sabato 31 marzo 2012

Il torchio sardo, in zona Tuscolana a Roma

Davvero inaspettato trovarsi davanti a un locale così spazioso a vedere l'ingresso. Si entra passando attraverso un corridoio angusto, incrociando la porta della cucina, e si arriva in una enorme sala arredata in stile ultra-moderno.
Molto cordiale e garbato il servizio, con una battutina ogni tanto in vero stile osteria, peccato che il locale non abbia affatto l'aspetto di un'osteria. E' proprio questo voler apparire diverso da quello che realmente è che non ci ha convinti del tutto. Oltre a qualche dubbio su alcuni piatti assaggiati.
C'è da dire, però, che siamo andati lì con un coupon, quindi ci siamo "beccati" un po' quel che volevano darci. Anche se, a onor del vero, il trattamento non è stato affatto da coupon, nel senso che il servizio è stato ugualmente attento e disponibile (non è così scontato purtroppo).
Fra i piatti assaggiati, delle verdurine gratinate e grigliate non proprio da ricordare (patate gratinate non male, non si può dire lo stesso di melanzane e zucchine) e un formaggio sardo servito con dei pezzi di pane carasau home made e miele.
Quindi un tris di primi: tagliolini al limone, raviolone ripieno di ricotta, gnocchetti sardi al ragù. Questo è stato il piatto più buono e tutti e tre i primi meritavano.
Poi il secondo prevedeva il maialino sardo, che purtroppo era alquanto secchetto. In accompagnamento delle ottime patate al forno.
Per concludere, dolcetti secchi sardi e mirto, oltre a una fettina di torta alle mele calda calda, appena uscita dal forno, che gentilmente ci hanno portato.
Sui tavoli intorno abbiamo visto che regnava più che altro il pesce. Tutti prendevano l'antipasto misto, che prevedeva varie portate dalle sorti alterne, dall'insalata di surimi che secondo me è una netiquette, alla tagliata di tonno che sicuramente ha più dignità...
Ottimo l'aspetto anche di una pasta alle vongole (visibilmente fresche, in abbondanza e tutte piene) che è stata portata ai nostri vicini.
Altra piccola netiquette relativa al vino. Hanno provato a piazzarci il vino della casa (imbottigliato), poi abbiamo chiesto la carta e non c'era ("La stiamo rifacendo tutta"). Quindi abbiamo chiesto un vermentino e ci è stata portata un'Aragostina a 15 euro, non proprio regalata!
Intelligentissima, invece, all'entrata, l'idea di una specie di pass in cartoncino da lasciare in auto (se posteggiata malamente) per indicare dove ci si trova.

lunedì 26 marzo 2012

Unico Restaurant a Milano: pausa pranzo gourmet!

