La prima domanda che ci si pone sentendo il nome "Il meglio di Betto e Mary" è: quale sarà questo meglio? Normale pensare che sia questione di cibo, cioè i piatti migliori di Betto e Mary. E invece no! Il loro meglio sono i loro figli, che hanno aperto questo locale non in periferia, di più.
Nelle profondità di via di Pietralata, là dove arriva l'olezzo di uovo marcio dell'Aniene, ci sono loro con le loro specialità romane.
Ci siamo andati con un gruppo di amici, una serata piacevole e innaffiata da tanto vino. Certo, era vinaccio, ma tanto quando mangi piatti così sapidi manco lo senti più!
Il punto di forza di questo locale, aperto solo la sera e sempre affollatissimo, sono tutte le specialità che si possono cucinare con il cosiddetto quinto quarto (per chi non ne sapesse il significato: la carne si divide in quarti, poi ci sono gli avanzi, dalle frattaglie in su, beh quello è il quinto quarto, che a Roma è un'istituzione).
Per prima cosa gli antipasti "faccio io". Dalle coppiette e i fantastici sfilacci di cavallo, al meraviglioso cavolfiore fritto (neri per quanto sono bruciati e tanto croccanti che sembrano patatine), passando per peperoni e melenzane in umido. Giampiero ha voluto anche i nervetti, ma quelli non ce la potevo fare a mangiarli.
Sui primi è necessaria una precisazione: la pasta è fatta in casa e talmente gialla di uovo da essere saporita pure da sola. Tuttavia ovviamente mica viene servita da sola. Per i meno coraggiosi ci sono amatriciana e carbonara (perfino in versione vegetariana con le zucchine), per i più esploratori, il sugo di coda alla vaccinara e la loro specialità della casa: pasta animelle, noci e carciofi. Devo dire, però, che la prima volta che l'ho mangiata mi aveva lasciata molto più soddisfatta, questa volta era un po' sciapa. Il sugo di coda, al contrario, era saporitissimo e condito con una generosissima spolverata di pecorino.
Poi i secondi. Per chi non ce la fa a mangiare il monumentale "Misto romano", la brace è sempre accesa e sforna arrosticini e grigliate a gogò. Lo zoccolo duro di noi capitani coraggiosi, però, non poteva esimersi dal vero perché della serata: il misto. Pajata, coda col sugo bianco e con quello rosso, animelle e coratella. Insomma, gli antichi scarti (che oggi non è che in macelleria te li regalano!) che trovano nuova vita nelle preparazioni di questo locale.
Infine, la tradizione vuole che venga portata la Romanella con i tarallucci al vino. Una delizia i tarallucci, un ultimo sorso di felicità la Romanella!
Nelle profondità di via di Pietralata, là dove arriva l'olezzo di uovo marcio dell'Aniene, ci sono loro con le loro specialità romane.
Ci siamo andati con un gruppo di amici, una serata piacevole e innaffiata da tanto vino. Certo, era vinaccio, ma tanto quando mangi piatti così sapidi manco lo senti più!
Il punto di forza di questo locale, aperto solo la sera e sempre affollatissimo, sono tutte le specialità che si possono cucinare con il cosiddetto quinto quarto (per chi non ne sapesse il significato: la carne si divide in quarti, poi ci sono gli avanzi, dalle frattaglie in su, beh quello è il quinto quarto, che a Roma è un'istituzione).
Per prima cosa gli antipasti "faccio io". Dalle coppiette e i fantastici sfilacci di cavallo, al meraviglioso cavolfiore fritto (neri per quanto sono bruciati e tanto croccanti che sembrano patatine), passando per peperoni e melenzane in umido. Giampiero ha voluto anche i nervetti, ma quelli non ce la potevo fare a mangiarli.
Sui primi è necessaria una precisazione: la pasta è fatta in casa e talmente gialla di uovo da essere saporita pure da sola. Tuttavia ovviamente mica viene servita da sola. Per i meno coraggiosi ci sono amatriciana e carbonara (perfino in versione vegetariana con le zucchine), per i più esploratori, il sugo di coda alla vaccinara e la loro specialità della casa: pasta animelle, noci e carciofi. Devo dire, però, che la prima volta che l'ho mangiata mi aveva lasciata molto più soddisfatta, questa volta era un po' sciapa. Il sugo di coda, al contrario, era saporitissimo e condito con una generosissima spolverata di pecorino.
Poi i secondi. Per chi non ce la fa a mangiare il monumentale "Misto romano", la brace è sempre accesa e sforna arrosticini e grigliate a gogò. Lo zoccolo duro di noi capitani coraggiosi, però, non poteva esimersi dal vero perché della serata: il misto. Pajata, coda col sugo bianco e con quello rosso, animelle e coratella. Insomma, gli antichi scarti (che oggi non è che in macelleria te li regalano!) che trovano nuova vita nelle preparazioni di questo locale.
Infine, la tradizione vuole che venga portata la Romanella con i tarallucci al vino. Una delizia i tarallucci, un ultimo sorso di felicità la Romanella!
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