martedì 9 dicembre 2014

Marzapane dopo il restyling


C'ero stata un po' di settimane fa per un'intervista e avevo avuto modo di conoscere la giovanissima chef Alba Esteve Ruiz (classe 1989) e ammirarne la calma fermezza, che l'ha portata ad essere uno dei migliori emergenti della capitale già da qualche anno. Purtroppo l'intervista l'avevo fatta "a digiuno" delle sue creazioni perché varie volte avevo provato a prenotare ma senza successo. Questa volta ho provato con 48h di anticipo e puntando sulla domenica invece del sabato e ci sono riuscita.
Sul locale, velocemente, già avevo avuto modo di apprezzare il nuovo arredamento: via l'effetto bistrot parigino troppo abusato nei locali della capitale e sì a una ristrutturazione intelligente che ha recuperato spazio (sul soppalco la cantina, un guardaroba e uno spazio per i dipendenti) e ha aggiunto calore grazie al sapiente uso di legno e di giochi di luce.
Unico appunto la scelta stilistica di far mangiare sul nudo legno... Diciamo che io apprezzo sempre che ci siano le tovaglie, anche all'americana. In questo caso, trattandosi di tavoli rotondi, sarebbero belli dei runner magari?
Questo l'unico appunto, perché per quanto riguarda la cucina la cena è stata una conferma della buona opinione comune, ma anche una scoperta di un talento ancora più concreto di quanto pensassi. Piedi per terra e una sapiente mescolanza di piatti dall'anima italiana, ma cucinati da un cuore spagnolo, che si ritrova soprattutto nella scelta di alcune materie prime (l'agnello o il maialino iberici per esempio).

Noi per questo primo accostamento alla cucina di Alba abbiamo scelto di affidarci al menu degustazione Marzapane. Per cominciare come amuse bouche un gaspacho molto delicato e ben presentato. Cipolla e peperone facevano sentire bene la loro presenza ma non stufavano. Poi il vero antipasto: quaglie in escabeche (alla scapece diremmo noi) con un vellutata di patate e verdure. La presenza dell'aceto era molto delicata, la quaglia dalla cottura perfetta, in abbinamento anche un formaggio Machego per non smentire la provenienza della chef.
Quindi i due primi previsti: un risotto burro e alici del Cantabrico molto saporito, forse troppo, nel senso che la presenza dell'alice dava un picco di sapidità, che però veniva bilanciato dai cubetti di zenzero candito, con un risultato di equilibrio complessivo. I cannelloncini di cime di rape con maiale su salsa di legumi erano simpatici, ma forse il piatto meno da ricordare. La sfoglia leggermente grezza, la presenza di cime di rape secondo noi un po' troppo defilata, rispetto ai legumi.
Di secondo di norma ci doveva essere un maialino iberico, ma invece ci è stata proposta una sostituzione con un rollè di anatra. Invito a nozze per me che amo l'anatra, salvo poi rimanere delusa non dal piatto, anch'esso molto saporito, bensì dalla quantità: un solo rotolino nel piatto era un po' poco. Anche in questo caso la carne aveva un picco di sapidità bilanciato dalle confetture in abbinamento.
Il dolce, infine, raggiungeva l'apice della felicità del melting pot italo-spagnolo: Torrija con gelato al torrone de Jijona. In pratica sotto c'era questa specie di french-toast alla spagnola (così è descritto in inglese) fritto e servito caldo, a contrasto con il freddo del gelato. Una degna conclusione di un pasto davvero felice. Il tutto a 35 euro, prezzo del menù, più vino, acqua (3 a bottiglia) e pane (3 a piatto).