Siamo approdati in questo locale un po' per caso, scoprendo solo una volta seduti che ci trovavamo in un ristorante che in un solo anno era stato capace di conquistare una stella Michelin. Certamente, a garantire è già il nome dello chef, Fabio Baldassarre, allievo di Heinz Beck, nonché animatore dell'Altro Mastai, ristorante (buonanima) molto titolato a Roma. Garanzia numero due è la location: già solo l'altezza (è il ristorante più alto d'Italia) e la vista sono un successo, poi l'arredamento minimal chic fa il resto. E soprattutto la cucina a vista (si erano scusati di non avere un tavolo a bordo veranda, ma io stavo per chiederne uno a bordo cucina!), dove gentilmente ci hanno anche fatto entrare.
Simpatiche, contrariamente a quanto ho letto, ma doveva esser scritto da qualcuno che non ama la chincaglieria come me, sia le civette di terracotta sparse qua e là, che le "tovagliette" dello stesso materiale: non so chi sia l'artista, ma se trovassi la sua bottega la rastrellerei!
Da notare anche l'ambiente che, stando a Milano in zona Fiera, si è inevitabilmente creato, quantomeno a ora pranzo: una clientela di giacca-cravattati e sciure milanesi che parlano della loro colf filippina (giuro, non è uno stereotipo, ne stavano parlando davvero le due che sono salite in ascensore con noi!).
E proprio perché stiamo parlando del pranzo, anzi del lunch come direbbero a Milano, è proprio della grande idea di Baldassarre che dobbiamo parlare: l'Unico menù! Di carne, di pesce o vegetariano, si presenta come una lavagna su cui sono poggiati un piatto di pasta (porzione accettabile) e piccoli assaggi di secondo, insalatina e fritturina di vegetali. Poi ancora un dolcino e inclusi nel prezzo (25 euri a cranio) acqua e un bicchiere di vino. Beh, certamente le porzioni sono pediatriche e ci sono posti dove con 25 euro esci barcollando da quanto hai mangiato, ma non è questo lo stile... Qui si mangia poco, ma buono, in porzioni studiate per ritornare sulla scrivania dell'ufficio e non addormentarsi sulla tastiera del pc.
I sapori non deludono, con un gradevolissimo cavatello con ragù di agnello nel menù carne e lo stesso cavatello in sugo di gamberi (freschissimi). Fra i secondi assaggiati un roastbeef freddo tagliato sottilissimo e cotto a regola d'arte e un'ombrina a cui non avrei dato due lire ma che invece era da bis. L'insalatina simpatica, il fritto ben eseguito. Per dolce una cheesecake al pompelmo, ben fatta anche se non adoro il pompelmo.
Come pausa pranzo a Milano devo dire che più gourmet di così non si poteva... Però ci riserviamo, per un prossimo viaggio, di riprovare la versione by night (da non meno di 60 euro a testa per un menù).

Ps. se volete avere un'idea, consultate il sito, molto ben fatto, del ristorante:
http://www.unicorestaurant.it 

sabato 24 marzo 2012

Il Canniccio a Reggello: sosta dopo gli outlet

Dopo anni che frequento Reggello, finalmente sono riuscita a fermarmi a mangiare in un posto toscano doc, a due passi dagli outlet, grazie a un buon consiglio di un'amica che sia in fatto di cibo che di moda ci capisce! Avvertimento: non pensate neanche per un momento di mangiare prima e andare nei negozi poi... Non vi entrerebbero neanche più le scarpe!!!
Detto questo, vi racconto cosa ci siamo mangiati noi in questo posticino... Per prima cosa abbiamo chiesto un antipasto misto, che si componeva di assaggi di salumi e formaggi, sott'oli, ma soprattutto le ottime salse per condire le bruschette (a dir la verità non abbiamo apprezzato troppo che ci abbiano portato  in abbinamento il pancarrè tostato... con tanto buon pane sciapo toscano...). Comunque, tornando alle salsette, una era un sughetto di pomodoro piccante, mentre l'altra era la mia goduria: patè toscano di fegatini, servito su un set fonduta che lo teneva caldo grazie a una candelina accesa.
Già io ero alla bandiera bianca per la felicità, ma ovviamente non ci siamo fermati qui. Abbiamo proseguito con i primi e in particolare con la specialità della casa: le fettuccine con il tartufo e il cavolo nero. Effettivamente meritavano la fama! Buoni anche i pici con il sugo d'anatra, che si facevano apprezzare soprattutto per la buona consistenza della pasta.
Detto questo, abbiamo provato anche un secondo e ovviamente non potevamo farci mancare un po' di ciccia, ovvero la carne in toscano. Un'intera fiorentina non ci entrava e quindi ci siamo limitati alla parte più pregiata: il filettino! Un filetto ai ferri cotto talmente bene che al taglio non scorreva una goccia di sangue. Mai mangiato così buono!
Al dolce abbiamo rinunciato, ma non ovviamente al vino, Chianti dei colli fiorentini...
Il tutto a una sessantina d'euro in due e devo dire che è un prezzo più che accettabile.

