è un sì o un no da parte dei giudici (che successivamente diventano coach e qui c'è un pizzico di "X-Factor").
Però la vera innovazione (anche se pure questa è stata mutuata da precedenti talent canori) e quello che fa di questo programma un divertentissimo thriller è che i giudici assegnano i loro voti completamente al buio. Assaggiano i loro cucchiai, che rappresentano una versione finger food del piatto proposto dal concorrente, ma non vedono chi ha realizzato il piatto prima di votare. Quindi l'autore si presenta e non fa altro che apprendere insieme agli spettatori quali sono le valutazioni dei giudici. Per adesso, dicevo, siamo solo alla parte casting e alla fine poco importa se è stato buttato fuori l'uno o l'altro. Però il divertimento ci sarà quando i giudici dovranno votare i piatti dei loro protetti e, probabilmente, buttarne fuori qualcuno a loro insaputa.
Altro ingrediente fondamentale che fa di questo programma il mio nuovo cult è il quartetto dei giudici e in particolare un paio che mi sono profondamente simpatici: prima fra tutte Nigella Lawson, che non manca di deliziare il pubblico con la sua vena spiritosa e con doppi sensi; poi Anthony Bourdain, anche lui molto sagace e piacevole nel rimembrare i suoi viaggi culinari intorno al mondo; meno divertenti, ma più professionali i commenti dei due veri chef, un francese abbastanza antipatico, Ludo Lefebvre, e l'unico vero americano Brian Markeley, che almeno giudica con un occhio al palato locale.
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