Spazio a Eataly Roma: provato per voi


"Li ha formati Niko Romito, saranno bravi!", con questo mantra nel cervello abbiamo scelto di dar credito alla nuova creatura di Niko Romito, che con la complicità di Farinetti ha deciso di aprire il suo Spazio nella cornice dell'ex ristorante Italia di Eataly Roma. Eravamo stati all'inaugurazione, ma la folla eccessiva ci aveva fatto apprezzare a stento la sala e capire nulla di ciò che si sarebbe mangiato. Quindi siamo andati con le migliori intenzioni ad assaggiare. La premessa è che il locale è carino ma non strepitoso (siamo pur sempre in un centro commerciale!), che si mangia su tovagliette di carta, ma con posateria e bicchieri di pregio, il che stride.
Poi il servizio, che sembra solerte e preparato e poi si perde sul "vi facciamo mangiare se no si freddano i piatti, poi verranno a spiegarveli" e mai nessuno è comparso fino al dolce ed alcuni piatti non li abbiamo capiti affatto.
Già dall'inizio, cioè dal benvenuto dello chef, qualcosa ci è parso non quadrare: bene la sarda fritta, ma quella cremina di lenticchie senza grassi, solo lenticchie frullate e neanche un giro d'olio buono a crudo proprio non c'è scesa giù. Perché quella contro i grassi è la crociata di Niko Romito, che cerca di insegnare il buon mangiare senza esagerare ai suoi, ma se hai una grandissima tecnica come lui va bene, se stai ancora studiando allora a mio parere è meglio che una cucchiaiata in più d'olio te la concedi che aggiusta tutto!
Continuando con gli antipasti, una polpetta di bollito se la batteva con il cubotto di coniglio, laddove il secondo vinceva a mani basse. Se il coniglio infatti era ben riconoscibile all'interno di una buona pastella ben fritta e dorata, la polpetta di bollito impallidiva per la sua consistenza molliccia con la panatura non unta ma neanche croccante. Il ripieno, poi, non aveva il buon equilibrio della tradizione romana, che la vuole un po' lavorata e condita, bensì sembrava una palla di carne bollita. Punto.
Una risalita netta sui primi, laddove sul tavolo c'erano dei tortelli alla crema di porri dalla sfoglia perfetta: l'unico piatto per cui mi sentirei di dire che tornerei. Poco rappresentati, ma deliziosi anche i cappelletti in brodo, piccole palline di neanche un centimetro di diametro che galleggiavano in un buon brodo chiarissimo (diciamo che qualcuno in più se lo potevano risparmiare). Scolastiche invece le fettuccine con le cime di rape, non un cattivo piatto ma neanche questa grande innovazione.
Ai secondi il maialino ha fatto il giro del tavolo: chi non lo voleva perché troppo crudo, chi non ha gradito il condimento, chi alla fine gli ha dato il colpo di grazia ma più per pietà che per gusto. Buona la cottura invece dell'agnello, peccato che sia stato adagiato su una crema di ceci che seguiva la stessa regola di quella di lenticchie dell'entrèe: scondita! Più che accompagnare il piatto lo ammazzava. Forse il migliore era il pollo, su cui era stato fatto un lavoro interessante sulla pelle, resa croccante in maniera perfetta.
Ma veniamo ai dolci, che sono stati gli unici che hanno avuto la spiegazione che abbiamo atteso per un'intera serata, salvo poi avere delle facce mentre ce li spiegavano che sembravamo Alberto Sordi e consorte alla Biennale di Venezia. Una tartelletta deliziosa ma dalle dimensioni pediatriche, diametro si e no di 5 centimetri: va bene mantenersi con le calorie, ma vorrei essere io a scegliere come morire, cari Niko Romito and friends. Quindi il tanto decantato pane e cioccolato, di cui si era detto anche in presentazione. Citando il buon Fantozzi, come la corazzata Potemkin, anche questo dolce "è una cagata pazzesca".
Conclusioni. L'andamento della serata è stato altalenante. Il servizio va ancora registrato ma se vogliamo è quello che funziona meglio di tutti, salvo attendere ancora le spiegazioni dei piatti. Quanto a questi ultimi sembra di stare sulle montagne russe: picchi di piacere come i tortelli si alternano a discese fulminee come il pane e cioccolato. Il tutto a prezzi non alti, ma neanche bassi, specie se si pensa che in cucina è come se ci fosse uno staff di stagisti: di questo si dovrebbe tener presente, visto che i commensali sono in pratica il loro banco di prova. Ai posteri l'ardua sentenza, per il momento la mia è di parziale bocciatura. Sono disposta a ricredermi, specialmente se verranno corrette delle défaillance, ma per ora mi metto all'angolo e attendo le critiche dei miei colleghi più esperti.