I tri siochett a Parma

Di ritorno da Milano potevamo non fare una fermata in Emilia Romagna per assaggiare qualcosa assolutamente non magro? Of course! De corsa!
A dir la verità, in prima istanza avevamo puntato un altro posticino proprio a due passi da Zibello (patria del culatello), però era chiuso quando noi siamo passati e quindi abbiamo ripiegato su questo bel ristorantino di campagna con tanto di affettatrice Berkel rosso Ferrari a vista. E già questo dettaglio ci ha messi a nostro agio!
Quindi ovviamente abbiamo ordinato il piatto di salumi e torta fritta (e siamo anche stati presi per pazzi perché ne abbiamo preso solo uno in due!), oltre a una torta rustica servita con crema di Parmigiano Reggiano. Ovviamente i salumi erano buonissimi, la torta fritta bella sottile e asciutta e la torta rustica simpatica, specialmente in accompagnamento con la salsa di parmigiano, davvero saporita.
Quindi i primi: abbiamo assaggiato un classico della casa, i tortelli di erbetta, e una casereccissima pasta e fagioli. La pasta, in particolare, merita un elogio: ovviamente fatta in casa, era apparentemente spessa e invece tagliandola si scopriva sottile (come buona sfoglina locale saprebbe fare!). Il ripieno saporito e il condimento esterno era un semplicissimo bagno di burro e parmigiano a gogò.
Infine per secondo abbiamo assaggiato le polpette alle verdure, che sembravano proprio le polpette della nonna. In accompagnamento delle favolose patate al forno.
Per concludere in bellezza, un assaggino di dolcetti home made, fra cui la torta tenerina (di origine ferraresi).
Da bere abbiamo provato, naturalmente, il lambruschetto della casa.

Ps. vedo dal sito che ci sono anche diverse opzioni di menù fisso (non ci sono stati proposti, quindi suppongo sia solo per cena)
Pps. per dare un'occhiata al sito cliccate sul link di seguito:
http://www.itrisiochett.it/ 

mercoledì 14 marzo 2012

Mister Chow figlio a via Genova

Era un po' di tempo che mancavo da Mister Chow, dove ero stata diversi anni fa. Volevo tornarci per ricordarmi com'era e confermare quella buona impressione di relativa genuinità che avevo già avuto la prima volta. Per una serie di motivi che non sto a raccontare, però, invece di andare alla sede storica di Mr. Chow a due passi da Piazza Barberini, ho scelto di provare il ristorante del figlio, per verificare quello che avevo letto da qualche parte: che fosse ancor meglio del padre. Per poter dire sì o no, dovrei fare una ripassatina anche dal padre, ma posso dire che questo ristorante cinese a due passi dal Palazzo delle Esposizioni è fra i migliori che abbiamo assaggiato! Forse il migliore, anche se ovviamente al meglio (tanto quanto al peggio) non c'è mai fine. 
Beh, innanzitutto il locale, che difficilmente fa pensare a un cinese per l'arredamento quasi da trattoria. Quindi il menù, non enciclopedico come capita negli altri locali, ma ridotto a una serie di piatti non infinita, fra cui ovviamente non mancano i classici cinesi come l'involtino primavera o il riso cantonese. Del primo possiamo dire che ci sembrava completamente home made, inclusa la sfoglia di riso. Questo comporta che l'involtino di Mr. Chow risulta leggermente meno croccante di quelli a cui siamo abituati, ma buono per la freschezza degli ingredienti (compresa la salsa agrodolce che era bella densa e non annacquata come si trova di solito). Quanto al riso cantonese, beh, il riso era davvero profumato, condito con uovo stracciato al momento e con i soliti cubetti di prosciutto e i piselli: buono, ma non esaltante (è pur sempre riso!). Invece sono stati una vera sorpresa gli spaghetti che abbiamo assaggiato in due versioni: gli spaghetti croccanti e gli spaghetti saltati con i gamberi. I primi, da precedenti esperienze, ce li aspettavamo come un nido fritto di spaghetti su cui si adagia il condimento, invece sorprendentemente gli spaghetti erano fritti e spezzettati e quindi "imprucinati" nella salsetta di soia con verdurine e pezzetti di pollo. Una delizia inaspettata, peccato solo che dopo un quarto d'ora si erano ammollati gli spaghetti e non erano più croccanti, quindi consiglio di prenderli e dargli assoluta priorità, vuotando il piatto il prima possibile. Gli altri, gli spaghetti saltati non erano serviti sulla solita piastra sfrigolante, ma in un semplice piatto. Eppure erano stati saltati in precedenza e ben amalgamati con il condimento. Davvero deliziosi anche questi. In entrambi i piatti di spaghetti si notava decisamente la presenza di cipollotto fresco tagliato a crudo (l'alito ne ha un po' risentito...) e di germogli di soia freschi e non in salamoia come si usano di solito nei ristoranti cinesi.
Ancora abbiamo preso un solo secondo, anche perché di più non avremmo potuto, e all'unanimità l'abbiamo eletto "il miglior pollo alle mandorle mai mangiato", condito con una salsa saporitissima e con cubi di sedano leggermente caramellati.
Ai dolci non ci siamo arrivati e devo dire la verità non li ho manco guardati... Ci è mancato, del ristorante cinese di maniera, solo il biscottino della fortuna che viene servito a fine pasto con il conto... Un piccolo rito che un po' ci è mancato!

martedì 13 marzo 2012

Brunch da Margutta Ristorarte

Mi sono accorta di aver dimenticato di "fare rapporto" su questo simpatico brunch che ho provato poche settimane fa. Il ristorante, va detto, è vegetariano, eppure anche io che sono una convinta carnivora sono una sostenitrice di questa formula. Perché vegetariano non vuol dire per forza che sia insipido e insapore, visto che anche un ottimo fungo fritto (ne ho mangiati a pacchi), una lasagna verde, delle focaccine, una zuppona di cavolo (...) possono essere squisiti!!! Certo, un roast beef a metà pranzo ci poteva star bene, ma vi assicuro che non ci è mancato affatto. E anche i dolci erano molto ben rappresentati (ottima la torta di carote!).
Il locale è davvero bello, luminoso e spazioso, impreziosito dalle installazioni artistiche che cambiano a rotazione. Il servizio cortese e cordiale, ma c'è da dire che con il brunch non è che ti debbano servire così tante cose... Le bevande come succhi, caffé americano e acqua sono incluse, fanno eccezione gli alcolici e le bibite gassate. Il tutto a 25 euro...

Ps. proprio di fronte ci sono i diretti competitor, che fanno un brunch a 28 euro. Parliamo di Babette, di cui potete leggere in un altro post, che vi linko di seguito.
http://ilpolipoaffamato.blogspot.com/2012/03/brunch-da-babette-via-margutta.html 

lunedì 12 marzo 2012

Brunch da Babette a via Margutta

Il posto è elegante, il brunch non eccessivo ma con cose buone e la particolarità del dolce al bicchiere. Tutto questo è Babette, locale francese per passione, dove per la verità non amiamo tanto andare a mangiare "a la carte" quanto al buffet. Insomma, mangiare senza limiti e assaggiare qua e là. La prenotazione la domenica è d'obbligo (anzi, è consigliata qualche giorno prima), a maggior ragione con l'arrivo della bella stagione quando si mangia nel piacevolissimo dehors, che altro non è che la corte interna di un palazzotto del centro. Ah, sì perché siamo in pieno centro, precisamente a via Margutta, a suo tempo strada degli artisti, nonché via di casa di Fellini.
Ma passiamo a ciò che abbiamo mangiato in questo brunch domenicale... Il piccolo ma buon buffet presenta un discreto assortimento di verdure sia bollite che in insalata, qualche fritto (c'erano dei simpatici cubi di polenta), una buona focaccia fatta in casa, almeno un paio di primi che sono in continua rotazione (quindi se ne puntate uno, non pensate che lo rimetteranno quando finisce, perché ne arriverà un altro), una zuppona, almeno 2-3 secondi fra i quali campeggiava un buon roastbeef tagliato sottilissimo con una cremina di erbe molto saporita. Insomma, non male, anche se non ci è molto piaciuto che abbiano aumentato il prezzo da 25 a 28 euro in poco tempo. Però il prezzo include le bevande (anche vino o birra) e soprattutto il dolce "a la carte". Infatti a fine pasto si sceglie direttamente dal menu il proprio dessert. Due tipi di tortini caldi fondenti (bianco o nero), la tarte tatin e la mia preferita: la torta al pistacchio.
La mia collega assaggiandolo ha detto "ma è piena di burro". Io le ho risposto: "non diciamolo, teniamola come amara consapevolezza".

N.b. proprio di fronte a Babette c'è il Brunch del Margutta Ristorarte, un vegetariano che ci sta molto simpatico (ancora a 25 euro). Di seguito il link della precedente recensione.
http://ilpolipoaffamato.blogspot.com/2012/03/brunch-da-margutta-ristorarte.html 

venerdì 9 marzo 2012

Ginza, un giapponese a Manzoni

Dopo Ginza Gold, come al solito convinti da un deal, siamo andati anche da Ginza e basta! E decisamente ci è parso meglio di quello dorato, non tanto per il locale, quanto per la cucina. Anche se siamo ancora ben lontani dal trovare lo special one di Roma. Ma andiamo con ordine. Il locale non è elegante come Ginza Gold, ma comunque molto accogliente, arredato il più possibile in stile giappo e con una cosa simpatica: al centro della sala c'è uno chef che armeggia su una mega-piastra davanti agli ospiti. C'è da dire, però, che la controindicazione di questa simpatica idea la senti a fine serata: i vestiti che puzzano di soffritto giapponese!
Passiamo al menù: enciclopedico. E' vero che sono fotografati praticamente tutti i piatti, rotolino dopo rotolino, ma ci sembra un po' troppo ampio come menù per garantire uno standard fresco. Comunque ci siamo fidati e abbiamo ordinato due diversi piatti di sushi: uno più tradizionale, l'altro più moderno, con maki fritti e rolls con la pasta fillo. Eravamo soprattutto attirati da questi ultimi, ma in realtà sono stati una piccola delusione, se non altro perché ne avevamo mangiati di migliori. Comunque, nel complesso non si può dire affatto che la qualità sia bassa: il pesce ci è sembrato buono e l'assortimento notevole.
Peccato solo per i prezzi, e qui casca l'asino! Nonostante fossimo lì con il coupon (o forse proprio per quello) abbiamo notato come i prezzi fossero decisamente più alti della media. Chiariamo, non della media dei giapponesi di fascia alta, bensì nella media dei giapponesi che tali non sono. Normalmente, in mancanza di pedigree nipponico, i prezzi si abbassano e si può uscire soddisfatti con una barca da 35-40 euro. In questo caso, non se ne esce per meno di 30 euro a testa e ci sono risultati piuttosto costosi anche piatti con ingredienti che necessitano di meno freschezza, come le paste (ad esempio gli udon, che a me piacciono tanto). Non abbiamo assaggiato frittoni perché per una volta non ci andava, ma ci ripromettiamo alla prossima visita, se ci sarà. In ogni caso, per risparmiare qualche soldino e assaggiare qualcosa in più, si consiglia di andarci per il pranzo, quando ci sono i set menu che permettono di risparmiare decisamente.

Ps. per avere un'idea soprattutto degli ambienti potete visitare il sito del ristorante (che poi è in comune per i due Ginza, ma noi consigliamo decisamente quello di Manzoni)
http://www.ristoranteginza.com/

giovedì 1 marzo 2012

Fatture cinesi...

Come i miei "amici" di Facebook hanno già avuto modo di vedere, io mi sono innamorata di Mario Monti. O almeno della sua non solo dichiarata, ma effettiva lotta all'evasione. Non stiamo parlando di chiacchiere e contratti firmati in uno studio di Vespa... Stiamo parlando di vera e propria paura instillata negli esercenti d'Italia, inclusi i ristoratori, i furbetti del preconto, ma anche quelli che non avevano neanche il buonsenso di fare una ricevuta dopo aver strisciato il bancomat per il pagamento (ci è successo).
Di che stiamo parlando? Mi astengo dal fare nomi per evitare querele, ma vi do qualche indicazione, giusto per ricostruire il contesto: Roma, ristorante cinese dal numero notevole di coperti dal quale avevo ottenuto ricevute e scontrini solo dopo espressa richiesta. Finora. Perché da ieri le ricevute si fanno spontaneamente! Almeno, è capitato che le facessero spontaneamente a ben tre persone nel raggio di qualche tavolo. Ora le ragioni possono essere di tre tipi: 
1) era presente in sala un ufficiale della Finanza nascosto dietro una vaporiera di bambù e una piastra piena di spaghetti sfrigolanti;
2) il rappresentante delle Fiamme Gialle di cui sopra era passato a imbottirsi di involtini primavera qualche giorno prima (d'altronde anche i giornali avevano scritto di una "maxiretata" nella Capitale);
3) è bastato un po' di battage pubblicitario sulla lotta all'evasione che anche i più recidivi se la sono fatta sotto (è questa l'opzione che spero riguardi i nostri eroi).
Beh, comunque vada è un piccolo successo, che speriamo continui a lungo. Perché per anni abbiamo notato la totale impunità di questo locale, come di altri. Certamente anche assecondata dalla nostra pigrizia nel pretendere scontrini e ricevute. Per noi questo locale è sempre stato la misura di quanto la lotta all'evasione potrebbe recuperare e, lo dico chiaramente, non certo perché sia cinese (anche se probabilmente questa "qualità" aiuta nel dissimulare qualche costo in entrata come le forniture in un giro un po' complesso di ingredienti che arrivano via container). Ma non bisogna certo essere cinesi per essere "furbetti del ristorantino", anzi. Si veda un mio precedente post su un ristoratore viestano che non solo non ci voleva fare la ricevuta, ma ci aveva anche insultati dopo averla emessa. 
Prendo in considerazione questo locale perché su di lui abbiamo sempre basato un nostro "ragionamento induttivo" anti-evasione. Calcoliamo 50 coperti (e sono molti di più), moltiplichiamo per 360 giorni (per i ritmi di lavoro cinesi, non più di 5 giorni di chiusura all'anno) e raddoppiamo (turno pranzo e cena) e ancora moltiplichiamo per 15 euro che è il minimo sindacale che si spende in un ristorante così. Sapete quanto fa? 540mila euro esentasse!!! E ho fatto un conto davvero per difetto, se si considera che i coperti sono molti di più, i turni soprattutto la sera possono arrivare anche a 4-5 rotazioni a tavolo visto che qui si chiude dopo l'1, che è pieno davvero tutti i giorni a pranzo e a cena, che si spendono 15 euro solo se non ci si concedono i piatti più costosi e non si ordina troppo, senza vino ecc. Diciamo che la cifra che ho sparato poco fa si potrebbe benissimo raddoppiare e considerato che l'IVA per i ristoranti è il 10% solo questo locale con una fatturazione costante potrebbe dare allo Stato oltre 100mila euro l'anno. Ok, una goccia, ma tante gocce fanno un mare.

Osteria da Fernanda a Roma

Non ho voglia di aggiungermi alla schiera di stroncatori che dicono che questo locale sia sopravvalutato. Sicuramente troppi "esperti" ne hanno detto bene e questo dovrebbe corrispondere a una quasi perfezione. Ma non è così e, come dire, tutti siamo imperfetti... La premessa è che il locale è piccolo, ma carino, arredato con gusto da recupero-chic. Il servizio cortese e cordiale e abbiamo apprezzato non solo che ci abbiano accolto ben oltre le 22.30, ma che non abbiano protestato neanche con un "ma forse" quando abbiamo ordinato 8 piatti diversi in 4 persone. E per questo merita encomio. Il nostro amico sommelier presente al tavolo ci ha fatto notare come nella carta dei vini non fossero presenti le annate e mi ha fatto colpevolmente notare quanto io non abbia mai fatto caso a questo dettaglio.
Detto questo passiamo all'elemento fondamentale: la cucina. Ed è qui che per noi è cascato l'asino. La buona mano e le idee innovative dello chef si vedevano e non mi fanno collocare nella schiera degli stroncatori di cui sopra, ma neanche degli entusiasti perché vabbé che non sono una maniaca della perfezione, ma sbagliare più di un piatto è abbastanza grave. Non mi riferisco alla mania - da alcuni detestata - di accostare tanti gusti diversi e creare piatti piuttosto complessi (francamente lo ritengo un vezzo, ma se il risultato è buono non me ne lamento), ma quello che a noi è capitato è stato un impatto francamente pericoloso con il sale. Diciamo che un iperteso ci sarebbe rimasto secco dopo una cena così.
Passiamo ai piatti che abbiamo assaggiato, anche perché visto che eravamo tutti "critici" le forchette sono andate in giro permettendo a tutti di apprezzarne (o disprezzarne in alcuni casi) tutti i piatti. In un'ordinazione un po' confusa come quella che abbiamo fatto, ci siamo organizzati una specie di cena a due tornate. Nel primo giro, sul tavolo erano presenti un salmone affumicato troppo salato (ma qui diamo la colpa al pesce e non allo chef); un piatto di ravioli di anatra, che ho preso io, davvero ben presentati e realizzati, peccato per la salsa di topinambur leggermente "saporita" che sbilanciava il piatto, ma diciamo che fin qui eravamo ai confini dello scusabile. Davvero buono il foie gras (peccato per la dimensione un po' pediatrica delle porzioni), gradevoli gli gnocchi con i funghi. Nella successiva tornata di piatti l'eccesso di sale è tornato a farla da padrone ed ha condannato la serata, con il bucatino all'amatriciana e il baccalà con la panzanella. E sapete qual è il bello? Che in questo caso il sale non era causato dalle materie prime (baccalà e guanciale), bensì dai condimenti, cioè la panzanella e il sugo di pomodoro dei bucatini dalla perfetta consistenza cremosa ma sapido da far paura. Al tripudio di sale fanno eccezione la "Reale di maialino, porro arrostito e datteri" che grazie ai datteri era perfino dolciastro e risultava un piatto davvero ottimo; mentre il "Filetto di manzo, patata ripiena di patata, castagne e foie gras" era un po' sbilanciato solo nella "patata ripiena di patata", che era una specie di cannolo di patate a sfoglia ripieno di purè, molto simpatico come presentazione. Qualcuno chiederà: perché non avete rimandato indietro i piatti? Perché li avete finiti tutti? Diciamo che con il bucatino e il salmone era proprio da fare, però ci è dispiaciuto anche perché avevamo abbondantemente superato le 23 e li abbiamo finiti anche perché in fondo erano solo poche forchettate. 
Nonostante questa serata no, che può capitare a tutti gli chef (è sfiga che ti capitino in sala ben 4 "gastrofighetti", espressione felice copiata da un'altra "ispettrice" del Gambero, di cui 3 scrivono per siti, blog, guide enogastronomiche), però, non mi sento di condannare questo locale. Non so se è quando ci tornerò, peccato solo che proprio per questa serata no non potrò annoverarlo fra i posti dove porterei degli amici a cena (nonostante l'ambiente mi piacesse molto e i prezzi fossero abbordabili), se non altro nel timore di beccare un'altra serata storta.


Ps. per chi volesse dare un'occhiata al sito del locale, è fatto molto bene:
http://www.osteriafernanda.com/